Capitolo 1.
Il monoteismo dell’io
Fine della società?
Qualche anno fa Zygmunt Bauman, uno dei più acuti e intelligenti interpreti del nostro tempo, da poco scomparso, descriveva con queste parole la crisi dei legami sociali:
La disintegrazione della rete sociale, la disgregazione di efficienti organismi di azione collettiva, viene spesso osservata con notevole preoccupazione e considerata l’imprevisto «effetto collaterale» della nuova leggerezza e fluidità di un potere sempre più mobile, sdrucciolevole, mutevole, evasivo. Ma la disintegrazione sociale è al contempo una condizione e il risultato della nuova tecnica di potere, che utilizza quale propria arma principale il disimpegno e l’arte della fuga. Perché il potere sia libero di fluttuare, il mondo deve essere privo di recinti, barriere, confini fortificati e posti di frontiera. Qualsiasi rete densa e fitta di legami sociali, e in particolare una rete profondamente radicata nel territorio, è un ostacolo da eliminare. I poteri globali sono intenti a smantellare tali reti per poter godere di una costante e crescente fluidità, la principale fonte della loro forza e garanzia della loro invincibilità. Ed è la caducità, la friabilità, l’inconsistenza e la provvisorietà dei legami e delle reti di interazione umana che consente, in ultima analisi, a tali poteri di assolvere il loro intento.
Sono parole che fotografano un’epoca in cui la dimensione della socialità sembra ormai sommersa da una fluidità difficile da governare. «Società liquida», la definisce Bauman. Papa Francesco fa sua questa espressione: «Ci muoviamo nella cosiddetta ‘società liquida’, senza punti fissi, scardinata, priva di riferimenti solidi e stabili; nella cultura dell’effimero, dell’usa-e-getta». In effetti si registra una crisi generale delle numerose forme comunitarie conosciute sino ad oggi, dagli storici partiti di massa alla comunità cittadina, dalla società delle nazioni alla stessa famiglia intesa come istituzione associata di esistenza. Alain Touraine, studioso della società post-industriale, si chiede se non siamo giunti alla «fine delle società».
Tutti siamo consapevoli che l’affermazione della soggettività è stata una delle grandi conquiste della modernità. La scoperta dell’«individuo», infatti, ha permesso alla società moderna di acquisire la convinzione della radicale dignità di ogni persona umana come soggetto di diritti. È un’acquisizione che qualifica la stessa modernità, i cui benefici hanno avuto una portata planetaria nella definizione dei diritti umani. Charles Taylor mostra l’iter percorso nel definire la nuova condizione dell’individuo e della sua libertà personale: non sottostà a nessuna autorità. E la dipendenza da una gerarchia è accettabile solo a condizione di fondarsi su una base di legittimità formale. L’invenzione dell’individuo – così possiamo sintetizzare la conquista della modernità – ha rappresentato senza alcun dubbio una rivoluzione culturale decisiva per il progresso dell’intera umanità negli ultimi secoli. Si tratta di un patrimonio indiscusso, da custodire e da difendere.
Con la fine del capitalismo industriale, però, c’è stato uno sconvolgimento delle istituzioni sociali, dalla famiglia alla scuola, dalla città ai sistemi di protezione e di controllo sociale, dall’impresa alla stessa politica. Touraine parla di situazioni post-sociali e post-storiche per sottolineare le profonde mutazioni avvenute nel tessuto delle società, soprattutto occidentali. Di qui l’interrogativo già ricordato sulla «fine della società». Gli fa eco, sul versante della psicologia, Luigi Zoja, che parla della «morte del prossimo» per descrivere in maniera sintetica la crisi della socialità, dei legami di prossimità:
Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell’uomo. L’uomo cade in una fondamentale solitudine. È un orfano senza precedenti nella storia. Lo è in senso verticale – è morto il suo Genitore Celeste – ma anche in senso orizzontale: è morto chi gli stava vicino. È orfano dovunque volti lo sguardo. Circolarmente, questa è la conseguenza ma anche la causa del rifiutare gli occhi degli altri: in ogni società, guardare i morti causa turbamento.
La globalizzazione non riguarda solamente il capitalismo finanziario o il mercato, ma l’intera società, e ha a che fare con le nuove tecnologie dell’informazione come con le grandi migrazioni nelle diverse aree del pianeta. In tale nuovo contesto si sta indebolendo non solo la civiltà occidentale, ma l’idea stessa di «universale», proposta e sostenuta dall’intero sistema di pensiero dell’Occidente. È urgente l’invenzione di un nuovo modo di convivere, e quindi la ridefinizione dei rapporti tra individuo e società.
L’individuo si è scoperto orfano, senza riferimenti saldi, in un mondo divenuto troppo grande e complesso. Tzvetan Todorov, in un’analisi che parte dalla sua esperienza personale, parla di «spaesamento». Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, esaminando le dinamiche innescatesi nel complesso processo della globalizzazione, fanno emergere anch’essi quel senso di incertezza che coinvolge le persone: «Il prezzo che l’Io globale deve pagare per la libertà è quanto mai salato: il senso di frammentazione, l’abbandono di criteri di valutazione che non siano interni all’azione e la conseguente assenza di un senso di appartenenza culturale, il disincanto e la provvisorietà, sono alcuni dei correlati che accompagnano questa opzione».
Ovviamente, non si deve dimenticare il grande giovamento che la globalizzazione ha portato allo sviluppo del pianeta in questi decenni. Ma se – come non di rado accade – essa non viene irrorata da una prospettiva solidale, purtroppo fa emergere chiusure e ripiegamenti. Il terrorismo trova in tale contesto un terreno particolarmente favorevole per proliferare. E la paura collettiva cresce a tal punto da non essere più governabile. In effetti, la sicurezza è diventata una priorità assoluta, ovunque. Gli stessi perimetri urbani sono diventati veri e propri campi di battaglia: si moltiplicano trincee (limiti invalicabili) e bunker (edifici fortificati e sottoposti a stretta sorveglianza); riappaiono muri e recinzioni; si impedisce l’ingresso all’estraneo e diviene normale la tolleranza zero. Si vedono sorgere realtà tra loro separate e incomunicabili per il solidificarsi di divisioni, segregazioni ed esclusioni. Il bisogno di sicurezza prevale: si allontanano gli altri e crescono le esigenze dell’io.
Più liberi, più soli
È nato un nuovo individualismo. Alcuni studiosi – penso a Nicole Aubert – parlano di «individuo iper-moderno». E Gilles Lipovetsky vede nella società contemporanea il realizzarsi di una «seconda rivoluzione individualista», contraddistinta dal culto dell’edonismo e della psicologia, dalla privatizzazione della vita e dall’acquisizione di autonomia da parte dei soggetti nei confronti delle istituzioni collettive. Ne deri...