Introduzione alla filosofia della mente
eBook - ePub

Introduzione alla filosofia della mente

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Introduzione alla filosofia della mente

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Come possono gli stati mentali essere cause di stati fisici? Qual è il posto della mente nell'ordine naturale? Che cos'è l'intenzionalità? È possibile spiegare la coscienza? Queste alcune delle questioni che hanno segnato il dibattito recente in filosofia della mente, oggi reso ancor più animato dalle scoperte empiriche della psicologia cognitiva e delle neuroscienze. In questa edizione, le teorie e le argomentazioni filosofiche sulla mente, nei loro nessi con i risultati della ricerca scientifica.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Introduzione alla filosofia della mente di Alfredo Paternoster in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Saggi di filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858116876
Argomento
Filosofia

Capitolo 1. Due o tre modi di essere materialisti

Buona parte delle discussioni che animano la filosofia della mente contemporanea ruotano attorno al problema di come conciliare una visione materialistica del mondo con la natura apparentemente non materiale dei fenomeni mentali. Nella filosofia odierna l’espressione «materialismo» viene comunemente usata per denotare la tesi secondo cui l’intera realtà è costituita da massa-energia e da quant’altro è contemplato dalla fisica di base: particelle elementari, forze, onde1. Userò pertanto indifferentemente «fisicalismo» e «materialismo» per riferirmi a tale prospettiva. Il fisicalista, beninteso, non intende sostenere che l’unica vera scienza della natura è la fisica, ma che questa è la scienza fondamentale, la più basilare, in quanto ogni processo chimico, per esempio, è riducibile, almeno in linea di principio, a processi fisici. Nella cornice teorica fisicalistica una pietra e una creatura dotata di mente non differiscono per la natura degli elementi costitutivi ultimi, ma per certe proprietà di organizzazione che investono il modo in cui tali elementi si combinano tra loro dando luogo a strutture di complessità crescente. Pertanto, quando si parla di materialismo o di fisicalismo in filosofia della mente, ciò che si intende è che le menti non sono «cose», o «sostanze», che fanno parte dell’arredo metafisico del mondo alla stessa stregua degli atomi, dei tavoli o degli organi di un corpo umano: le menti non sono nient’altro che il prodotto dell’attività del cervello. Niente cervelli, niente menti (né anime).
Il fisicalismo si è progressivamente imposto in opposizione alla dottrina del dualismo ontologico, la tesi cartesiana secondo cui la mente costituisce un tipo di realtà a sé. Descartes pensava infatti che nel mondo ci fossero due tipi fondamentali di enti o, in un linguaggio più classico, di sostanze: la res cogitans, la sostanza pensante, e la res extensa, i corpi materiali. Le menti sono altro dal corpo e da esso indipendenti; potrebbero esistere in assenza del corpo.
Quest’ultima tesi appare oggi inverosimile alla grande maggioranza degli studiosi principalmente perché mal si accorda con alcuni capisaldi dell’immagine scientifica del mondo, come la teoria dell’evoluzione o la possibilità di conferma empirica (gioverà ricordare a questo riguardo che, nonostante le molte critiche che le vengono rivolte, l’immagine scientifica del mondo si è guadagnata autorevolezza e consenso con una molteplicità di indiscutibili successi). Ciò non significa, tuttavia, che il materialismo sollevi meno problemi filosofici del dualismo. Se infatti ciò che chiamiamo «mente» non è che il complesso delle attività del sistema nervoso, resta da spiegare come ciò sia possibile: come fa un mero conglomerato di cellule, per quanto di grandissime dimensioni, a produrre proprietà così sofisticate e in apparenza del tutto estranee al mondo fisico come il pensiero, l’esperienza, il senso dell’io? E come è possibile coniugare l’apparente libertà delle proprie scelte in un quadro teorico sostanzialmente meccanicistico? Se non si danno risposte a queste domande, il materialismo, più che proporre una chiara visione in positivo di che cosa è la mente e di quale rapporto essa intrattenga col corpo, si limita ad essere la mera negazione del dualismo.
