L'età della frammentazione
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L'età della frammentazione

Cultura del libro e scuola digitale

  1. 296 pagine
  2. Italian
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L'età della frammentazione

Cultura del libro e scuola digitale

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Chiarezza di posizioni e buon senso nel saggio di Gino Roncaglia. Volume-manifesto in cui – dopo anni di impegno sul tema, da studioso e docente, ma anche da consulente di importanti provvedimenti legislativi – l'autore mette a sistema le sue proposte sull'istruzione.

Alessia Rastelli, "la Lettura – Corriere della Sera"

Un saggio denso, interessante, accattivante (anche nello stile), con il quale Gino Roncaglia si è proposto di provare a far capire a tutti quanto sia importante migliorare la qualità e la visibilità della discussione intorno alla scuola e alle nuove metodologie didattiche.

Roberto Carnero, "Avvenire"

Il libro di Gino Roncaglia, testo obbligato per la riflessione sul futuro della scuola, torna in una versione arricchita da un'ampia sezione di aggiornamento.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858142929

1.
Competenze, conoscenze
e scuola digitale

Quando si parla di ‘scuola digitale’ o – in maniera meno enfatica e indubbiamente più realistica e sensata – di digitale a scuola, si uniscono due termini dotati entrambi di una portata connotativa e denotativa assai ampia.
La scuola è un’istituzione storica e sociale estremamente complessa, influenzata da concezioni filosofiche e pedagogiche, plasmata da politiche pubbliche, finanziata attraverso una quota importante, pur se ancora insufficiente, del bilancio dello stato. La sua organizzazione e articolazione, ma anche – più concretamente – gli edifici scolastici, le loro attrezzature, le persone che li frequentano e i loro rispettivi ruoli, le attività che vi si svolgono, sono un riflesso, a volte distorto, del ruolo che la nostra società attribuisce alla scuola come istituzione.
Le finalità dell’istituzione scolastica sono a loro volta complesse: possiamo parlare di formazione, di apprendimento, di acquisizione di conoscenze e/o di competenze, di costruzione o co-costruzione di saperi, di preparazione alla cittadinanza, di avviamento alla vita lavorativa, e ognuna di queste scelte terminologiche (e delle molte altre possibili) ci colloca su questo o quello schieramento culturale o ideologico, ci avvicina a questa o quella posizione in un dibattito spesso acceso, fatto di confronto teorico ma anche di negoziazione, sostegno o opposizione rispetto a politiche culturali e sociali ben precise. Dibattito sano e necessario ma troppo spesso segnato, dietro l’apparente specializzazione dei termini utilizzati, da formulazioni approssimative o fumose, in cui è a volte difficile individuare con chiarezza e precisione tanto le diverse tesi (e le loro giustificazioni teoriche e fattuali) quanto le loro conseguenze operative e metodologiche.
Consideriamo per un attimo uno dei temi oggi più frequentemente discussi in ambito pedagogico, il rapporto fra conoscenze e competenze e la contrapposizione fra la ‘nuova’ «didattica per competenze» e la ‘vecchia’ «didattica per programmi» 1.
L’idea di non fermarsi all’acquisizione di un insieme prefissato di nozioni, considerando invece l’effettiva capacità di operare e utilizzare le conoscenze acquisite e anzi mettendo al centro del processo formativo proprio le situazioni in cui conoscenze e competenze sono direttamente in gioco, è più che corretta, ed è del resto abbastanza naturale. Questa idea porta con sé una reazione altrettanto giustificata nei confronti di una scuola fatta di discipline nettamente separate, ciascuna con il suo ‘programma’ trasformato in elenchi più o meno dettagliati di nozioni astratte da ricordare e da ripetere. Reazione che comporta un ripensamento della didattica tradizionale e dei suoi strumenti, una riflessione sulle competenze chiave e sulle migliori strategie per valutarne e certificarne l’acquisizione e l’efficacia, e l’esigenza di un aggiornamento metodologico, con conseguenze importanti anche sul processo di formazione degli insegnanti.
