24 maggio 1915
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24 maggio 1915

  1. 264 pagine
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24 maggio 1915

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Il 24 maggio 1915 ricostruito attraverso le esperienze e le emozioni di personaggi reali –soldati, politici, giornalisti, scrittori, generali, donne e bambini –che quel giorno l'hanno vissuto davvero.

Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò nella prima guerra mondiale, dopo mesi di dibattiti, scontri, emozioni. Quel giorno chi la guerra l'aveva decisa si sentì sollevato. I vecchi alleati, ora nemici, accusarono l'Italia di tradimento; i nuovi alleati sperarono di sfruttare l'apertura di un altro fronte. Chi il conflitto l'aveva sognato festeggiava e correva ad arruolarsi; chi l'aveva osteggiato osservava in silenzio. Le truppe passarono maldestramente il confine e iniziarono a combattere. Ma quel 24 maggio c'era chi già combatteva un'altra guerra, in territori oltremare o sotto un'altra bandiera; chi veniva internato in quanto suddito nemico o sospetta spia e chi vedeva la propria città sottoposta al potere militare. C'era chi organizzava comitati civici, chi scioperava, o semplicemente si occupava dei fiori. Fu un conflitto nuovo, moderno, totale.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858145876
Argomento
History

1.
In principio fu la Triplice

Wien, 24. Mai 1915
«Wiener Allgemeine Zeitung», Sonderausgabe
Nell’edizione straordinaria della «Wiener Allgemeine Zeitung» del 24 maggio 1915, l’imperatore Francesco Giuseppe commentava la dichiarazione di guerra arrivata il giorno prima al governo di Vienna: «un tradimento che non ha eguali nella storia è stato perpetrato dal Regno d’Italia ai danni dei suoi due alleati dopo un’alleanza di più di 30 anni, durante la quale l’Italia poté aumentare i suoi possessi territoriali e svilupparsi ad impensata floridezza... Noi non minacciammo l’Italia, non minacciammo la sua autorità, non toccammo il suo onore ed i suoi interessi»1.
In realtà la guerra era stata dichiarata solo all’Austria-Ungheria. Si aspettò fino all’agosto 1916 per entrare in conflitto anche con la Germania. Ma l’Italia davvero scendeva in campo contro un suo ex alleato. Questo per Francesco Giuseppe non poteva che essere un tradimento. E non era l’unico a pensarla così. Alessandro De Bosdari, ambasciatore ad Atene, scriveva il 24 maggio al ministro degli Esteri Sidney Sonnino che la stampa greca era unanime nell’accusare l’Italia di fellonia2. Lo stesso giorno il quotidiano tirolese – «Innsbrucker Nachrichten» – sceglieva come titolo «l’alleato come nemico»3.
Quando l’Italia entrò nella prima guerra mondiale a fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia, Vienna si sentì tradita e ingannata. Ma la Triplice alleanza non era di certo un patto basato sull’amicizia tra nazioni o popoli e, nel corso degli anni, aveva subìto allentamenti e riavvicinamenti. Tuttavia all’epoca sembrava piuttosto solida; era stata riconfermata da poco, con ben due anni di anticipo rispetto ai piani.
Sottoscrivendo la Triplice alleanza, nel 1882, l’allora presidente del Consiglio Francesco Crispi pensò più che altro a rinforzare la posizione internazionale del Paese. Infatti, negli ultimi decenni dell’Ottocento, in un contesto europeo cristallizzato in coalizioni, se il nuovo Regno voleva contare qualcosa doveva essere parte di una rete di relazioni e collaborazioni diplomatiche e militari. La Triplice fungeva allora da patto conservatore – finalizzato a garantire «la sicurezza dei loro stati e la tranquillità dell’Europa»4 – e difensivo: qualora uno dei tre contraenti fosse stato attaccato, senza che l’aggressione fosse stata direttamente provocata, gli alleati sarebbero dovuti intervenire. Alla base dell’accordo c’era la storica rivalità tra Francia e Germania, rivangata dalla guerra del 1871 e dalla conquista tedesca dei territori di confine dell’Alsazia e della Lorena. Per isolare la repubblica francese e garantirsi i vantaggi della vittoria e un ruolo egemone in Europa, il cancelliere tedesco Otto von Bismarck legò a sé Austria e Italia, sfruttando allo stesso tempo le rivalità anglo-francesi in Africa e quelle anglo-russe in Asia.
