Ustica
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Una ricostruzione storica

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Ustica

Una ricostruzione storica

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Quarant'anni fa, il 27 giugno del 1980, un aereo di linea in volo da Bologna a Palermo si inabissava misteriosamente al largo dell'isola di Ustica. Ottantuno persone perdono la vita in una strage i cui autori, nonostante innumerevoli indagini e processi, restano ancora 'ignoti'.

Una ricostruzione storica per andare oltre le verità giudiziarie.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858142554
Argomento
History

IV.
Crepe nel muro di gomma

1. Il recupero del relitto del DC-9 Itavia

Se dovessimo individuare delle fasi, all’interno della storia della vicenda di Ustica, il primo momento davvero spartiacque si collocherebbe nel settembre 1986, quando il governo Craxi annuncia il recupero del relitto del DC-9. Fino ad allora, i governi si erano sempre rifiutati di finanziare le costose operazioni di ripescaggio dei resti dell’aereo, sebbene queste fossero state richieste sin dal 1981 sia dal magistrato che dalla Commissione ministeriale d’inchiesta. Nel 1982, analisi chimiche condotte su alcuni rottami dell’aereo avevano rilevato la presenza di esplosivo – fatto che aveva permesso al magistrato Santacroce di formalizzare l’istruttoria fissando il titolo di reato “disastro aviatorio doloso e di strage”. Non era stato tuttavia possibile, coi pochi elementi a disposizione, determinare con certezza se l’aereo fosse esploso per l’impatto con un missile oppure a causa di una bomba. Il filone d’indagine basato sui dati radar viene totalmente trascurato, e l’inchiesta finisce per orientarsi al recupero dell’aereo dai fondali marini, visto come unica possibilità di accertare le cause della strage.
In ambito giudiziario prevale così l’argomento secondo cui nessun risultato può essere raggiunto con certezza fino a quando non fossero stati recuperati i resti dell’aereo. “Ho sempre pensato che il mistero di Ustica si potesse risolvere soltanto recuperando il relitto e sottoponendo ad analisi tutti i pezzi”, avrebbe in seguito spiegato Santacroce alla Commissione stragi1. Una visione condivisa dal giudice istruttore Bucarelli, cui viene affidata l’inchiesta formale nel 1984: “Pensavo che soltanto attraverso il recupero dei relitti si potesse raggiungere un qualcosa di più concreto. Infatti, ove mai avessimo trovato nei relitti del DC-9 un elemento di certezza, a quel punto l’inchiesta avrebbe avuto una svolta decisiva”2.
Le indagini finiscono così per adagiarsi passivamente sull’attesa della risoluzione dei problemi tecnico-finanziari collegati al recupero del relitto. Le operazioni di recupero appaiono di difficile realizzazione perché considerate troppo costose. Sulla questione vi è un conflitto negativo di competenza tra governo e magistratura, che finisce per provocare uno stallo. Nel 1982, su richiesta del magistrato, il ministro dei Trasporti Vincenzo Balzamo prepara un disegno di legge per la ricerca e il recupero del DC-9 con una proposta di stanziamento di dieci miliardi di lire. Ma il ministro del Tesoro, Giovanni Goria, esprime parere contrario al progetto perché il disegno di legge non indicava la copertura finanziaria. Il “no” definitivo del quinto governo Fanfani giunge