Razzisti per legge
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Razzisti per legge

L'Italia che discrimina

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Razzisti per legge

L'Italia che discrimina

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È facile chiamare 'razzista' l'uomo che aggredisce un altro uomo solo perché di etnia, nazionalità o religione sgradita. Più arduo è percepire lo scandalo di leggi e procedure che costruiscono la disuguaglianza. Dare un nome alle cose serve a vederle. Si chiama 'razzismo istituzionale' quel complesso di norme e politiche che tracciano una linea di separazione tra chi ha diritti e chi possiede solo incerte e revocabili concessioni.Questo libro racconta un'Italia razzista verso chi è designato come 'straniero'. Mette insieme riflessioni teoriche e storie di casi gravi e lievi, noti e sconosciuti, di discriminazione istituzionale, come la cosiddetta 'emergenza Lampedusa' o la vicenda di un'insolita assegnazione a una famiglia rom di un prestigioso appartamento confiscato alla mafia.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858103869
Argomento
Economia

1.
Che cos’è il razzismo istituzionale

1. Identikit dell’istituzione razzista

Se un ragazzino nero viene ucciso da una gang di adolescenti bianchi solo perché questi hanno in odio la gente di colore si tratta di un grave episodio di razzismo individuale. Se i poliziotti, trattandosi della morte di un giovane di origini straniere, prendono sottogamba l’episodio e conducono le indagini in modo negligente e sommario; se, a causa di pregiudizi diffusi anche tra le forze dell’ordine, si accantona l’ipotesi di omicidio di matrice razzista e, contro ogni evidenza, si continua a sostenere che il ragazzino se la sia cercata; se tutto ciò determina che la giustizia funzioni peggio per la popolazione migrante allora ci troviamo in presenza di razzismo istituzionale. Questo è stato il ragionamento fatto dai membri della commissione presieduta da Sir William MacPherson incaricata di vagliare le inadempienze della polizia britannica nelle indagini relative alla morte di Stephen Lawrence.
La sera del 22 aprile 1993 nel sud-est di Londra, vicino a una fermata degli autobus, alla presenza di diversi testimoni, venne ucciso Stephen Lawrence, un ragazzo di diciotto anni, figlio di immigrati giamaicani. Stephen fu assassinato da una banda di cinque giovani bianchi «semplicemente, solamente e inequivocabilmente per razzismo» (MacPherson, 1999: § 1.11). Le indagini, a causa di depistaggi e negligenze[1], non portarono a nulla per lunghissimo tempo. I genitori del ragazzo, appoggiati da un gruppo di sostenitori, dopo alcuni anni di battaglie, ottennero che il ministero dell’Interno avviasse un’indagine per verificare se pregiudizi razziali avessero motivato l’inefficienza del corpo di polizia. La commissione incaricata, dopo quasi due anni di lavoro, nel febbraio del ’99, presentò un documento eccezionale per meticolosità, ampiezza e profondità d’analisi, che stabilì che il razzismo istituzionale avesse viziato le indagini, che fosse diffuso tra le forze di polizia, arrivando a sentenziare che esso pervadesse «trasversalmente la cultura e le istituzioni di tutta la società britannica» (ivi: § 6.31).
Furono in molti a scandalizzarsi per le conclusioni del report, giudicandole offensive verso la nazione. Ma MacPherson stava proponendo un’intelligente forma di amor patrio, consistente nel riconoscere i difetti di quell’entità imperfetta, ma perfettibile che è lo Stato. I commissari avvertivano, infatti, che è proprio l’incapacità delle istituzioni di valutarsi e correggersi la ragione della persistenza dei gravi mali sociali quali il razzismo istituzionale:
Esso persiste poiché le organizzazioni non sono in grado di riconoscere e affrontare in modo congruo ed aperto la sua esistenza e le sue cause attraverso politiche, esempi e una buona leadership. Se tale razzismo non viene riconosciuto e non viene attuato un piano per la sua eliminazione, esso può farsi strada come parte dell’ethos o della cultura di un’organizzazione. È un male corrosivo (ivi: § 6.34).
La Gran Bretagna prese sul serio il report: sia i grandi enti sia le piccole organizzazioni si riunirono per discutere l’agenda di MacPherson, e i media amplificarono il dibattito. Il cambiamento ci fu, certamente incompleto e contraddittorio, ma fu evidente; crebbe soprattutto il livello di consapevolezza sulle questioni razziali nelle istituzioni e tra i cittadini del Regno Unito (House of Commons, 2009).
Ma come riconoscere un’istituzione affetta da razzismo? Ecco l’identikit diffuso dal rapporto MacPherson:
Il razzismo istituzionale è stato definito come quel complesso di leggi, costumi e pratiche vigenti che sistematicamente riflettono e producono le disuguaglianze nella società. Se conseguenze razziste sono imputabili a leggi, costumi e pratiche istituzionali, l’istituzione è razzista sia se gli individui che mantengono queste pratiche hanno intenzioni razziste, sia se non le hanno [...].
[Sono istituzioni razziste] strutture, politiche, processi e pratiche organizzative che, spesso senza intenzione o consapevolezza, determinano che le minoranze etniche siano trattate in modo ingiusto e meno ugualmente (ivi: § 6.30).
Il criterio di identificazione delle istituzioni razziste riguarda gli effetti discriminatori prodotti, non le intenzioni dell’ente o dei suoi funzionari. Secondo questo criterio certamente si può parlare di razzismo istituzionale a proposito della persecuzione nazista degli ebrei o del regime di apartheid sudafricano. Ma per determinare il razzismo di un’istituzione non è necessario che i funzionari abbiano pregiudizi e finalità oppressive o che vi sia un’esplicita ideologia razzista: basta che una certa legge, una politica, una pratica vigente di fatto crei, perpetui o aggravi la disuguaglianza di minoranze etniche, culturali, religiose o nazionali. È dunque rubricabile come caso di razzismo istituzionale, ad esempio, il fatto che le dotazioni informatiche presso l’ufficio stranieri delle questure italiane siano obsolete e insufficienti, che l’iter burocratico per il rilascio dei permessi di soggiorno sia lento, astruso e incerto, che il personale non sia sufficientemente formato e aggiornato. Infatti, anche se queste disfunzioni sono attribuibili all’insipienza degli architetti istituzionali e non necessariamente a un intento discriminatorio, causano nei fatti innumerevoli fastidi, ostacoli e violazioni dei diritti anche fondamentali di una minoranza già svantaggiata quale la popolazione immigrata.

