Pier
eBook - ePub

Pier

Tondelli e la generazione

  1. 122 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Pier

Tondelli e la generazione

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Pier non è tanto loggetto, piuttosto linterlocutore di queste pagine. Per me, il segnale più convincente dei suoi meriti è quanto, ancora oggi, fa pensare leggerlo.»

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Pier di Enrico Palandri in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858102664

III. La frattura

Per capire, basta camminare per una qualsiasi città italiana: i palazzi signorili sono circondati da abitazioni più modeste dove abitavano artigiani, servi, i clientes del mondo romano. Gli altri, si vorrebbe pensare, non sono mai stati di troppo per noi italiani. Li troviamo come personaggi coloriti nelle narrazioni di Orazio e di Boccaccio, di Da Ponte e di Elsa Morante. Eppure c’è un momento in cui questa Italia buona e accogliente diviene feroce, persecutrice, fascista. L’espulsione del diverso, sebbene antica quanto il mondo, è anche una costruzione contemporanea. Ha una sua transtoricità mitica, come Edipo che scopre di essere lui e non altri la ragione della peste di Tebe. Ma ha allo stesso tempo una sua forma storica, fatta di condizioni descrivibili.
Negli anni del piano Marshall, l’Italia si trova invasa per la prima volta in modo massiccio da prodotti culturali nordamericani. Film, canzoni, romanzi. Ma per la prima volta ha a che fare anche con il sistema di apartheid anglosassone. In Sudafrica o nel sud degli Stati Uniti l’apartheid razziale è stato profondamente criticato, ma ha sempre mantenuto invece una sua legittimità in quanto fatto economico. Quello che scandalizza nelle discriminazioni di razza, non scandalizza quando afferma diversità di reddito.
Dal cinema e dai romanzi italiani di questi anni vengono espulsi i ladri di biciclette. I centri storici delle nostre città divengono zone ricche che allontanano la popolazione proletaria. Questo processo appare inevitabile, quasi naturale, ma è carico della stessa violenza. In architettura il sistema di apartheid, che vuole semplicemente dire separazione, è il compound residenziale, diffusissimo negli Stati Uniti dove i campi da golf e persino alcune stazioni sciistiche sono sorvegliati da polizie private, o ancora più drammaticamente nel mondo arabo, dove colonie di occidentali che lavorano nel petrolio abitano in veri e propri fortini, come in un western in cui la conquista di territori circondati dai pellerossa sia diventata il paradigma di un modo di abitare. Il modello è Fort Alamo, con David Crockett che difende la postazione contro feroci indigeni che lo vorrebbero cacciare. Tutta l’epica western racconta questa storia, si ripropone con assalti alla diligenza di indiani anonimi, senza nessuna personalità individuale, che ululano nella loro inadeguatezza tecnologica alla guerra il rifiuto di un futuro destinato alla sconfitta, mentre un gruppo umano che raccoglie medici ubriaconi, ex prostitute, giovani in cerca di avventura, si addentra in un territorio vergine per fare l’America.
L’immagine del mondo arabo che accompagna le guerre di questi anni non è molto più eloquente. Scarsi tentativi di spiegare attraverso i potentissimi mezzi di informazione che possediamo cosa sia il Corano, i sunniti e gli sciiti ritratti come gli Apache e i Cheyenne, pittoreschi gruppi umani di cui non vale davvero la pena imparare i costumi o la lingua, tanto spariranno. Gli eroi restano i nostri, l’avamposto di giovanotti che si sforza di portare i valori della democrazia e della libertà, del progresso economico, il settimo cavalleggeri che sfida i selvaggi e i nomadi, anche quando questi eroici giovanotti torturano i prigionieri per far passare il tempo. Come per i protagonisti dei western, avere un passato moralmente dubbio e comportarsi male fa parte del copione. Sarà ammazzando un indiano che ci si riscatterà, salvando la vita di qualche compagno. Anzi, tanto più la vita è stata professionalmente e moralmente sprecata, tanto più luminoso diviene il sacrificio finale. A partire dalla seconda guerra mondiale anche noi italiani vorremmo essere considerati americani. Purtroppo Ustica e la tragedia del Cermis, per non speculare sulla strategia della tensione degli anni settanta, ci ricordano che siamo invece Apache e Cheyenne. Indiani metropolitani, come dicevamo allora.
