C'era una volta la Dc
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C'era una volta la Dc

Intervento pubblico e costruzione del consenso nella Ciociaria andreottiana (1943-1979)

  1. 190 pagine
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C'era una volta la Dc

Intervento pubblico e costruzione del consenso nella Ciociaria andreottiana (1943-1979)

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La Ciociaria è la provincia 'bianca' per antonomasia ed è sempre stata legata a doppio filo con la Dc più filo-vaticana.

In queste pagine Tommaso Baris indaga il modo in cui la corrente andreottiana, «in uno dei territori di sua massima forza elettorale», ha costruito il suo consenso nella società locale, analizzando gli strumenti adottati dalla classe dirigente democristiana «per parlare ad un paese uscito distrutto dal secondo conflitto mondiale. Affrontando il problema del ritardo storico del Mezzogiorno, della modernizzazione industriale, della crescita del reddito anche per i settori popolari, in continuo e costante confronto/scontro con le proposte della sinistra, l'analisi delle vicende ciociare – dalla seconda guerra mondiale ai primi anni Ottanta – ci parla quindi della proposta politica con cui la Dc ha saputo conquistare la maggioranza della popolazione». E di come anche uno dei suoi massimi leader, Andreotti, al pari di molti colleghi di partito in altri contesti territoriali, seppe servirsi delle scelte politiche nazionali per costruirsi una solida egemonia locale, tanto forte da apparire emblema del rapporto tra la Dc e l'Italia intera.