Il fisicalismo sembra, ad esempio, avere le risorse per venire a capo dell’annosa incapacità del dualismo di giustificare la coordinazione, l’armonia di funzionamento, tra mente e cervello. Le soluzioni invocate fin dal Seicento, dalla ghiandola pineale all’armonia prestabilita o all’intervento occasionale di Dio, sono tutte esplicativamente inadeguate. A prima vista nel fisicalismo questo problema semplicemente scompare: non c’è niente da sincronizzare perché c’è solo il corpo. Ma a questo punto il dualista può a buon diritto reclamare una spiegazione di come uno stato mentale, per esempio un’intenzione, possa causare un’azione fisica. In entrambi i casi sono in gioco dei fenomeni inspiegati.
Pertanto, se è vero che si possono portare alcuni solidi argomenti contro il dualismo, è altrettanto vero che anche le diverse teorie materialistiche della mente sono esposte a gravi difficoltà. Così, non deve stupire più di tanto che ci siano tutt’oggi alcuni autorevoli studiosi che si proclamano dualisti, e persino nel campo scientifico, come testimoniano i casi di John Eccles e Wilder Penfield.
Gli autori che difendono il punto di vista dualista insistono tipicamente sulla peculiarità dell’aspetto fenomenico o qualitativo del mentale. Se pensiamo agli stati mentali in primo luogo come a stati di esperienza, se cioè ci si concentra su che cosa si prova in questa o quella situazione (la tonalità di quel rosso, l’intensità di quel mal di denti, l’irresistibilità di quel desiderio, ecc.), l’idea di una radicale differenza ontologica rispetto agli stati e agli oggetti del mondo fisico scaturisce abbastanza naturalmente. Gli stati mentali non possono essere semplicemente stati fisici perché sono caratterizzati da alcune proprietà radicalmente estranee, almeno in apparenza, al mondo fisico. Questo argomento cartesiano è stato tuttavia fondatamente criticato sulla base della considerazione che uno stesso oggetto può avere due o più descrizioni diverse e nondimeno essere lo stesso oggetto. I sintagmi «Monte Bianco» e «il monte più alto d’Europa» esprimono due prospettive affatto diverse, ma unica è la cosa che designano. Analogamente, gli stati mentali caratterizzati nei termini delle loro proprietà fenomeniche potrebbero essere mere prospettive su stati cerebrali perfettamente descrivibili nel linguaggio delle neuroscienze; «mal di denti», per esempio, potrebbe essere un’espressione del linguaggio ordinario che in realtà denota la stimolazione di alcune fibre nervose, le fibre C. A dispetto di questa replica, tuttavia, l’impressione di un’irriducibile alterità dell’esperienza resiste e la questione del dualismo riaffiora almeno come problema di spiegare in che modo il corpo produce l’esperienza: per confutare completamente il dualismo si vorrebbe una teoria scientifica che descrivesse che cosa è l’esperienza in prima persona (cfr. infra, cap. 8).
Più in generale, il problema che si pone al fisicalista è quello di chiarire quale ruolo – se ne ha uno – dobbiamo attribuire alla mente in una prospettiva metafisica che contempla solo l’esistenza del corpo. Di che cosa stiamo parlando, esattamente, quando usiamo la parola «mente»? A prima vista si direbbe che le opzioni disponibili al fisicalista siano di due tipi: o ridurre la mente a qualcosa di ontologicamente non sospetto, identificandola cioè con qualcosa di materiale, o eliminare la mente, negando in modo puro e semplice la sua esistenza. In realtà, vedremo che il problema può essere affrontato in modo assai più articolato, fornendo un tipo di soluzione che non può essere sottomesso a questo schema un po’ drastico.
In questo capitolo esamineremo tre posizioni, che possono essere sintetizzate nelle seguenti formule:
a) la mente è identica al cervello: gli stati mentali si riducono agli stati cerebrali;
b) la mente non esiste;
c) la mente è (un insieme di disposizioni al) comportamento.
Ciascuna di queste posizioni ha un nome: riduzionismo (nella versione «teoria dell’identità»), eliminativismo, comportamentismo; a ciascuna di esse è dedicato un paragrafo. Il capitolo successivo è invece interamente dedicato a una posizione più articolata, il funzionalismo, che è un tentativo di esplicare in termini materialistici la mente senza tuttavia né ridurla né eliminarla.
Due precisazioni, prima di entrare nel merito, che giustificano entrambe il titolo un po’ bizzarro che abbiamo dato a questo capitolo. La prima è che, se si bada più alle comunanze che alle differenze, il comportamentismo può essere considerato una forma di eliminativismo. La seconda è che, come vedremo, il comportamentismo non è una vera e propria dottrina metafisica, una vera e propria teoria materialistica della mente. Emergeranno tuttavia chiaramente le ragioni per cui lo inseriamo egualmente in questo capitolo.

