Storia degli Stati Uniti
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Storia degli Stati Uniti

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Storia degli Stati Uniti

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«Negli ultimi anni New York è tornata a superare gli 8 milioni di abitanti; a Queens, Brooklyn, Staten Island sono nate nuove comunità etniche che hanno portato nuovo slancio e ricchezza alla vita economica, culturale e sociale di quella che continua ad essere la metropoli globale per eccellenza. Proprio qui nel 2001 avevano colpito i terroristi, in una sorta di inconscio attacco, oltre che ai simboli del potere economico e politico statunitense, anche a quella tradizione di tolleranza e accoglienza, di ottimismo e proiezione verso il futuro, che pur con tutte le sue contraddizioni rimane la ricchezza principale di quella terra che milioni di emigranti hanno chiamato e continuano a chiamare semplicemente America.»

In questo volume, Oliviero Bergamini racconta, con agilità e con rigore, la storia degli Stati Uniti dalle origini ai giorni nostri, con particolare attenzione alle vicende degli ultimi anni, dai drammatici avvenimenti dell'11 settembre alla nuova frontiera aperta dal presidente Barack Obama.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115770
Argomento
History

Capitolo terzo. Dalla ricostruzione alla grande depressione

1. La ricostruzione e la nascita del «Jim Crow System»

La guerra civile americana pose fine alle controversie sulla natura dell’Unione e segnò una svolta fondamentale nella storia degli Stati Uniti; da allora in avanti la struttura politica del paese si sarebbe andata sviluppando, pur tra resistenze e contraddizioni anche profonde, verso una crescente centralizzazione ed espansione dei poteri del governo federale. Il conflitto contribuì anche a creare le condizioni per una nuova fase di prorompente espansione economica e territoriale, e relegò il Sud in una posizione di subordinazione e sottosviluppo da cui si sarebbe riscosso solo un secolo dopo. Soprattutto, la civil war segnò la fine della schiavitù; un passaggio epocale per milioni di neri, ma che sul breve e medio periodo risultò ampiamente deludente, in quanto non portò affatto a una loro piena, effettiva emancipazione.
La fase storico-politica che il Sud visse nei dodici anni circa dopo la fine del conflitto è indicata dagli storici come «ricostruzione». Eric Foner l’ha definita una «unfinished revolution», e in verità essa fu un misto di progresso e reazione, di passi in avanti, errori politici e occasioni mancate, specialmente per quanto riguardò la sorte della popolazione nera. La notizia dell’abolizione della schiavitù fu accolta con grande entusiasmo dagli schiavi. Tuttavia, il riconoscimento tecnico-giuridico della libertà non voleva certo dire automaticamente che essi avrebbero potuto vivere una vita davvero autonoma e libera. Si poneva il problema di come dare sostanza all’emancipazione, fornendo ai neri istruzione, capitali e soprattutto terre, perché potessero sostentarsi e intraprendere un difficile percorso di crescita sociale e culturale dopo secoli di privazioni materiali e psicologiche.
Tutto questo non avvenne se non in misura limitata ed effimera. Dimostrando che il loro interesse stava essenzialmente nella preservazione dell’Unione e nella sconfitta del Sud, piuttosto che nella promozione degli interessi dei neri, le classi dirigenti del Nord non si fecero carico della sorte concreta degli ex schiavi; al contrario, dopo una breve fase intermedia, consentirono un rapido ritorno al potere dei bianchi sudisti, secondo forme di organizzazione politica e sociale che si tradussero in un pesante regime di oppressione razziale.
Con enorme stupore e cordoglio della nazione, il presidente Lincoln fu assassinato poco dopo la fine delle ostilità da un fanatico che voleva vendicare la sconfitta della Confederazione; gli successe Andrew Johnson, ex democratico di origine sudista, scelto come vicepresidente proprio per attenuare l’immagine nordista del Partito Repubblicano. Di idee conservatrici in materia razziale e di diritti degli Stati, Johnson promosse leggi che consentirono il rapido ritorno al vertice delle amministrazioni statali del Sud delle stesse élite bianche che avevano costituito i quadri dirigenti confederati. Questo esasperò l’ala radicale del Partito Repubblicano, costituita da uomini del Nord profondamente ostili all’aristocrazia sudista, desiderosi di promuovere una almeno parziale emancipazione nera, e decisi ad assicurare al loro partito una indiscussa supremazia nella politica del paese. I repubblicani radicali presentarono al Congresso un progetto alternativo di «ricostruzione» (cioè di ripristino delle istituzioni politiche e di riorganizzazione socio-economica) degli Stati meridionali. Ne nacque un durissimo scontro politico, che portò all’impeachment di Johnson (primo caso della storia degli Stati Uniti); il Senato, tuttavia, per un solo voto non raggiunse la maggioranza dei due terzi necessaria per condannare il presidente, che rimase in carica fortemente indebolito.
