Bobbio dalla teoria del diritto alla teoria dello Stato
di Riccardo Guastini
1. Introduzione
Questo intervento è dedicato a «diritto e Stato nel pensiero di Bobbio». Interpreto il tema nel senso che si tratti non già di esporre le idee di Bobbio sul diritto e lo Stato – cosa che richiederebbe uno o più libri – bensì solo di illustrare le relazioni tra diritto e Stato nel pensiero di Bobbio.
Anche in questa interpretazione «minimalista» il tema è difficile da trattare, e forse richiederebbe una rivisitazione dell’intera opera teorica di Bobbio. Mi limito a indicare due linee di ricerca: a) la relazione tra diritto e Stato nel concetto stesso di Stato, e b) la relazione tra diritto e Stato nella classificazione degli Stati.
Occorre premettere che Bobbio ha scritto molto sulla «politica», ma poco sullo Stato in quanto tale: il suo scritto più significativo al riguardo è senz’altro la voce Stato della Enciclopedia Einaudi. Ma questo lavoro ha carattere eminentemente storico (di storia delle dottrine politiche, e marginalmente delle istituzioni) e metateorico.
È anche vero, però, che secondo Bobbio teoria dello Stato e teoria della politica sono discipline che in parte – benché solo in parte, come vedremo – si sovrappongono, per la banale ragione che entrambe hanno a oggetto, in ultima istanza, il potere politico. Più precisamente: la teoria dello Stato è una parte della teoria della politica; la teoria della politica, a sua volta, è una parte della teoria del potere.
Notoriamente, la teoria del diritto di Bobbio (almeno negli anni Cinquanta) costituisce per molti versi una rivisitazione, critica e analitica, della «dottrina pura». L’influenza di Kelsen su Bobbio è del tutto evidente soprattutto negli Studi sulla teoria generale del diritto, raccolti in volume nel 1955, e nei due corsi degli anni 1958 e 1960, rispettivamente, Teoria della norma giuridica e Teoria dell’ordinamento giuridico.
Ora, in Kelsen, teoria del diritto e teoria dello Stato tendono a sovrapporsi: propriamente parlando, non sono domini di studio distinti e indipendenti, ma sono parti integranti di una teoria unitaria. Naturalmente, ciò dipende dal fatto che, secondo Kelsen, lo Stato – più precisamente, lo Stato moderno – non è cosa diversa dall’ordinamento giuridico – cioè appunto dal diritto (in senso oggettivo) –, ma è solo una sua personificazione. Lo Stato altro non è che un ordinamento giuridico a) originario, b) relativamente accentrato, c) con una sfera territoriale di «validità», e d) grosso modo effettivo.
Ne segue che, in Kelsen, i cosiddetti «elementi» costitutivi dello Stato (sovranità, territorio, popolo) sono concetti strettamente giuridici (non naturalistici, o sociologici, o politici); le funzioni dello Stato altro non sono che funzioni giuridiche (produzione e applicazione di norme); le diverse forme di Stato non sono che diversi modi di produzione del diritto; e così avanti.
Quanto al potere politico, l’opinione lapidaria di Kelsen è che: «Il ‘potere’ non consiste nelle prigioni e nelle sedie elettriche, nelle mitragliatrici e nei cannoni; il potere non è un qualche tipo di sostanza o di entità nascosta dietro l’ordinamento sociale. Il potere politico è l’efficacia dell’ordinamento normativo riconosciuto come diritto». Detenere potere politico, in altre parole, è comandare e ottenere obbedienza: produrre norme effettive.
A prendere sul serio l’orientamento, diciamo, neokelseniano di Bobbio, ci si attenderebbe dunque di trovare anche nei suoi lavori una teoria dello Stato in relazione di continuità con la teoria del diritto. Ma così non è. Intanto Bobbio teorizza sul potere politico piuttosto che sullo Stato in quanto tale, e le due cose non paiono coincidere. Inoltre il suo modo di esprimersi appare spesso affetto da «dualismo» – direbbe Kelsen – quasi che potere politico e diritto fossero cose distinte benché connesse; mentre in Kelsen, come si è visto, il potere politico non è altra cosa dalla effettività del diritto. E ancora: Bobbio usa per lo più il vocabolo «Stato» nel suo senso ordinario, ossia per riferirsi non già all’ordinamento giuridico, ma all’insieme degli organi di produzione e applicazione del diritto.
Ma il punto principale è che secondo Bobbio teoria dello Stato e teoria della politica si sovrappongono solo in parte: «la tradizionale teoria generale dello Stato – dice Bobbio, riferendosi alla Allgemeine Staatslehre dei giuristi tedeschi del XIX secolo – non potrebbe ricoprire il campo che dovrebbe essere ricoperto dalla teoria generale della politica», giacché
oggi il campo della politica è ben più vasto di quello tradizionale dello Stato. [...] Oggi in una democrazia fondata sul suffragio universale e imperniata sull’attività di associazioni, come i partiti, che fanno da tramite tra i singoli individui e il tradizionale apparato statale, l’attività propriamente politica comincia a svolgersi nella società prima di arrivare alle sedi dove tradizionalmente ed esclusivamente venivano prese le decisioni politiche. In una democrazia pluralistica, l’attività politica non può essere tutta quanta risolta nell’attività dello Stato, quale veniva tradizionalmente esposta nella dottrina dei tre poteri, il legislativo, il giudiziario e l’esecutivo. Di qua la ragione per cui la teoria generale della politica deve occuparsi di tanti temi di cui non si è mai occupata, non avendo ragione di occuparsene, la teoria generale dello Stato. Insomma, rispetto alla tradizionale dottrina dello Stato, la teoria generale della politica è un campo molto più vasto, i cui confini non sono ancora stati stabiliti con precisione.
Malgrado tutto, però, le idee di Bobbio sullo Stato non sembrano poi divergere molto da quelle kelseniane (sebbene la convergenza non sia evidente).
2. Sul concetto di Stato
Per Bobbio, come per Weber, il potere politico si distingue da ogni altra forma di potere sociale in virtù (non dei suoi fini, ma) del suo mezzo tipico: l’uso della forza. Il potere politico – egli dice – «è il potere sommo o sovrano», ed «è caratterizzato dall’uso della forza», anzi più precisamente dall’«esclusività» nell’uso della forza. In queste poche parole si coglie una riduzione del potere politico a potere statale (questo e non altro è il «potere sommo o sovrano») e del potere statale a ordinamento coattivo della condotta, ossia a diritto (oggettivo).
Per Bobbio, come per Kelsen, il diritto è precisamente un ordinamento coercitivo: un insieme di norme il cui contenuto è, in ultima istanza, la disciplina dell’uso della forza. Pertanto, non solo «l’azione politica si esplica attraverso il diritto», ma tra diritto e potere politico c’è un «nesso [concettuale] indissolubile».
Il nesso in questione sta in ciò, che «il potere nasce da norme e produce norme; la norma nasce dal potere e produce altri poteri». Il che non è diverso dal dire che lo Stato è un ordinamento normativo dinamico.
Pare dunque che anche per Bobbio, come per Kelsen, il potere politico altro ...