1. La teoria dell’identità psico-fisica

Il modo più ovvio di interpretare la tesi secondo cui la mente non è nient’altro che il prodotto dell’attività cerebrale consiste verosimilmente nel dire che, se per ogni stato mentale esiste un preciso correlato neurologico, allora lo stato mentale è identico a tale correlato. Per esempio, avere mal di denti è avere una certa stimolazione delle fibre C, esattamente nello stesso senso in cui il calore è il moto molecolare o l’acqua è H2O. Analogamente, ogni volta che crediamo o desideriamo qualcosa, per esempio che ci sia della birra in frigorifero, ci troviamo in una determinata configurazione neuronale. Questa tesi, che prende il nome di teoria dell’identità di tipo (o tipo-tipo), è stata avanzata negli anni Cinquanta da Feigl, Place, Smart e ripresa, in una cornice teorica diversa, da Armstrong e in generale dalla fiorente scuola filosofica australiana.
Per comprendere il nome che è stato dato alla teoria, dobbiamo fare riferimento alla cruciale distinzione, forse la madre di tutte le distinzioni filosofiche, tra particolari ed universali o, in una terminologia desunta da Peirce, tra occorrenze (tokens) e tipi (types). Nella parola «gatto», per esempio, vi sono cinque occorrenze di lettere (particolari), ma solo quattro tipi di lettere (universali), perché vi sono due occorrenze della «t». Analogamente, quando si parla di stati mentali, possiamo riferirci a occorrenze o a tipi: il mal di denti che sto provando in questo momento, o il mal di denti in generale, che io e voi possiamo provare in diversi momenti. Generalmente il contesto non lascia dubbi su quale sia l’interpretazione da dare all’espressione «stato mentale», come occorrenza piuttosto che come tipo. Per esempio, quando diciamo che due stati mentali sono identici (o che uno stato mentale è identico a un altro) chiaramente ciò che si intende è che si tratta di due occorrenze dello stesso tipo. Si parla anche di proprietà mentali, per denotare tipi di stati mentali, e di eventi mentali, per denotare occorrenze di stati2.
Dunque, come suggerisce il nome che è stato dato alla teoria, l’identità in questione non è soltanto tra uno stato mentale particolare (per esempio, il pensiero che ho in questo momento che è ora di andare a pranzo) e uno stato cerebrale particolare, bensì tra tutti gli stati mentali di un certo tipo e tutti gli stati cerebrali di un altro tipo, ovvero tra una certa proprietà mentale e una certa proprietà cerebrale. Ogni volta che io o voi pensiamo che è ora di andare a pranzo ci troviamo in uno stato cerebrale di uno stesso e unico tipo, ed è in questo senso che il tipo di stato mentale denotato da «credere che sia ora di andare a pranzo» è identico a un certo tipo di stato cerebrale3.
La teoria dell’identità è un tipico esempio di dottrina riduzionistica. L’idea è che una caratterizzazione appropriata degli stati mentali debba passare attraverso una riduzione interteorica. La temperatura di un gas, per esempio, è identica all’energia cinetica media delle molecole che lo compongono. Questo genere di identità prende il nome di legge-ponte; un insieme di leggi-ponte consente di ridurre la teoria di alto livello a quella di basso livello, in questo caso di ridurre la termodinamica, una branca della macrofisica, alla meccanica statistica, che è microfisica. Analogamente si presume che ci siano leggi-ponte tra neurologia e psicologia così da poter ridescrivere uno stato postulato da una teoria psicologica di alto livello nei termini di proprietà di livello neuronale e, indirettamente, di livello fisico.
Queste considerazioni evidenziano come la nozione di riduzione interteorica comporti sempre un intreccio di due piani diversi, il piano ontologico (o metafisico) ed il piano epistemologico. La riduzione in senso epistemologico è una spiegazione dei fenomeni descritti da una teoria T nei termini di una teoria di livello inferiore, più fondamentale, T’; si ha invece riduzione in senso ontologico quando l’insieme di fenomeni ridotto non presuppone l’esistenza di nessun altro ente oltre a quelli coinvolti nei fenomeni riducenti. I sostenitori della teoria dell’identità contraggono, nel fare un’affermazione di portata chiaramente ontologica, anche un impegnativo debito epistemologico: ipotizzano l’esistenza di un insieme di leggi-ponte, ad oggi del tutto sconosciute, che connetterebbero psicologia e neuroscienza. In questo senso la tesi metafisica dell’identità psico-fisica può essere considerata alla stregua di un’ipotesi scientifica che guida un programma di ricerca.