I repubblicani radicali, quindi, seppure in collaborazione e compromesso con l’ala più moderata del partito, poterono promuovere una nuova fase di «ricostruzione radicale». Gli Stati meridionali vennero sottoposti a occupazione militare, e a nuove norme che limitavano drasticamente l’accesso a cariche pubbliche da parte degli ex leader confederati. Al tempo stesso, anche grazie al Freedman’s Bureau, istituito per assistere gli schiavi liberati, il voto e la partecipazione politica dei neri furono stimolati e organizzati. Per la prima volta gli ex schiavi poterono votare in massa; e naturalmente votarono repubblicano. I nuovi parlamenti degli Stati (in cui figurarono anche numerosi neri), approvarono nuove costituzioni statali che ovviamente vietavano la schiavitù e consentivano il suffragio universale.
Le nuove amministrazioni meridionali a maggioranza repubblicana-radicale (che inclusero anche molti politici settentrionali trasferitisi opportunisticamente al Sud) intrapresero programmi di modernizzazione della società sudista. Favorirono l’impianto di nuove industrie, adottarono piani di educazione pubblica (settore in cui il Sud pre-bellico, localista, decentrato e diffidente nei confronti dello Stato, era stato estremamente carente), promossero riforme dei codici miranti a rendere la società sudista meno conservatrice, più dinamica e aperta.
Questa stagione però duro poco; man mano che l’eco delle armi si spegneva, nel clima di «ritorno alla normalità», i bianchi del Sud fecero di tutto per recuperare il controllo delle istituzioni e l’egemonia socio-economica. In molti Stati essi cominciarono a usare sistematicamente la violenza per intimidire i neri, rimetterli «al loro posto» e soprattutto impedire loro di votare. In particolare, sorse nel Sud il Ku Klux Klan, un’organizzazione segreta che facendo appello ai principi di un cristianesimo fondamentalista e della supremazia razziale bianca si rese protagonista di un’ondata di pestaggi, incendi, uccisioni. Quasi sempre non si trattò di violenze «spontanee», bensì di campagne pianificate, dirette e finanziate dai maggiorenti locali. Nel giro di alcuni anni queste violenze riuscirono ad allontanare i neri dalle urne, e progressivamente i bianchi, e in particolare gli eredi delle antiche famiglie dell’aristocrazia sudista, riguadagnarono il pieno controllo delle amministrazioni statali.
Il disenfranchisement (negazione del diritto di voto) dei neri fu favorito dalla colpevole negligenza di Washington. A livello federale, la stagione della «ricostruzione radicale» produsse soprattutto l’approvazione di tre emendamenti alla Costituzione. Il tredicesimo, ratificato nel 1865, sanciva ufficialmente l’abolizione della schiavitù. Il quattordicesimo, ratificato nel 1868, vietava l’accesso a cariche pubbliche di ex funzionari della Confederazione e affermava che a tutti i cittadini spettava una «eguale protezione di legge» («equal protection of the law»), stabilendo in linea di principio l’uguaglianza di diritti per bianchi ed ex schiavi, e affidando all’autorità federale il compito di tutelarla. Il quindicesimo emendamento, infine, ratificato nel 1870, affermava che nessun cittadino degli Stati Uniti poteva essere privato del diritto di voto per «motivi di razza, colore o precedente stato di servitù». I civil war amendments rappresentarono un grande passo avanti; essi posero ufficialmente fine alla schiavitù e stabilirono alcuni principi di base in materia di uguaglianza e tutela dei cittadini. Tuttavia, essi lasciarono deliberatamente aperta la possibilità di azioni profondamente discriminatorie. Il quattordicesimo emendamento, in particolare, fu svuotato di significato, quando la giurisprudenza precisò che la tutela federale della «equal protection of the law» riguardava esclusivamente gli atti ufficiali compiuti dai governi degli Stati, e non le azioni di «privati cittadini». Questa capziosa distinzione fece sì che le violenze e le prevaricazioni subite dai neri nel Sud venissero giudicate da corti non federali, ma statali, dove i giudici bianchi simpatizzavano con i responsabili, e restassero pertanto quasi sempre impunite.
Anche il quindicesimo emendamento si rivelò fallace. Deliberatamente, infatti, esso vietava di privare del diritto di voto per motivi razziali, ma non impediva di farlo per altri motivi. Per gli Stati del Sud fu facile approvare leggi che per concedere il voto richiedevano requisiti come la capacità di leggere e scrivere, o l’essere figli o nipoti di persone che avevano votato in precedenti elezioni (la cosiddetta «clausola del nonno»), ovvero che imponevano il pagamento di una tassa locale (la poll tax). Ovviamente queste leggi escludevano di fatto dal voto gli ex schiavi (e anche molti bianchi poveri), pur senza farlo in modo esplicito; del resto, l’emendamento era stato intenzionalmente congegnato in modo da consentire anche agli Stati del Nord (come si vedrà) di adottare leggi elettorali che escludessero dal suffragio i nuovi immigrati europei.