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Informazioni

III. La grande trasformazione: industrializzazione e politica in provincia di Frosinone (1961-1972)

1. L’uscita dalla crisi: la scelta dell’industrializzazione da parte della Democrazia cristiana (1961-1963)

I primi anni Sessanta si aprivano con la classe dirigente provinciale in evidente difficoltà. Un segnale dello scollamento esistente fu rappresentato dalla gestione dell’ordine pubblico in occasione dello sciopero delle maestranze del saponificio Annunziata nei pressi di Ceccano.
Si trattava di un grande complesso industriale, dove si producevano i prodotti del marchio Scala, distribuiti con successo nelle principali città italiane1. Alla modernità degli impianti e della comunicazione aziendale non corrispondeva un’equivalente gestione delle relazioni industriali. «Non si rispettavano i contratti, non si rispettavano le leggi sociali, non si rispettavano i diritti sindacali, nessuno poteva parlare. Ti faceva lavorare un giorno 4 ore di straordinario, ma non le pagava, magari facendole recuperare nei giorni successivi... una situazione assolutamente di illegalità», racconta l’allora deputato comunista Compagnoni, nato e residente a Ceccano2. Nell’estate del 1953 erano stati licenziati undici lavoratori colpevoli di essersi riuniti, fuori dall’orario di lavoro, in una casa privata per ottenere il riconoscimento della Commissione interna. Cinque anni più tardi erano state cinque operaie a perdere il loro posto di lavoro per aver parlato con gli ispettori del lavoro inviati in azienda3. Nello stabilimento non vi era neppure una precisa divisione in turni regolari. Racconta un operaio del saponificio4:
Certe volte si facevano anche dodici ore... perché non ci stava una regola, mancava il personale [...] perché arrivava, non so, un cambio di fusti di grasso [...] e allora ti dicevano: «Dove vai, che devi staccare?». «No fermati, prima si scarica l’autotreno e poi te ne vai». [...] magari smontavi la mattina, perché si erano incominciati a fare i turni, no... smontavi la mattina, alle nove o alle dieci, ma ti veniva uno a chiamare e ti diceva: «Guarda che ora devi rientrare perché quello non è venuto», e allora si doveva rimpiazzare quello là...
Dinanzi ad una simile situazione, nei mesi conclusivi del 1961 si svilupparono una serie di agitazioni per ottenere miglioramenti salariali, seguite da uno sciopero ad oltranza su cui concordarono la Cgil, maggioritaria nelle elezioni per la Commissione interna con tre seggi, e la Cisl, minoritaria con un solo rappresentante5.
Le due organizzazioni decidevano poi un’altra mobilitazione per il mancato rispetto degli accordi sulla riqualificazione degli operai e la concessione di un premio per la festività del 4 novembre. L’agitazione scattò il 25 aprile del 1962 con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento delle rappresentanze sindacali, l’eliminazione dei contratti a termine, la definizione delle gratifiche e l’istituzione di un premio di produzione. Su circa cinquecentosessanta occupati, solo una sessantina di persone si recò in fabbrica, suscitando la protesta degli scioperanti, che cercarono, picchettando gli ingressi, di bloccare l’uscita e l’entrata di ogni merce. Da ciò i primi incidenti con la polizia, collocatasi davanti alla fabbrica. Racconta un operaio:
Noi stavamo là per paura che andavano i crumiri a lavorare... magari entravano delle macchine a caricare o scaricare... stavamo lì per bloccare queste iniziative [...] ed ogni tanto la polizia faceva delle cariche [...] loro magari cominciavano con il manganello e poi magari ci stava la sassaiola che partiva [...] ci si difendeva, ci difendevamo, quando loro cominciavano [...] può darsi che qualche volta è partita pure la sassaiola per prima, ma non troppo guarda...6.
L’assunzione, contro il parere dell’Ufficio di collocamento, di alcuni dipendenti da parte di Antonio Annunziata, proprietario del saponificio, per mandarli nella fabbrica presidiata fece saltare il fragile equilibrio stabilitosi tra manifestanti e forze dell’ordine. Il 28 maggio, mentre i neoassunti uscivano dallo stabilimento «scortati da carabinieri e da agenti di Ps», furono fatti oggetto del lancio di sassi nel tentativo di respingerli verso il cancello della fabbrica. A questo punto – si legge nel rapporto prefettizio – «lo sparo di un colpo di arma da fuoco, a scopo intimidatorio, da parte di un carabiniere ferito veniva fatalmente seguito da altri spari», che colpirono cinque lavoratori provocando la morte di Luigi Mastrogiacomo, ai cui funerali parteciparono quindicimila persone.
Non solo i partiti di sinistra, ma anche il segretario provinciale della Cisl, Nicola Sferrazza, fu ritenuto dal prefetto colpevole, con la sua «intransigenza», di aver concorso «in modo determinante, a creare le premesse inevitabili del deprecabile episodio»7. In realtà benché la prefettura attribuisse sbrigativamente «la causa dei luttuosi avvenimenti del 28 maggio [...] alla esasperazione degli animi provocata dai sindacalisti», la vicenda di Ceccano evidenziava le contraddizioni caratterizzanti la provincia dopo anni di governo democristiano8. Nell’imprenditoria privata le pratiche autoritarie predominavano, tanto da costringere lo stesso prefetto di Frosinone a stigmatizzare, nel caso di Annunziata, «la caparbietà del datore di lavoro, sprezzante difensore del suo egoistico interesse e, come tale, ostinatamente insensibile ai reiterati interventi degli organi di mediazione»9. Nel dibattito parlamentare sui fatti di Ceccano la sinistra Dc, al pari dei deputati provenienti dal sindacato cattolico, contestò la ricostruzione, troppo indulgente con la polizia, presentata dal ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani10.