Il maggior pregio della teoria dell’identità è evidente: rimuove qualsiasi appello a magici parallelismi o altri bizzarri meccanismi di interazione (tipo ghiandola pineale) caratteristici di questa o quella versione del dualismo. Gli stati mentali possono causare stati fisici perché sono stati fisici. Inoltre, in virtù della postulazione di leggi-ponte psico-fisiche, la teoria dell’identità promette di ricomprendere la psicologia all’interno delle scienze della natura.
L’obiezione della realizzabilità multipla. La tesi secondo cui tutte le occorrenze di un dato tipo mentale sono identiche a occorrenze di uno stesso tipo cerebrale è stata oggetto di una critica, dovuta a Putnam (1967), che ha minato la credibilità della teoria dell’identità. Il fatto che una proprietà mentale sia identica a una proprietà cerebrale comporta, per esempio, che tutte le volte che io e Simone crediamo che ci sia della birra in frigorifero ci troviamo nello stesso stato cerebrale, un’assunzione chiaramente molto vincolante. Se poi si considera che talora attribuiamo stati mentali anche ad animali, ne scaturisce l’assurda conclusione che due animali aventi cervelli diversi devono trovarsi in configurazioni cerebrali identiche ogni qual volta condividono uno stato mentale. Quando ho paura di essere divorato da uno squalo dovrei trovarmi nello stesso stato cerebrale di una sardina!
Una prima possibile mossa del riduzionista per fronteggiare questa obiezione consiste nel dire che una proprietà mentale è identica alla disgiunzione di tutte le proprietà cerebrali che la realizzano: supposto che uno stato mentale M sia realizzabile da k stati fisici distinti P1, P2,...Pk, si può porre M = P1 v P2 v ... Pk. Questa non è, tuttavia, una risposta molto soddisfacente, perché una disgiunzione di proprietà non è considerata, in generale, una proprietà genuina. Un semplice esempio: essere rosso ed essere quadrato sono proprietà genuine, ma è assai dubbio che essere rosso oppure quadrato sia una proprietà legittima; se tale la volessimo considerare, allora qualsiasi disgiunzione di predicati denoterebbe una proprietà, il che è intuitivamente implausibile4.
Una risposta migliore, ma solo parziale, consiste nel relativizzare l’identità alle specie: solo all’interno di sistemi della stessa specie ha senso parlare di identità tra stati mentali e stati fisici. E più in generale si può forse interpretare la teoria dell’identità in modo più flessibile, nel senso di supporre che le classi di stati mentali candidati alla riduzione siano abbastanza ristrette ed omogenee da rendere plausibile l’identità con il tipo sottostante. In quest’ultimo caso c’è tuttavia da dubitare che gli stati mentali del senso comune, come la credenza o il desiderio, siano buoni candidati alla riduzione. Resta così l’impressione che la critica di Putnam non sia del tutto aggirabile, e non è un caso che la versione di materialismo più accreditata consista in una versione radicalmente emendata della teoria dell’identità, più debole, che postula identità tra occorrenze invece che tra tipi (cfr. infra, cap. 3).
Altre obiezioni. Un’...

Indice dei contenuti

  1. Avvertenza alla nuova edizione
  2. Introduzione
  3. Parte prima. Mente-corpo
  4. Capitolo 1. Due o tre modi di essere materialisti
  5. Capitolo 2. Il funzionalismo
  6. Capitolo 3. Cause mentali
  7. Parte seconda. Mente-mondo
  8. Capitolo 4. Il contenuto intenzionale
  9. Capitolo 5. Percezione
  10. Capitolo 6. Tipi di rappresentazione mentale
  11. Parte terza. Mente-mente
  12. Capitolo 7. Architettura della mente
  13. Capitolo 8. Coscienza
  14. Riferimenti bibliografici
  15. Postfazione. Gli sviluppi degli ultimi dieci anni
  16. Glossario