nell’aprile 1983, perché – viene detto – la congiuntura economica non consente il finanziamento dell’operazione e i fondi dovrebbero essere reperiti sui capitoli di bilancio del Ministero dei Trasporti, distogliendoli da altri impieghi più urgenti. La possibilità di vedere stanziati i fondi appare a quel punto remota. La questione viene riaperta solo nel febbraio 1986 quando, dopo diverse sollecitazioni, il Ministero di Grazia e Giustizia comunica che le spese per il recupero possono essere disposte dal magistrato procedente senza alcuna preventiva autorizzazione da parte del Ministero e senza alcun bisogno di uno specifico disegno di legge, con i connessi problemi di copertura finanziaria3.
A causa di questa “strategia dell’attesa” di un recupero evocato più che concretamente progettato, nel 1986 l’inchiesta finisce di fatto su un binario morto e, nell’indifferenza generale, il rischio di una sua archiviazione diviene alquanto concreto. L’intervento del governo – sollecitato, come vedremo a breve, da un Comitato costituitosi ad hoc – sblocca la situazione. Il relitto viene portato alla luce attraverso lunghe e complesse operazioni tra l’aprile 1987 e il maggio 1988. Come tessere di un puzzle, centinaia di pezzi di lamiera, recuperati dai fondali marini a oltre 3.500 metri di profondità, vengono così ricomposti per ricostruire lo scheletro del DC-9 – che oggi si trova al Museo per la Memoria di Ustica, a Bologna4. La presenza fisica dell’aereo imprime nuova concretezza al caso. Dai fondali del mar Tirreno, insieme al DC-9, torna a galla anche il mistero sulle cause del suo inabissamento. Da quel momento in poi, il caso Ustica si impone all’opinione pubblica e alle istituzioni italiane con tutto il suo carico di inquietanti e ineludibili interrogativi. Vengono lasciati definitivamente alle spalle l’indifferenza e il silenzio che avevano caratterizzato i primi anni, per entrare in una fase nuova, in cui la vicenda avrebbe assunto un’inedita rilevanza politica.
Quello che fino a quel momento era stato trattato come un fatto di cronaca ancora da chiarire diviene a tutti gli effetti una issue, un vero e proprio caso politico. La vicenda di Ustica si fa tema autonomo e sempre più rilevante del dibattito pubblico italiano della fine degli anni Ottanta. Inizia così ad articolarsi una “campagna per la verità” che vede il ruolo attivo, non organizzato ma di fatto convergente, di diversi soggetti: dalla costituzione del primo Comitato per la Verità su Ustica alla nascita dell’Associazione parenti delle vittime; dal giornalismo investigativo e d’inchiesta al mondo del cinema; dalla mobilitazione di diversi segmenti della società civile all’intervento più incisivo di alcuni partiti politici, fino al ruolo importante, per quanto ambiguo, del presidente della Repubblica Cossiga. Si entra in una fase densa di novità, dinamica, fortemente polemica, che dimostra la capacità dell’opinione pubblica di incidere sull’inchiesta e di contribuire in maniera determinante al progressivo, per quanto non completo, svelamento della verità. Idealmente, potremmo considerare come punto di arrivo di questa fase del caso Ustica la decisione del governo Amato, nel 1992, di costituirsi parte civile nel procedimento per la strage in seguito all’emergere di diverse evidenze sul reale scenario in cui il DC-9 Itavia era stato abbattuto.