Ma troppo spesso il dibattito sulle forme di questo rinnovamento – che pure dovrebbe mettere al centro una concezione operativa dei saperi – sembra trasformarsi in disputa astratta, condotta in ‘didattichese’ stretto, su categorie, strumenti, metodologie, schemi classificatori le cui modalità di applicazione alla situazione concreta delle nostre scuole non sono affatto scontate come si vorrebbe2.
D’altro canto, questa versione tutta pedagogica della querelle des anciens et des modernes rischia di dimenticare che la dimensione del rapporto fra conoscenze e pratiche fa parte da sempre del dibattito su ruolo e funzionamento delle istituzioni scolastiche. Il punto è semmai che le forme concrete di relazione fra teoria e prassi, di collegamento fra conoscenze e competenze, cambiano (e cambiano notevolmente) nel corso del tempo. È quando la scuola resta indietro – e la nostra scuola è rimasta indietro – rispetto all’evoluzione culturale e sociale, che le conoscenze attorno alle quali è orientato il processo formativo diventano nozioni astratte anziché accompagnarsi efficacemente alle competenze richieste per una partecipazione attiva alla vita del paese.
Non vi è dunque, né potrebbe esservi, una reale contrapposizione fra conoscenze e competenze. Come sarebbe del resto possibile avere competenze senza conoscenze (o, se è per questo, conoscenze minimamente complesse e articolate senza competenze)? La costruzione di un bagaglio solido di conoscenze è operazione complessa, che richiede essa stessa competenze specifiche (a partire dalla capacità di reperire, selezionare, valutare, collegare, conservare le informazioni). Ma d’altro canto la prima e più importante delle competenze riguarda la necessità di basare le proprie scelte su informazioni il più possibile solide e affidabili, e di poterle e saperle reperire. Conosciamo da tempo l’importanza del motto «theoria cum praxi». Il problema è altro: quali conoscenze? Quali competenze?
Sottolineare l’interdipendenza fra competenze e conoscenze può sembrare cosa ovvia (e lo è), ma ha una funzione specifica rispetto al tema fondamentale che vorrei affrontare nella prima parte di questo libro, quello dei contenuti sui quali si basano le nostre pratiche di insegnamento e di apprendimento. Una concezione troppo astratta della didattica per competenze, associata all’idea che le competenze riguardino in primo luogo i processi e le pratiche, può avere la conseguenza di focalizzare l’attenzione unicamente sulle pratiche formative, considerandole una variabile indipendente e sganciata dai contenuti.
Ora, la mia impressione è che una qualche contrapposizione fra pratiche e contenuti, e più in generale una sottovalutazione – spesso implicita, ma comunque assolutamente perniciosa – del rilievo dei contenuti, si sia insinuata in molta parte del dibattito e delle azioni volte a definire le politiche pubbliche nel settore della scuola e della formazione. Col risultato di accantonare sistematicamente, nella riflessione sulle nuove pratiche didattiche, la questione delle caratteristiche che dovrebbero avere i contenuti da utilizzare.
Un esempio, sul quale tornerò, è il dibattito sull’autoproduzione dei contenuti. Sembrerebbe abbastanza evidente che nel parlarne si debba fare riferimento sia alle pratiche da mettere in atto sia alla qualità e all’efficacia dei contenuti che si intende produrre, e che anzi le due cose siano correlate in maniera tanto stretta da non poter essere considerate se non congiuntamente. Ma spesso l’impressione è che l’accento sia unicamente sul primo elemento, come se l’autoproduzione fosse un valore in sé, indipendentemente dalla tipologia dei contenuti prodotti, dalla loro effettiva utilità e dalla loro qualità. Il risultato è un depotenziamento delle stesse pratiche che si vorrebbero promuovere, e che finiscono per essere pensate – e messe in opera – in forme poco sensate e destinate a sicuro fallimento.