Questo scontro tra benessere ed espulsione è il cuore del conflitto generazionale italiano ed europeo degli anni settanta, da cui venivamo noi. Non tanto, o comunque non solo la richiesta di giustizia sociale, propria della tradizione marxista, ma la protesta contro la segregazione, la ribellione alla condizione di non garantiti che esclude, rende invisibili, sfratta ai margini della città. Passiamo rapidamente da un’epoca in cui l’Enrico IV di Shakespeare passa le notti nella città vecchia e si lascia guidare nella propria formazione da un vecchio puttaniere come Falstaff, oppure Giacomo Casanova, figlio di un’attrice, cerca di farsi riconoscere dal patrizio veneziano Grimani, a un’epoca in cui la distanza tra i gruppi umani diviene inattraversabile. A fianco alle condizioni poste dalle socialdemocrazie come dagli Stati fascisti c’è il vuoto, la non esistenza.
A braccare Pier non fu tanto o solo qualche denuncia, ma soprattutto gli inquilini del terzo piano di Polanski, la vigilanza poliziesca del conformismo. Non era più uno scontro tra classi sociali, ma appunto uno scontro generazionale. All’inizio erano solo giovani, più tardi saranno drogati, alla fine immigrati, cioè il mondo intero, tutti rimescolati in un unico blocco oggetto dei pregiudizi della piccola borghesia. Un nemico alle porte che consente di alzare gli scudi e trincerarsi nel proprio appartamento, nella famiglia, contro gli altri. Il proprio diritto contro coloro che non hanno diritti. I garantiti contro i non garantiti.
All’inizio io e Pier fummo espulsi quasi insieme. Lo saremmo comunque stati per carattere. Nel mio caso perché la difficoltà di integrazione è sempre stata un corollario quasi universale del nomadismo. Pier invece viene respinto perché la sua simpatia per il mondo che sta oltre la comunità di origine racconta all’Italia, come già aveva fatto Giacomo Leopardi, l’oppressione personale di chi ama e vuole l’altrove, il desiderio di diversità. Ogni libro di Pier ha una spinta a uscire, lasciare le origini in cerca del mondo, una ricerca che alla fine del suo percorso artistico e proprio nel momento del ritorno in Camere separate appare necessaria e inevitabile. Ciò che è alle spalle non lo comprende più: non lo accoglie nella sua identità sessuale, ma soprattutto lo respinge per il pericolo e l’avventura che hanno caratterizzato la sua scelta.
Ma queste sono ragioni personali. Chi fin dai suoi primi libri indicava Pier e me per descrivere una nuova tendenza della letteratura italiana, parlava naturalmente di un fatto più ampio di noi, leggeva i nostri libri non per le loro qualità ma perché erano espressione di un disagio generazionale: il punto sensibile di un conflitto tra solidarismo di origine contadina e poi operaio, ancora fortissimo in Italia tanto nella sua versione cattolica che in quella socialista, e le improvvise insicurezze di chi, economicamente e culturalmente escluso dai partiti e dalle chiese, doveva spostarsi. Eravamo i primi segni di una condizione orfana, di un territorio che appariva fuori dalla storia, fuori dalla grammatica che cercava di analizzarci. Ci leggevano un po’ tutti in chiave sociologica, e questo era forse inevitabile, non solo per la particolare situazione della società, che si trovava di fronte alla vera e propria barriera generazionale rappresentata dal compromesso storico, ma anche perché il dibattito letterario, compreso tra realismo e sperimentalismo, era inadeguato a quanto iniziava a mostrarsi in Boccalone e Altri libertini.
Quei libri vendettero molto, ma non attraverso una promozione commerciale. Al contrario, furono in generale oggetto di una ostilità, non solo letteraria, che era allora molto palpabile. Nei primi libri di Pier sembra quasi di poter sentire lo strappo, un urlo in cui si cercano gli altri superstiti di una società dove un’ondata di benessere ha sgangherato le alleanze sociali e ci ha trasformato in tanti marginali in caduta libera, senza rete, una società che non terrà più con sé i propri figli. Una società che non farà quasi più figli.
