Fake
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Come la politica mondiale ha divorato sé stessa

  1. 216 pagine
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Come la politica mondiale ha divorato sé stessa

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La retorica seducente dello storytelling è stata scalzata dalla battaglia politica in forma di scambi violenti e brutali sui social networks: la conquista del potere passa per lo scontro, la rottura, le 'verità' fatte a pezzi. Ormai viralità e rivalità vanno di pari passo, come virulenza e violenza. Attraverso i protagonisti della politica internazionale, questo libro racconta come la logica della trasgressione ha distrutto la credibilità e la coerenza del discorso politico.

«Un singolare disprezzo della parola, quasi un ribrezzo di fronte alla parola si è impossessato dell'umanità. La nobile fiducia che gli uomini possano l'un l'altro, attraverso la parola e la lingua, convincersi è andata radicalmente persa». Sono parole che Hermann Broch scriveva nel 1934 e sembrano sintetizzare il quadro politico internazionale ricostruito da Christian Salmon. Siamo passati in pochissimi anni dalle ideologie e dalle grandi narrazioni epocali al trionfo dello storytelling con Obama, Macron e Renzi: una vera e propria arte del racconto della realtà che fa perno sull'emozione. Poi, all'improvviso e fuori di ogni previsione, è esploso un fenomeno nuovo che trova in Trump la sua espressione più piena, ma ha analoghi in tutto il mondo – da Bolsonaro a Salvini, da Orbán a Erdo?an. È il passaggio dalla story allo scontro, dall'intreccio alla trasgressione, dalla suspense al panico. Finiti i racconti capaci di ordinare gli avvenimenti, senza più eroi che fanno la storia, né storie in senso proprio, eccoci catapultati in un tempo in cui la vita politica è ritmata dallo shock.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858141366
Argomento
Economia