2. Il razzismo istituzionale secondo il Black Power

Per comprendere più in profondità il significato dell’espressione «razzismo istituzionale» è opportuno vagliare il contesto in cui questa denominazione si afferma.
Furono Stokely Carmichael e Charles Hamilton, autori del libro-manifesto del Black Power, che, alla fine degli anni ’60, coniarono e diffusero l’espressione institutional racism. Secondo le loro analisi esiste un razzismo individuale che si manifesta quando individui bianchi feriscono o offendono dei neri; si tratta di un razzismo palese, visibile, che «può essere ripreso dalla televisione», e per questo è facilmente riconosciuto e rigettato dalla maggioranza delle persone. Poi vi è un’altra forma di razzismo, quello appunto istituzionale, che
è meno esplicita, più sottile, meno smascherabile attraverso l’identificazione di specifici responsabili; ma non è meno distruttiva dell’altra. Deriva dal meccanismo delle forze costituite e rispettate dalla società e perciò è esposta molto meno della prima alla pubblica condanna (Carmichael, Hamilton, 1968: 38).
E per esplicitare ancor meglio le due tipologie di razzismo, gli autori forniscono degli esempi particolarmente efficaci:
Quando i terroristi bianchi lanciano una bomba in una chiesa negra uccidendo cinque bambine, commettono un atto di razzismo individuale, largamente deplorato da una grandissima parte della società. Ma quando in quella stessa città, Birmingham nell’Alabama, non cinque ma cinquecento bambini negri muoiono ogni anno per mancanza di cibo adeguato, di un tetto e di assistenza medica, mentre migliaia di altri sono maltrattati e distrutti sul piano psichico, emotivo e intellettuale a causa di condizioni di miseria e discriminazione in cui la comunità negra è costretta a vivere, allora si può parlare di razzismo istituzionalizzato. Quando una famiglia negra si trasferisce in una zona abitata da bianchi e viene presa a sassate, scacciata, oppure la sua casa viene data alle fiamme, essa è vittima di un atto individuale di razzismo che molta gente, almeno a parole, condanna; ma la forza che tiene i negri prigionieri degli edifici cadenti degli slums, vittime dello sfruttamento di esosi padroni di casa, negozianti usurai e mediatori di proprietà immobiliari, è il razzismo istituzionalizzato (ivi: 38-39).
L’espressione «razzismo istituzionale» permette di leggere il razzismo in una prospettiva sistemica, il che significa che essa si riferisce tanto ad un apparato dello Stato che genera effetti di etichettamento, emarginazione e deprivazione di alcune minoranze, quanto ad una discriminazione cronica e diffusa in molti campi della vita pubblica tra loro interagenti che finiscono per produrre il circolo vizioso dell’esclusione sociale plurifattoriale. Se quindi il MacPherson report si concentra sulle svariate istituzioni affette da razzismo, Carmichael e Hamilton utilizzano la denominazione «razzismo istituzionale» prevalentemente per indicare un intero sistema sociale discriminatorio verso una minoranza.
Nella società americana di cui parlano gli autori del manifesto del Black Power, infatti, il razzismo istituzionale pervade ogni settore della vita pubblica. Ad esempio la dimensione dell’abitare: il ghetto è luogo confinato, segnato dal degrado in cui vive e cresce la comunità afroamericana. Come un paese colonizzato, il quartiere dei neri viene impoverito e sfruttato dal gruppo dominante, tant’è che i profitti degli affitti e dei negozi non vanno agli abitanti del ghetto ma a proprietari bianchi. Mentre gli ispettori dell’edilizia, interamente bianchi, evitano di notare le gravi irregolarità imputabili ai proprietari, lasciando che la popolazione nera viva in stabili malsicuri e fatiscenti. Similmente il servizio di nettezza urbana frequenta meno che sporadicamente il ghetto perché l’establishment bianco ha ben