Sull’altro fronte c’era l’Intesa cordiale, l’Entente cordiale. Fin dal 1893 la Francia aveva firmato dei patti militari con la Russia, confluiti poi nel 1904 in un’alleanza che comprese anche la Gran Bretagna. In questo caso l’accordo era prevalentemente antigermanico. Oltre alla storica rivalità franco-tedesca, la Russia si sentiva minacciata a occidente dalla Germania ed entrava in rotta di collisione con l’Austria-Ungheria per il controllo dei Balcani, del Bosforo e dei Dardanelli. E anche la Gran Bretagna, sebbene fiera del suo splendido isolamento e della flotta da guerra più grande del mondo, necessitava di un’alleanza. Nell’estate 1914, l’Europa era quindi divisa in due grandi blocchi e l’Italia era a fianco di Germania e Austria-Ungheria.
Dieci mesi dopo, alle ore 20 del 24 maggio 1915 alla stazione Termini un treno speciale formato da una vettura-salone, due vetture letto e una ristorante, accolse l’ambasciatore d’Austria presso il Quirinale, il barone Karl von Macchio, quello presso il Vaticano, il principe Schönburg Hartenstein, e tutto il personale delle rispettive ambasciate. C’erano famiglie intere: alcuni bambini erano affacciati a un finestrino per salutare Roma.
Fu il ministro Sonnino a incaricare le Ferrovie dello Stato di predisporre treni speciali con vetture-salons perché le delegazioni diplomatiche lasciassero il Paese. I rappresentanti dei Paesi nemici non potevano certamente rimanere nella penisola dopo lo scoppio delle ostilità; o meglio, in base alle disposizioni date dal ministro degli Esteri, l’ambasciatore presso la Santa Sede sarebbe potuto rimanere in Italia, ma Vienna decise diversamente.
Quella mattina il barone Macchio si era recato a messa nella chiesa di Santa Maria di Via e aveva pranzato con il personale a Palazzo Venezia, sede dell’ambasciata austriaca presso il Vaticano, da dove, all’alba, erano stati abbassati gli stemmi imperiali. Al pomeriggio, fin dalle 17 alcuni curiosi sostarono davanti a Palazzo Chigi, allora sede della rappresentanza asburgica nel Regno. Alle 19,10 l’ambasciatore, indossando un abito color cenere, salì con rapidità su una vettura, scortato da un agente di pubblica sicurezza. Subito dopo la sua partenza, il principe Chigi fece esporre al balcone il tricolore italiano, tra gli applausi della folla.
Il pomeriggio precedente, verso le 15,40, Macchio era uscito dal palazzo della Consulta, sede del Ministero degli Esteri, tenendo sotto il braccio una grande busta di pelle nera. I giornalisti presenti ipotizzarono contenesse i passaporti. Non vestiva la redingote ma, dopo aver ricevuto la dichiarazione di guerra, era andato a congedarsi dal ministro degli Esteri italiano, secondo il cerimoniale d’uso5.
In quei giorni frenetici i giornalisti e il pubblico osservarono ogni suo spostamento e la stampa si dichiarò sorpresa del contegno della gente: «il popolo si sente degno erede degli antenati che proclamarono la santità inviolabile degli ambasciatori»6. Oltre a essere il Paese contro cui si entrava in guerra, infatti, l’Impero asburgico era il nemico storico dell’Italia.
Nei rapporti tra i due Paesi pesava l’eredità risorgimentale: l’Austria aveva dominato la parte settentrionale della penisola e ancora controllava alcune zone di lingua italiana che, secondo la concezione ottocentesca della nazione, sarebbero dovute appartenere al Regno: Trento e Trieste. Proprio il 24 maggio il «Corriere della Sera» pubblicò la notizia di una bottiglia ritrovata in alto mare da un marinaio catanese contenente gli appelli di alcuni triestini: «fratelli italiani: ora o mai, non possiamo più sopportare il tiranno impiccatore», diceva il primo; «fratelli, venite a liberarci dal giogo austriaco», il secondo7. Nei rapporti tra i due Paesi contavano dunque il nazionalismo e l’irredentismo, ma pesavano anche le aspirazioni di potenza. Il 24 maggio l’ambasciatore russo, Mikhail Nikolaevič Giers, dichiarò alla stampa che l’inizio delle ostilità avrebbe stretto i vincoli di amicizia tra Italia e Russia, fondati «non solo sul sentimento, ma su comuni interessi»8. Si riferiva alla concorde avversione all’Austria-Ungheria, ma soprattutto alle comuni ambizioni sui Balcani dove la crisi dell’Impero ottomano aveva lasciato un vuoto di potere; la «ripercussione decisiva sugli Stati neutri balcanici», come disse lui. L’Italia, come la Russia e l’Austria, voleva espandere il suo controllo sulla costa orientale dell’Adriatico. Nei rapporti con Vienna pesava pure la visita non restituita da Francesco Giuseppe al re d’Italia e pesava il clericalismo austriaco. E c’erano rivalità economiche e culturali.