Parte prima.
La logica del clash

1

In uno dei suoi romanzi, lo scrittore albanese Ismail Kadare ha immaginato un’istituzione alquanto originale. Si tratta del Palazzo dei Sogni, il cui compito è la raccolta ininterrotta dei sogni fatti da ognuno dei sudditi del sultano1. In ogni provincia dell’Impero una rete di funzionari setaccia città e villaggi alla ricerca dei sogni degli abitanti. Una volta trascritti, questi vengono trasmessi al Palazzo, dove sono oggetto di un complesso trattamento articolato in più fasi di ordinamento, filtro e selezione: alla fine rimane solo un piccolo numero di sogni su cui poter lavorare. Questi sogni vengono analizzati meticolosamente e interpretati dall’amministrazione, che ogni settimana identifica fra loro il «sogno-guida», il più potente fermento germinato dall’inconscio, potenzialmente il più sovversivo, che fa presagire la fine dell’Impero e del suo tiranno. La macchina per interpretare i sogni non si ferma mai: ogni nottata porta un nuovo carico che andrà passato al vaglio.
Da molto tempo ormai il mondo conosce l’importanza dei sogni e il loro ruolo nell’anticipare i destini collettivi. Basti pensare all’oracolo di Delfi nell’antica Grecia, oppure ai celebri oniromanti romani, assiri, persiani, mongoli... Tuttavia il Palazzo dei Sogni di Kadare è espressione di un’ambizione maggiore. Si tratta di far fermentare e di interpretare l’inconscio di tutta la società allo scopo di scongiurare le minacce, di eliminare gli oppositori, di sventare i complotti. «Il ruolo del nostro Palazzo dei Sogni [...] consiste nel classificare ed esaminare non i sogni isolati di taluni individui, come facevano coloro i quali, per una ragione o per l’altra, s’erano visti accordare quel privilegio e in pratica detenevano il monopolio della predizione attraverso la lettura dei segni divini, bensì il Tabir tutto, vale a dire la totalità dei sogni dell’insieme dei cittadini, senza eccezione. È un’impresa grandiosa, in confronto alla quale gli oracoli di Delfi, le caste dei profeti o i maghi di un tempo impallidiscono». Chi è a capo del Palazzo dei Sogni detiene il potere.
«Da lungo tempo avevo voglia di costruire un Inferno», confidava Kadare in occasione dell’uscita del libro. Un’impresa effettivamente demiurgica quanto la conquista dell’inconscio collettivo.
«Ogni passione o idea malefica, ogni flagello o crimine, ogni ribellione o catastrofe proietta necessariamente la sua ombra molto tempo prima di manifestarsi nella vita reale. Ecco perché il Padiscià pretende che nessun sogno, anche se fatto ai confini più remoti del Paese, anche nella più normale delle giornate e dalla creatura più ignorata da Allah, sfugga all’esame del Tabir Sarrail». Il Palazzo dei Sogni non ha altra finalità se non quella di scongiurare l’incertezza. È un costoso dispositivo che mira a una trasparenza totale nello spazio e nel tempo. Precedere il futuro. Premunirsi contro di esso. Mandarlo in loop per quanto possibile. Non solo controllare, ma neutralizzare completamente l’esperienza. Il Palazzo dei Sogni è una prigione di nuovo tipo, la prigione del Possibile.
Ovviamente la storia finisce male. L’eroe, che ha fatto una carriera folgorante in questa amministrazione così particolare, giunge a scoprire nella massa dei sogni accumulati quello fatale, quello che annuncia il crollo dell’Impero e innesca le mosse autodistruttive della classe dirigente, in cui ognuno si sforza di trarre profitto dal crollo, di puntare sulla caduta dell’Impero: comportamenti che innescheranno la spirale del discredito.
Kadare si è premurato di collocare la sua eterotopia in un lontano passato e non nel prossimo futuro, contrariamente a quanto avviene in 1984 di George Orwell o nei racconti di Philip K. Dick come Minority Report. Il Palazzo dei Sogni fu pubblicato in Albania nel 1981, al tempo in cui era ancora in vita il dittatore Enver Hoxha. Il romanzo non parla solo della censura e del suo apparato burocratico sotto la dittatura socialista, ma anche del nostro mondo in divenire. Questa eterotopia, che quando apparve fu letta come una metafora del sistema totalitario, è passata dopo una decina d’anni ad essere vista come la prefigurazione del nostro mondo trasformato dalla svolta digitale. La finzione di Kadare è divenuta realtà. Il Palazzo dei Sogni esiste, è la metafora del “processore”. Ciò che pareva utopico alla pubblicazione del libro è diventato banale nell’era dei big data e dell’algoritmica. Di recente un algoritmo è riuscito a produrre 22 secondi di immagini in tempo reale a partire dall’attività cerebrale – un sogno – di un dormiente collegato a dei sensori. È lo spirito del nostro mondo che si manifesta anche, ormai, attraverso i social networks, esploso in una miriade di dati che vengono ordinati, selezionati, trasformati in profili e in norme di comportamento. La sua ideologia spontanea: annettere e assorbire il possibile. Tenere sotto controllo il potere configurante dell’inconscio, le sue libere associazioni, la trama delle sue imprevedibili variazioni.
* * *