In questo modo, i paladini dell’innovazione didattica rischiano di offrire facili armi ai loro avversari, che hanno spesso perfettamente ragione quando sottolineano la bassa qualità e la totale occasionalità di molti contenuti di apprendimento autoprodotti o reperiti in rete. Se le pratiche innovative non sono solide, è inevitabile che la reazione sia un rimpianto nostalgico per la (reale o – non di rado – pretesa) solidità della tradizione.
Il problema è rilevante anche perché si riflette immediatamente sul secondo elemento della diade ‘scuola digitale’: il concetto di digitale. Vale allora la pena soffermarsi, in queste prime osservazioni, anche su questo concetto.
In che senso applichiamo il termine ‘digitale’ al mondo della scuola? Di per sé, l’aggettivo ‘digitale’ indica una modalità di rappresentazione dell’informazione, basata sull’uso di ‘0’ e ‘1’ del codice binario per codificare testo, suoni, immagini, video, programmi. E viene applicato, per estensione, ai dispositivi che elaborano informazione utilizzando tale codifica. Ma la connotazione del termine è ormai esplosa, tanto che l’aggettivo è diventato anche un sostantivo autonomo, ‘il digitale’. E aggettivo e sostantivo sono usati – in modo non sempre rigoroso – in un’infinità di contesti diversi.
‘Scuola digitale’ è uno di questi contesti. L’espressione è usata spesso: per fare solo l’esempio più autorevole, è al centro – fin dal titolo – del Piano Nazionale Scuola Digitale, che costituisce al momento il riferimento principale per le politiche pubbliche relative all’uso di contenuti e strumenti digitali nel mondo della scuola, della formazione e dell’apprendimento. Sul Piano Nazionale Scuola Digitale avrò occasione di tornare più volte in questo libro, ed è dunque opportuno dire subito che ho avuto un qualche ruolo nell’elaborazione di alcune sue parti (in particolare le azioni 23 e 24, entrambe relative alla sezione dedicata ai contenuti). Il Piano è comunque il frutto di un lavoro collettivo assai impegnativo, che ha coinvolto persone e competenze diverse; credo rappresenti un importante passo avanti nella riflessione sulle politiche da adottare in quest’ambito, ma che – come è del resto naturale – non sia affatto esente da problemi e criticità, sia nella sua stesura sia (ancor più) nella sua applicazione.
Il riferimento a una ‘scuola digitale’ è evidentemente dettato da esigenze di estrema sintesi comunicativa, ma si presta a un’immediata obiezione: rischia di far percepire il digitale come una sorta di ideologia totalizzante o come una variabile indipendente, un ‘ingrediente’ autonomo sufficiente a identificare, da solo, specifiche pratiche formative.
È bene allora chiarire subito che non è questo il senso da dare all’espressione. Come si è detto, il concetto di digitale è associato alla codifica e all’elaborazione dell’informazione: è sensato dunque considerarlo come uno degli elementi, fra loro fortemente interdipendenti, di un’equazione al cui centro è semmai il ruolo che diverse tipologie di contenuti informativi e di strumenti per la produzione, elaborazione e gestione dell’informazione hanno nella costruzione delle nostre conoscenze e delle nostre competenze. È in questo senso che contenuti e strumenti digitali entrano – e devono entrare – anche nella scuola, come già fanno nella vita quotidiana e lavorativa di ciascuno di noi. Una scuola che ignorasse il digitale sarebbe una scuola fuori dalla realtà, incapace di fornire competenze di cittadinanza fondamentali in un contesto sociale caratterizzato proprio dalla centralità dell’informazione digitale e delle reti.