A volte i segni di questa frattura sono cantati nei libri di Pier come in una danza di guerra, dalla celebrazione dell’hashish in Pao Pao fino all’affermazione gioiosa, effusiva della propria omosessualità nella prima parte di Camere separate. Non eravamo affatto nell’epoca distratta e permissiva che si affermerà negli anni successivi, ma di fronte a un’Italia persecutoria. Sono libri che contrastano vivacemente con i temi e lo stile delle narrazioni della generazione precedente e trovano invece lettori che si identificano senza complessi in quel mondo, il mondo dei non garantiti. Nomadi, senza partiti, senza progetti di potere ma piuttosto espressione di una vitalità dei margini, di chi non fa il capopopolo, di compagni di naja o di avventura che non affrontano la storia ma le storie.
Sulla parola «garantiti» i giovani degli anni settanta proiettavano d’altra parte una grande ostilità. A chi allora aveva vent’anni il mondo dei garantiti appariva fatto di convenienze e conformismi. Avere un posto sicuro, un’assicurazione per ogni evenienza negativa della vita, dall’incendio allo scippo che si può subire fuori di casa propria, appariva una rinuncia a vivere. Come diceva una bella canzone dei Gufi di almeno un decennio prima: io vado in banca, stipendio fisso, così mi piazzo e non se ne parla più. L’utilitaria, la prendo a rate, e per l’estate mi faccio un vestito blu. La nostra espulsione era provocata, era un’autoespulsione. I ribelli non se ne sarebbero andati docili nella loro buona notte ma infuriando contro il morire della luce, per parafrasare una famosa poesia di Dylan Thomas. Dal punto di vista della psicanalisi e del mito, i giovani che attaccavano i conformismi dei propri genitori erano tanti Edipo inconsapevoli che uccidevano Laio. In fondo è sempre così, ogni generazione porta un’ondata di storia, libera il nuovo opponendosi a ciò che era nuovo e si è ormai cristallizzato, cerca di far emergere una verità che è lo spazio non ancora occupato commercialmente o retoricamente, lotta per ciò che diviene, che arriva, è assetata di suoni, odori e parole non bruciate dai vecchi. I giovani sono pericolosi, pieni di desideri non strutturati in un destino professionale, pieni di sesso e di voglia di sesso e pieni di amore e di voglia di amore che spesso non coincidono, travolgono e si confondono in parole e comportamenti che sembrano solo manierismi e mode, ma sono anche terribilmente scoperti in una ricerca di vita e autenticità che magari si consuma nel tempo trascorso seduti su un muretto fuori da un bar, come cani che gironzolano intorno a una cagna in calore. Vogliono esserci e hanno poche opportunità di riuscirci, lo sanno benissimo. Presto la stagione della riproduzione passerà, le occasioni saranno sfumate, subentrerà un altro senso del tempo che non sarà più la storia che si fa ma un passo indietro, saggio e però al tempo stesso fatale, perché mescola il proprio destino a mille destini e da quel punto in poi non ci saranno più rivoluzioni, la propria storia diventerà una storia infinitamente relativa, i punti di vista non faranno che moltiplicarsi. Il desiderio di affossare il vecchio, di rivoltarsi contro gli anziani per riprendersi la vita, le città, il proprio tempo, ha un’urgenza esasperata proprio perché si sa che si corre verso un’età in cui non si potrà che ritrovarsi in mano i momenti della propria emancipazione trasformati in date da commemorare, luoghi comuni da difendere contro l’irrequietezza di chi affacciandosi al mondo vorrà a sua volta nuovo spazio per esserci e crescere.
Semmai è straordinario che a un certo punto questo in Italia non sia più accaduto e che oggi un’altissima percentuale di giovani viva ancora nella famiglia di origine. Questa è stata la vera svolta. La madrepatria diventa un ambiente totale, sopprime il prossimo conflitto. Non ci saranno nipoti oppure verranno anche loro a vivere con noi, distruggendo possibili altre famiglie, riassorbendole in una eternità che pare senza regole e che invece afferma la prepotenza di Crono, che divora uno dietro l’altro i figli per paura di essere usurpato.
Pier all’inizio è completamente immerso in questo universo espulso dalla società, dalle caserme, dalle scuole, dai benpensanti. Espulso o autoespulso non fa alla fin fine molta differenza, dipende un po’ dalla prospettiva da cui si osserva. Nei primi due libri, Altri libertini e Pao Pao, la notte e l’amicizia sono le vie della fuga, strettamente legate all’andare a farsi uno spinello o all’effusione di sentimenti, espressioni di alterità, di opposizione alla normalità. Era il tema fondamentale del movimento degli anni settanta. Mentre leggevo Pier, a me sembrava di vederlo: uno dei tanti miei coetanei che lanciava segnali di riconoscimento alla sua tribù, che anche se non era esattamente la mia, perché le segmentazioni e le differenze sono numerosissime in ogni generazione, mi era comunque familiare. Un mio simile, un mio possibile amico.