poco interesse a spendere risorse ed energia per una popolazione di cui non ha stima e che non ha rilevanza politica. Anche la sicurezza e la libertà personale, nell’analisi del Potere Nero, non sono beni distribuiti equamente: un nero ubriaco facilmente proverà l’implacabile rigore della giustizia subendo le percosse del poliziotto bianco, lo stesso che si dimostra tenero e dialogante verso la potente malavita della droga e dell’azzardo. E certamente cultura e istruzione sono baluardi della discriminazione sistemica: l’abitante del ghetto non potrà sperare che la scuola cui sono destinati i suoi figli offra loro una preparazione adeguata e i curricula scolastici con cui il popolo americano viene formato sembrano avere dimenticato che i neri siano stati attori della storia e latori di cultura (ivi: 44).
La pluralità di campi in cui si manifesta la discriminazione e la loro nefasta sinergia danno vita ad un sistema razzista fortificato e dagli effetti dirompenti. Tuttavia la potenza del razzismo istituzionale non corrisponde affatto ad una sua vistosità: la sua forza sta proprio nell’essere difficilmente percepibile e dunque raramente deprecato. Arduo è identificarne il colpevole, poiché la responsabilità pare diluirsi tra una pluralità di individui e fattori. Così come è difficile identificare la vittima, dal momento che gli effetti della discriminazione sistemica sono distribuiti nel tempo e, in diverso grado, su numerosi soggetti. Ciò equivale, nella percezione dell’opinione pubblica, a sminuirne la gravità o peggio a negarne del tutto l’esistenza.
Ma c’è un ulteriore motivo – segnalano Carmichael e Hamilton – per cui il razzismo istituzionale è raramente oggetto di attenzione e condanna. Esso in realtà fa tutt’uno con uno status quo segnato dalla disuguaglianza, è il baluardo di un ordine sociale che distribuisce asimmetricamente risorse materiali e simboliche. Pertanto manifestare disapprovazione verso gli atti di razzismo individuale può addirittura divenire uno schermo utile a chi deve mascherare il vantaggio che trae dalla perpetuazione di una società iniqua e razzista:
Le persone ‘rispettabili’ trovano modo di evitare ogni critica perché loro non metterebbero mai una bomba in una chiesa negra né prenderebbero mai a sassate un bimbo di colore. Tuttavia essi continuano a dare il loro appoggio a uomini politici e a istituzioni che si propongono di perpetuare, e di fatto perpetuano una politica razzista. In tal modo, mentre gli atti di razzismo individuale, aperto, forse non costituiscono un carattere tipico della società, il razzismo istituzionalizzato lo costituisce, col sostegno di atteggiamenti razzisti individuali, mascherati (ivi: 39).
In definitiva, nel discorso di Carmichael e Hamilton, il razzismo istituzionale è il meccanismo con cui il gruppo vittorioso ha stabilizzato il proprio primato. Un gruppo di uomini che si sono identificati con la bianchezza hanno elaborato non solo l’ideologia della supremazia bianca, ma soprattutto hanno dato vita ad un sistema che ha reso il privilegio dei bianchi un diritto, il loro vantaggio la condizione di ogni competizione, il loro dominio il naturale assetto delle cose:
Quei vantaggi vengono considerati come qualcosa di normale, dovuto, codificato dal costume e sanzionato dalla tradizione e dal consenso sociale. Le proposte di mutare la situazione esistente suscitano ‘indignazione morale’, mentre vengono messe a punto complicate dottrine volte a dimostrare l’ineluttabilità e il pieno diritto dell’ordinamento esistente (ivi: 43).
Carmichael e Hamilton svelano che nella società americana del loro tempo la struttura di potere è bianca, strutturata per rimanere bianca quanto più a lungo. Pertanto è in grado di sopravvivere e di produrre effetti discriminatori anche quando l’ideologia tramonta, si trasforma o è superficialmente rinnegata.