Le relazioni tra Roma e Vienna non erano facili. Ma, da un lato, con il rinnovo dell’alleanza nel 1887 si erano promesse all’Italia delle compensazioni, non meglio definite, in caso di rottura dell’equilibrio balcanico. Dall’altro lato, per rinsaldare l’accordo, i governi della penisola rinunciarono alle velleità irredentistiche, reprimendone ogni risveglio spontaneo. Tuttavia, nonostante la durata trentennale, il patto mantenne una funzione strumentale e non creò un clima cordiale tra gli alleati. Al punto che il capo di Stato Maggiore dell’esercito austro-ungarico Franz Conrad von Hötzendorf, pensando che uno scontro con l’Italia sarebbe stato inevitabile, immaginò una guerra preventiva e, in diverse occasioni, elaborò dei piani di attacco; non da ultimo quando la penisola era provata dal terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908.
Sin dalla fine dell’Ottocento, dunque, Italia e Austria-Ungheria erano state alleate-nemiche. Con l’inizio della guerra si interruppero le comunicazioni telegrafiche dirette tra i due Paesi. Secondo la stampa, al momento della sospensione delle linee, il telegrafista austriaco avrebbe detto al collega italiano «arrivederci a Roma!», sentendosi rispondere con una frase «irriferibile, ma energica»9.
Il giorno precedente anche l’ambasciatore di Germania aveva chiesto il passaporto, nonostante il Paese non fosse formalmente in guerra contro l’Italia. Il principe Bernhard von Bülow lasciò Roma alle 21,30 del 24 maggio. Indossava un vestito nero con una lunga cravatta bianca, la moglie aveva un abito nero con dei pizzi. Prima di partire avrebbero raccomandato la residenza – Villa Malta – al giardiniere. Alla stazione a salutarli c’erano gli ambasciatori di Spagna. Ci fu una profusione di mazzi di fiori; la moglie era sorridente. Alle 21,45 un terzo treno allontanò anche i ministri di Baviera presso il Vaticano e il Quirinale10.
La stampa non si aspettava la partenza dei rappresentanti del Kaiser. Le edizioni mattutine dei giornali ipotizzavano che se Bülow avesse lasciato la penisola «oggi vi sarà, come si ritiene, la dichiarazione di guerra della Germania all’Italia»11. Non ci fu nessun inizio delle ostilità, ma l’ambasciatore lasciò lo stesso Roma.
In quei giorni i rapporti non erano facili nemmeno con la Germania, sebbene nel corso degli anni all’interno della Triplice i legami tra i due Paesi fossero stati intensi. Riguardavano gli ambiti finanziari, bancari, industriali, ma anche la filosofia e l’arte. L’Impero tedesco era il Paese della disciplina e della forza militare; era il Paese di Beethoven, Goethe e Wagner; ed era il Paese pure di Marx. I tedeschi erano stati alleati dell’Italia durante la Terza guerra d’indipendenza che si concluse con l’annessione del Veneto. Nella Triplice il vero alleato era l’Impero degli Hohenzollern, a cui il 24 maggio 1915 non si dichiarò guerra. Anche se nella propaganda di quei mesi, sudditi germanici e austriaci furono spesso confusi: erano tutti tedeschi, tutti «crucchi», tutti militaristi.
Il 24 maggio anche gli ambasciatori italiani a Vienna, Giuseppe Avarna, e a Berlino, Riccardo Bollati, chiesero i passaporti. Si incont...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. 1. In principio fu la Triplice
  3. 2. Negoziati controversi
  4. 3. Un piccolo re con un piccolo patto
  5. 4. Il visionario sconfitto
  6. 5. La potenza della piazza
  7. 6. Strategie d’intervento
  8. 7. Il silenzio non paga
  9. 8. Preti guerrieri
  10. 9. Il valzer delle bandiere
  11. 10. Fratelli d’Italia
  12. 11. Un posto al sole
  13. 12. Ladorna, scusate Cadorna
  14. 13. Adriatico infuocato
  15. 14. Codice penale militare, ma non per tutti
  16. 15. L’economia va in guerra e la fame morde
  17. 16. Da liberi cittadini a nemici internati
  18. 17. La guerra è donna
  19. 18. La parte migliore del Paese
  20. 19. Effetti collaterali
  21. 20. Il Piave mormorò, inizia la guerra, inizia la morte
  22. Abbreviazioni
  23. Bibliografia
  24. Ringraziamenti