A fianco del movimento, che nelle sue varie espressioni lambiva una grande parte della nostra generazione, c’era il terrorismo, di destra e di sinistra. Ma una certa forma di clandestinità era obbligatoria anche per chi non era terrorista e persino per chi non era nel movimento. L’epoca dei condomini puliti e delle città che si sognano senza immigrati e senza poveri è fatta di una continua produzione di clandestinità: sono clandestini gli amanti, ma anche la masturbazione e la pornografia per chi immagina rapporti sessuali che non ha, o i respiri trattenuti nel coito pensando ai vicini di casa, o i passi degli altri inquilini, il non fate rumore bambini oppure i ma si può uscire conciati così? cosa dirà la gente?... Non facciamo che immergerci nella disapprovazione degli altri, pieni di colpe, per sentire alla fine il sollievo del perdono e della comprensione. Oppure la punizione, le dita del poliziotto che ti battono su una spalla dopo un furto, il vero piacere della trasgressione secondo Jean Genet. Il movimento in quegli anni era prima di tutto uno spazio di liberazione di questa straordinaria repressione che avvertivamo intorno e dentro di noi. Nel movimento si voleva innanzitutto urlare, come dice la poesia di Allen Ginsberg, per strada e in casa, non importava davvero cosa. Come i soldati di Orvietnam, uscire da lì per essere altro. Anche se poi non sarebbe stato possibile essere altro che questo: un nevrotico alternarsi di norma e ribellione.
Nel nostro primo incontro non ho cercato una risposta a quanto genuino fosse l’urlo di Pier, e negli anni successivi la domanda è diventata irrilevante. Lo spazio della rivolta è stato fatalmente invaso da nuovi conformismi, che rendevano commercializzabile anche la ricerca di una diversità. Anzi soprattutto quella, quasi che il movimento non fosse altro che la scoperta (e lo scopritore) di un nuovo settore di mercato. Invece Pier ha affermato un mondo che era davvero il suo mondo, sempre più solido e riconoscibile. E quanto il mondo di Altri libertini gli somigliasse è oggi poco importante: col tempo quel mondo è scomparso o comunque è cambiato molto, i libri di Pier invece li leggiamo ancora.
La giovinezza si identifica in quei primi libri con il cercare di sfuggire dall’inquadramento, dal paese o dalla caserma di Orvietnam, entrambi percepiti come carceri, cioè dall’insieme di condizioni che costituiscono l’atmosfera autoritaria e repressiva della provincia italiana. Serate nebbiose in piccole città in cui dopo le otto non si vedeva più nessuno in strada, un bar alla stazione e a volte un altro nella piazza principale mentre una pantera della polizia girava a passo d’uomo per vedere e controllare, fermare i tipi sospetti, ribadire una frontiera che difendeva la gente perbene dagli altri. Un mondo filmato molto bene da Bernardo Bertolucci nel suo bellissimo Prima della rivoluzione, o meravigliosamente descritto da Lucio Mastronardi, con la vergogna e il disperato tentativo di scomparire nelle apparenze del maestro di Vigevano. Noi, con le canzoni di De André, che a sua volta metteva in musica François Villon o traduceva Georges Brassens, seguivamo invece un cantautore curioso del mondo che gironzolava per via del Campo e annusava la città vecchia, ci infilavamo in quella frattura per passare dall’altra parte, per evadere da un controllo. Gli zingari felici di Lolli, i contrabbandieri di pensieri di Heinrich Heine in Deutschland.
Il mondo di Altri libertini e Pao Pao mi pare oggi molto familiare, le persone che ci siamo trovati a frequentare io e Pier, magari in periodi diversi, soprattutto a Bologna, sono spesso le stesse. Il sospetto che lui sfruttasse voyeuristicamente una situazione mi è passato. In fondo questo sospetto faceva anche di me un poliziotto, un...

Indice dei contenuti

  1. I. Un racconto, non la storia
  2. II. Una sera a Carpi
  3. III. La frattura
  4. IV. Perché vai di là?
  5. V. Una generazione senza gruppi
  6. VI. Londra o la musica delle generazioni
  7. VII. Visti dai fratelli maggiori
  8. VIII. Anni ottanta
  9. IX. I tondelliani
  10. X. Scaricare Tondelli
  11. XI. Il tempo del romanzo
  12. Bibliografia
  13. Ringraziamenti