3. Obama e la pervicacia del razzismo di sistema

L’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti sembra la più viva testimonianza che la tenace struttura di potere bianca sia stata infine disfatta. Ma è lo stesso Obama a segnalare che, nonostante gli innegabili strattoni al dominio bianco e le indubbie conquiste della popolazione non bianca, il razzismo istituzionale produce conseguenze di lunghissima durata tuttora inesaurite.
Nel celebre discorso Sulla razza, pronunciato durante la campagna per le primarie presidenziali, l’allora senatore dell’Illinois spiegava la durevolezza degli effetti delle cosiddette Jim Crow Laws, una serie variegata di provvedimenti normativi, emanati negli Stati Uniti dal 1877 fino alla metà degli anni ’60, accomunati dal contribuire al mantenimento della supremazia bianca attraverso la separazione e la disparità razziale.
Quando la Corte Suprema decretò l’incostituzionalità della stato di segregazione, quelle leggi furono finalmente annullate, ma non si poterono parimenti annullare gli effetti che avevano avuto sulla società americana. Norme e politiche che avevano stabilito scuole separate per razza avevano prodotto opportunità formative fortemente differenziate e ciò aiuta a spiegare il divario tra le prestazioni di studenti bianchi e neri, non solo di allora, ma anche di oggi. Tra i diversi provvedimenti discriminatori ve n’erano, poi, alcuni che avevano proibito ai neri di ottenere mutui e finanziamenti, altri di far parte di sindacati e altri ancora l’accesso a professioni pregevoli. La popolazione afroamericana era stata così fortemente impedita nella possibilità di produrre ricchezza e dunque dall’accumulare un capitale da trasmettere ai figli. Tale intralcio all’accumulo di ricchezza è all’origine non solo dell’antica, ma dell’attuale differenza di reddito tra bianchi e neri negli Stati Uniti. Ma ciò non basta: la disuguaglianza economica e il divario culturale producono una serie di conseguenze a catena anche nel campo dell...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Ringraziamenti
  3. — dedica
  4. 1. Che cos’è il razzismo istituzionale
  5. Casi italiani: I respingimenti in Libia: legali, efficaci, convenienti e giusti, o no?
  6. 2. La legge della disuguaglianza
  7. Casi italiani: Rosa di Montesanto
  8. 3. Il razzismo è razionale e trasversale
  9. Casi italiani: Per due centimetri... a settemila chilometri da un figlio
  10. 4. Di chi è la colpa? La responsabilità di sistema
  11. Casi italiani: Perché tanti detenuti stranieri in Italia?
  12. 5. Conclusioni
  13. Casi italiani: Mineo lose-lose, Riace win-win
  14. Bibliografia