Questo non implica affatto, però, che qualunque strumento o contenuto digitale sia automaticamente buono e desiderabile perché digitale. Quella con cui abbiamo a che fare è una galassia a sua volta estesa e variegata, include ottime cose ma anche molta spazzatura: la capacità di discriminare, valutare, selezionare, negoziare resta indispensabile anche rispetto a strumenti e contenuti digitali, e presuppone a sua volta competenze che la scuola deve saper fornire, e di cui chi opera nel mondo della formazione – a partire dai docenti – ha estremo bisogno.
1 Ogni tentativo di sintetizzare in pochi rimandi bibliografici l’enorme quantità di possibili riferimenti relativi al dibattito sulla didattica per competenze sarebbe votato in partenza all’insuccesso, e del resto il tema esula dagli scopi specifici di questo lavoro. Mi limito quindi a citare alcuni testi italiani recenti, ai quali si potrà fare eventualmente riferimento anche per allargare le indicazioni bibliografiche: Franco Cambi, Saperi e competenze, Laterza, Roma-Bari 2006; Mario Castoldi, Valutare e certificare le competenze, Carocci, Roma 2016; Franca Da Re, La didattica per competenze, Pearson, Torino 2013, liberamente disponibile all’indirizzo http://dida.orizzontescuola.it/sites/default/files/LA%20DIDATTICA%20PER%20COMPETENZE.pdf; Lucio Guasti, Didattica per competenze. Orientamenti e indicazioni pratiche, Erickson, Milano 2012; Roberto Trinchero, Costruire, valutare, certificare competenze. Proposte di attività per la scuola, Franco Angeli, Milano 2012; per una riflessione sul concetto di capabilities in un contesto non strettamente didattico si veda Martha C. Nussbaum, Creating Capabilities. The Human Development Approach, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2011.
2 «Cercare di spiegare che cosa significa sembra l’esercizio preferito di quanti si occupano di competenze, che dedicano regolarmente a questo scopo la prima parte del loro lavoro (e se è un’opera in volume, anche più di un capitolo). Perché la definizione di competenze è già un problema, dal momento che sono varie decine le proposte in campo; e, per quanto le convergenze non manchino di emergere, non sono pochi gli aspetti che...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Introduzione alla nuova edizione
  3. Parte I
  4. 1. Competenze, conoscenze e scuola digitale
  5. 2. Il mito della granularità digitale
  6. 3. Alla ricerca di Xanadu
  7. 4. L’età dei cacciatori-raccoglitori
  8. 5. Dai primi insediamenti urbani all’età dell’artigianato e del commercio
  9. 6. Nativi digitali?
  10. 7. Live in fragments no longer
  11. 8. Grande è il disordine sotto il cielo
  12. 9. Contenuti di apprendimento
  13. 10. Facciamo da soli? L’autoproduzione dei contenuti
  14. 11. Ambienti di apprendimento
  15. 12. Dagli ambienti fisici a quelli digitali e misti
  16. 13. Flipped classroom: capovolgere senza frammentare
  17. 14. Riuso della didattica: il courseware
  18. 15. Smartphone in classe? Il BYOD e i suoi problemi
  19. Parte II
  20. 16. I libri di testo servono ancora?
  21. 17. I libri di testo che non vogliamo: l’età della contestazione
  22. 18. Le conseguenze della contestazione: i libri di testo documentali e post-ideologici
  23. 19. A cosa servono i libri di testo?
  24. 20. Libri di testo e digitale: le posizioni in campo
  25. 21. Libri di testo e digitale: le potenzialità
  26. 22. Le piattaforme di fruizione
  27. Parte III
  28. 23. I libri, la scuola, le biblioteche scolastiche
  29. 24. Le biblioteche scolastiche e l’azione 24 del PNSD
  30. 25. Letture aumentate
  31. 26. Gruppi di lettura
  32. 27. Giochi
  33. 28. Digitale debole e digitale forte
  34. Parte IV
  35. 29. Didattica a distanza o didattica di emergenza?
  36. 30. La didattica a distanza crea diseguaglianze?
  37. 31. Problemi di metodo
  38. 32. La scuola in TV1
  39. 33. Le biblioteche scolastiche come risorsa
  40. 34. Piccoli gruppi crescono: lettura a casa e online durante l’emergenza (e dopo)
  41. 35. Quattro tesi per il futuro