2. Il Comitato per la Verità su Ustica

A partire dal 1981, della tragedia di Ustica non si era quasi più parlato. Dopo aver revocato le concessioni aeree all’Itavia nel dicembre 1980, il governo non aveva dimostrato più alcun interesse per la vicenda. Ufficialmente, si era in attesa di conoscere i risultati delle indagini. Si trattava, però, di un’attesa prolungata e vana, perché il magistrato era a sua volta in attesa che il governo stanziasse i fondi necessari al recupero del relitto. L’inchiesta si trovava dunque a languire in un paradossale stallo e nel disinteresse generale. Fino al 1986, il governo non viene sollecitato a intraprendere provvedimenti speciali anche a causa della scarsa rilevanza che il caso ancora aveva nell’opinione pubblica. Tra il 1983 e il 1985, il numero degli articoli apparsi sui quotidiani nazionali è addirittura irrisorio. Il «Corriere della Sera» non dedica a Ustica nessun articolo nel 1983, e appena cinque e tre articoli, rispettivamente, nel 1984 e nel 1985. Sulla stessa linea d’onda «l’Unità», con un articolo nel 1983, quattro nel 1984 e due nel 1985.
Sporadicamente, erano state presentate alcune interpellanze e interrogazioni parlamentari sul caso. Nel 1982, un gruppo di deputati radicali chiede notizie sui risultati delle indagini, con particolare riferimento alle ipotesi del missile e della bomba5. Nello stesso anno, vengono presentate altre sei interpellanze in seguito alla trasmissione televisiva, in Italia, di una video-inchiesta realizzata dall’emittente britannica Bbc. Il servizio, dal titolo Murder in the Sky, ipotizzava che il DC-9 Itavia fosse stato abbattuto da un missile, basandosi sulle analisi radar dell’esperto americano John Macidull che aveva visionato i tracciati di Ciampino e rilevato la presenza di un caccia non identificato nei pressi dell’aereo Itavia6. Nessuna di queste interrogazioni riceve tuttavia risposta, né si registra alcuna reazione significativa alla trasmissione al Parlamento della relazione della Commissione ministeriale d’inchiesta che, nel marzo 1982, dà per certa l’origine dolosa del disastro, indicandone la cause in un missile o in una bomba. Per riprendere le parole dell’ex ministro Lagorio, è “come se la capacità reattiva si fosse già esaurita due anni prima”7.
Nel 1985 si registrano i primi tentativi, vani, di suscitare l’intervento delle istituzioni. In occasione del quinto anniversario della tragedia, i legali di alcune famiglie di vittime annunciano la presentazione di una diffida alla Presidenza del Consiglio affinché renda noto quanto accertato sulle responsabilità della strage. Su impulso della vedova di una delle vittime, la signora Giovannina Giau Bonfietti, viene chiesto di indicare entro sessanta giorni la nazionalità del missile che aveva provocato il sinistro. Anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini è sollecitato a intervenire dalla signora Bonfietti, che nello stesso periodo gli scrive: “Non è degno di un paese civile né compatibile con la democrazia il fatto che cinque anni siano passati dallo scoppio del DC-9 senza che ne siano state accertate le responsabilità e risarcite, soprattutto moralmente, le vittime”8. Questi appelli rimangono però inascoltati.
Nel 1986, lo iato tra l’indifferenza dei governi e l’evidenza della gravità del caso è ormai troppo grande. È chiaro che, al di là delle dichiarazioni di rito sulla fiduciosa attesa dei risultati delle indagini, e al di là delle rassicurazioni sull’inesistenza di un qualsivoglia segreto militare sulla vicenda, vi sia un’elusione della questione da parte dei governi, e che solo un intervento più incisivo può spezzare un silenzio istituzionale ormai granitico e generalizzato. L’occasione per lo sblocco dell’impasse è offerto dalla notizia dello scioglimento della Commissione d’inchiesta ministeriale, che annuncia l’impossibilità di concludere le indagini9. Il rischio concreto che l’inchiesta si risolva in un nulla di fatto suscita allarme tra i familiari delle vittime, gli unici soggetti direttamente interessati a impedire l’affossamento del caso. All’epoca, però, essi sono ancora isolati gli uni dagli altri, e gli appelli dell’anno precedente, caduti nel nulla, si erano rivelati uno strumento troppo debole per suscitare un intervento delle istituzioni.
È allora che la parente di una delle 81 vittime – Daria Bonfietti, sorella di Alberto, morto nel disastro – e il suo legale, Romeo Ferrucci, si adoperano per intercettare l’interesse di un gruppo di parlamentari e giuristi, noti per lo spessore del loro impegno in difesa dei diritti civili, cui viene proposto di intraprendere un’iniziativa più incisiva. Nasce così un comitato promotore, dal nome Comitato per la Verità su Ustica, formato da sette autorevoli personalità di varia provenienza politica e culturale. Il Comitato è presieduto dall’ex presidente della Corte Costituzionale, Francesco Paolo Bonifacio, e composto dal vicepresidente del Senato Adriano Ossicini (Sinistra Indipendente), dal senatore Pietro Scoppola (Dc), dall’ex deputato Antonio Giolitti (Psi), dai deputati Pietro Ingrao (Pci) e Stefano Rodotà (Sinistra Indipendente) e dal sociologo Franco Ferrarotti. In occasione del sesto anniversario della strage – 27 giugno 1986 – queste personalità rivolgono un accorato appello al presidente della Repubblica Francesco Cossiga richiedendo un intervento...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. La guerra nel cielo di Ustica
  3. II. Lo scenario mediterraneo
  4. III. Anatomia di un depistaggio
  5. IV. Crepe nel muro di gomma
  6. Conclusione
  7. Ringraziamenti