Era la conferma delle difficoltà in cui si dibatteva la Democrazia cristiana, incerta su come governare la crescita economica di quegli anni e su quale dei suoi settori sociali di riferimento sacrificare ad una politica di riforme11. Nel Frusinate il partito di Moro, in occasione delle politiche del 1963, conseguiva «nei due collegi Senatoriali di Frosinone e di Sora-Cassino, il 41,1% dei voti validi» contro il 47,01% raggiunto nel 1958. Alla Camera si attestava al 47,7%, perdendo quasi 4 punti. Si trattava di un calo consistente (circa 14.500 voti al Senato e 13.000 alla Camera), considerato indizio del crollo imminente, in una delle sue basi più solide, del sistema di potere della «Balena bianca». Così il «Tempo»:
è fuor di dubbio perciò che nella crisi della provincia «bianca» di una volta, si stia assistendo alla fine di un mito, di un mito fatto di potere assoluto, di sottogoverno senza scrupoli, di clientelismo. È vero che la Dc ha attraversato una crisi sin troppo profonda in un recente passato, ma è altrettanto vero che nemmeno nelle amministrative del 1960 i suoi dirigenti hanno voluto ascoltare il duro monito delle urne ed hanno continuato a baloccarsi nella suddivisione delle cariche12.
La sensazione di disfatta era accresciuta dalla sorpresa. Pochi giorni prima Aldo Maffey, giornalista del «Messaggero», aveva espresso, in vista delle vicine elezioni, previsioni di segno opposto:
a Frosinone è opinione comune che la Dc possa riguadagnare i voti persi nelle amministrative del 1960 e addirittura migliorare il risultato del 1958. La campagna elettorale Dc è qui facilitata dai progressi economici registrati in questi ultimi anni per l’operosità delle amministrazioni locali, quasi tutte Dc, e l’intervento dello Stato13.
La sconfitta elettorale giungeva, dunque, inattesa. Solo il mondo delle campagne restava legato alla Dc, specie nella parte meridionale14. Non a caso la Coldiretti cresceva ancora: nel Frusinate, alle elezioni per le casse mutue comunali tenute nel 1961, raccoglieva 22.469 voti contro le 275 preferenze della comunista Alleanza dei contadini15.
Di contro all’arretramento democristiano il Pci conquistava il 28,6% nel collegio senatoriale di Frosinone, dove era stato candidato il leader contadino Compagnoni, con una crescita di oltre 6 punti rispetto al 1958, mentre a Cassino si attestava intorno al 15,2%, avanzando del l’1,7%. Alla Camera i comunisti crescevano poi di quasi 4 punti, passando dal 17,7% al 21,6%. Il Psi invece otteneva l’11,2% dei suffragi, aumentando dell’1%, mentre il leggero calo nel collegio senatoriale di Frosinone (-0,8%) era compensato dalla conquista di 4 punti in quello di Cassino, dove i socialisti salivano al 14,4%. Il Psdi cresceva vistosamente, passando dal 2 al 6% alla Camera e dal 3,4 ad oltre il 7% nel collegio senatoriale di Cassino. In quello di Frosinone i socialdemocratici, grazie all’elezione di Dante Schietroma sfioravano l’11%, raddoppiando i loro voti rispetto a cinque anni prima.
Complessivamente, la Dc recuperava consensi rispetto alle provinciali, ma il suo arretramento era consistente. Le forze di sinistra crescevano in maniera chiara, mentre la destra restava stabile, con una redistribuzione di voti favorevole a liberali e missini a scapito dei monarchici. A preoccupare di più le autorità governative era, comunque, il calo di suffragi registrato dallo scudo-crociato. La ragione del suo «sensibile passo indietro» veniva individuata nella «sensazione, largamente diffusa, che il partito di maggioranza abbia accentuato, in questi ultimi tempi, e segnatamente in questa provincia, gli aspetti negativi del sottogoverno». Insufficiente era apparsa la riorganizzazione tentata dal segretario Chianese. L’uomo politico di Esperia, sebbene considerato energico e dinamico, non era riuscito a cancellare le rivalità intestine. «La propaganda degli esponenti democristiani» aveva avuto «tranne isolati casi, un carattere del tutto personale» e aveva «mirato esclusivamente a procacciare voti al singolo candidato, con la conseguenza di frequenti, deprecabili tentativi di sopraffazione reciproca o di atteggiamenti ispirati ad aperti favoritismi», spiegava la prefettura.
Ne era scaturita la mancata elezione alla Camera dello stesso Chianese, con conseguente delusione delle «aspettative della zona, che ha visto sfumare la prospettiva di un parlamentare democristiano di origine ciociara e di promettenti risorse». «Analoga delusione» aveva destato il nuovo insuccesso di Lisi, «circondato da notevole seguito nel comune di Alatri e centri viciniori, rimasto alle porte, come nelle precedenti elezioni, per pochi voti»16.
A trionfare invece, per numero di preferenze raccolte, erano, ancora una volta, gli andreottiani. Il loro leader si attestava a quota 42.328, pari a più di un quinto dei suffragi personali ottenuti nell’intera X...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. I. La nascita della democrazia dei partiti in provincia di Frosinone (1943-1948)
  3. II. Anni Cinquanta: il decennio democristiano dall’egemonia alla crisi (1949-1960)
  4. III. La grande trasformazione: industrializzazione e politica in provincia di Frosinone (1961-1972)
  5. IV. Benessere senza crescita: gli anni Settanta in pillole (1973-1979)
  6. Sigle e abbreviazioni
  7. Ringraziamenti