È un impero senza frontiere. Non è rappresentato sugli atlanti, né ad est né ad ovest, né a nord né a sud. Ma presto governerà il pianeta. Non ha un territorio dai confini determinati. E non lo si riconosce tanto dalle sue coordinate quanto dalla capacità di disorientare. Non ha esercito né moneta propria, ma conta miliardi di individui che parlano tutte le lingue del mondo. Non somiglia a nessuno degli imperi prodotti dalla storia; tuttavia non è un luogo immaginario, una di quelle Atlantidi sommerse che alimentano la fantasia degli umani. È reale. Iperreale, o piuttosto infrareale, come le cellule del corpo umano, o le reti di neuroni, o gli aggregati di atomi di una sostanza chimica. Non è visibile a occhio nudo. Neanche lui vede noi.
È una rete di scatole nere con le quali siamo in uno stato di interazione permanente. Asteniamoci dal chiamarlo per nome, perché la sua potenza deriva proprio dal suo anonimato. Registra i dati che produciamo, codifica i nostri comportamenti, osserva i nostri gesti abituali, archivia le nostre preferenze e i nostri gusti. E costruisce un mondo a nostra immagine, il mondo che corrisponde alle nostre abitudini registrate; se noi le alteriamo, cambia impercettibilmente, modifica i propri protocolli grazie alla magia del feedback loop e del deep learning, procedimenti che permettono di modificare automaticamente i modelli per retroazione.
L’Impero ha dei sudditi? Sì e no. Se si intendono per sudditi dei cittadini in carne e ossa, no. Possono esisterne al di fuori del suo campo di interazione, ma ai suoi occhi non sono nulla, non li “calcola” affatto, o almeno non come tali. Questo perché l’unica cosa che conta è ciò che in essi è calcolabile. Si può definire tutto ciò come dei sudditi? Non c’è nessuna certezza in questo senso. Sono degli individui? Se lo sono, lo sono in quanto fonti di dati da cui si sviluppano serie statistiche e flussi ordinati secondo principi poco chiari, metodi riportati in articoli di matematica che nessuno consulta. In ogni caso non c’è motivo di saperne di più, perché il tutto funziona, senza di loro, senza gli interessati, senza conoscenza né azione da parte degli individui. Sovranità impersonale dell’Impero.
Il suo motto è “Disfare il volto”. Il proprio, innanzitutto, ma anche quello dei “sudditi”. La sua potenza gli deriva da questo potere sfigurante. Per metterlo in atto si serve di alcuni strumenti. L’analisi facciale. Infatti l’Impero riconosce solo dei corpi-dati, dei corpi-codici, degli io sperimentali dotati di protesi digitali, identificabili ovunque e in qualsiasi momento: individui intermittenti, transitori, in corso di elaborazione, i cui dati si vengono strutturando. Tracce digitali inghiottite e computate da cui verranno eliminate le irregolarità, le discrepanze che bloccano la macchina algoritmica... Emettitori di segnali. Profili privi di spessore. Io geolocalizzati.
Questo impero non lo si riconosce tanto dalla continuità spaziale del suo territorio e dalle lingue che vi si parlano quanto dai territori che cancella. Non è un impero dedito alla conquista: si accontenta di cancellare gli spazi che gli sono estranei, tutto ciò che si sottrae al calcolo. Non colonizza i popoli che annette: si accontenta di illuminarli con le reti, di tuffarli in un bagno di informazioni, emozioni, pensieri, ricordi. È un po’ come un battesimo per immersione. Un battesimo digitale che introduce alla conoscenza e alla comunità dell’Impero. Tutto ciò attraverso un semplice atto di fede. Basta aderire al suo mondo e aprirsi alle sue applicazioni, che vi guideranno sul cammino delle interazioni. Un semplice clic e siete geolocalizzati, date accesso ai vostri dati, ovvero ai vostri desideri, ai vostri pensieri. In cambio l’Impero vi riconosce. Cede ai vostri desideri più contraddittori. Ormai avete un profilo. L’Impero sa cosa fare di voi. Ha quello che vi serve. In quest’impero non c’è un imperatore, ma, per pura formalità, semplicemente un simulacro di imperatore, un manichino privo di potere che emette segnali nella notte digitale, segnali di autorità, di rigore, di efficacia. E questo soddisfa la nostra aspettativa di tali segnali. Una cosa minimale. Un giorno se ne farà a meno. Saremo allora nell’allucinazione totale dell’Impero.
* * *
I temuti GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) sono i successori degli ispettori del Palazzo dei Sogni di Ismail Kadare. Ma non hanno sembianze umane, e sono assai più efficaci nel loro lavoro di mappatura. La registrazione e l’analisi permanente dell’inconscio individuale e collettivo è da un decennio al centro dei loro progetti. Essi ritengono che l’accumulazione di quantità enormi di dati grezzi (immagazzinati in depositi, i data warehouses) consentirà di modellizzare con una precisione mai vista tutti i comportamenti e di verificare la pertinenza dei modelli grazie alla potenza dell’algoritmica, il che dovrebbe avere come risultato una modellizzazione perfetta: una modellizzazione che determina con il minor margine d’errore possibile l’interazione fra l’individuo e le macchine che lo accompagnano; una mode...

Indice dei contenuti

  1. Parte prima. La logica del clash
  2. Parte seconda. La spirale del discredito
  3. Parte terza. La guerra dei racconti
  4. Parte quarta. Il Ground zero del racconto
  5. A mo’ di epilogo
  6. Ringraziamenti