Gli Stati del Sud approvarono inoltre una serie di black codes; leggi che circoscrivevano fortemente le libertà degli ex schiavi, imponendo ad esempio severe sanzioni contro il vagabondaggio (cosa che si traduceva di fatto in una sorta di domicilio coatto), limitando i diritti dei neri in ambito giudiziario ecc. Anche la ridefinizione degli assetti socio-economici del Sud avvenne in modo assolutamente negativo per la popolazione nera. Il governo federale non promosse alcuna redistribuzione delle terre degli ex proprietari di schiavi, né si preoccupò di fornire agli ex schiavi capitali o strumenti per avviare attività economiche indipendenti. Nonostante molti sforzi, i neri che non emigrarono al Nord furono così costretti a lavorare nuovamente nelle piantagioni, accettando rapporti di mezzadria per loro estremamente sfavorevoli. Moltissimi di loro si trovarono ben presto indebitati in modo permanente con i padroni della piantagione, ridotti a uno stato di dipendenza e di peonaggio non troppo dissimile nella pratica dalla loro antica condizione.
Il Nord finì con l’avallare il ri-assoggettamento dei neri. Il grande sviluppo economico del paese, l’immigrazione, la corsa all’Ovest contribuirono a concentrare altrove l’attenzione politica, mentre democratici e repubblicani moderati continuarono a protestare contro gli «eccessi» centralistici della ricostruzione, nel nome dell’autonomia degli Stati. L’economia del Sud andò riassestandosi su posizioni di ancora più netta dipendenza dai circoli affaristici e finanziari settentrionali, e questo fu un risultato più che soddisfacente per la maggior parte dei politici repubblicani. La civil war era stata soprattutto lo scontro tra due diversi blocchi politico-economici; una volta che il Nord aveva prevalso, imponendo la fine della schiavitù come conquista di principio, facendo trionfare il modello del lavoro libero e di un’Unione centralizzata, assoggettando il Sud a un complessivo sviluppo capitalistico nazionale guidato dai grandi interessi finanziario-industriali settentrionali, la questione dell’effettiva sorte dei neri scomparve dall’orizzonte politico.
Dopo che dal 1869 al 1877 la presidenza fu ricoperta dall’eroe della guerra Ulysses Grant, le elezioni del 1876 si risolsero con una sorta di pareggio tra il candidato democratico Samuel J. Tilden e il repubblicano Rutheford Hayes. Nel Congresso, cui fu demandata la scelta del vincitore, i sudisti finirono con accettare che Hayes diventasse presidente (nonostante avesse riportato un numero inferiore di suffragi popolari), con la tacita intesa che ciò avrebbe segnato la fine della «ricostruzione». Dal 1877, infatti, le truppe federali vennero definitivamente ritirate dal Sud, e gli Stati meridionali vennero lasciati a una sorta di home rule, al diritto di regolare da sé i propri affari interni, specie in ambito razziale.
Ciò consentì il dispiegarsi di una sistematica politica di segregazione. I viaggiatori che avevano visitato il Sud durante il primo Ottocento si erano stupiti della mescolanza di neri e bianchi nella società meridionale; una mescolanza in realtà giustificata dalla condizione di meri oggetti di proprietà degli schiavi, che ne rendeva assolutamente certa la collocazione sociale. Dopo l’abolizione della schiavitù, però, fu necessario elaborare una nuova strategia; quella di separare rigidamente gli spazi riservati ai neri da quelli riservati ai bianchi. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo, le assemblee legislative statali cominciarono ad approvare leggi che istituivano scuole, locali pubblici, mezzi di trasporto ecc. separati per le due razze. Nella capitale sentenza Plessy contro Ferguson del 1896 la Corte Suprema convalidò questo genere di provvedimenti, sostenendo che la separazione non equivaleva di per sé a discriminazione e quindi non ledeva i diritti tutelati dal quattordicesimo emendamento. Il massimo tribunale federale coniò la formula «separate but equal», «separati ma uguali», che divenne di uso comune nella giurisprudenza e nel linguaggio politico. In realtà, ovviamente, tutte le istituzioni pubbliche destinate ai neri (dai trasporti alle scuole) furono sempre lasciate in condizioni assolutamente peggiori di quelle dei bianchi, e la segregazione non fu che una forma durissima di discriminazione.
Come C. Vann Woodward ha dimostrato, il «Jim Crow System» (così venne familiarmente definito l’apartheid sudista) non fu un destino inevitabile per il Sud, bensì il frutto di scelte politiche tra diverse alternative possibili, legate all’andamento dei rapporti di potere all’interno della società meridionale. Una volta intrapresa questa strada, tuttavia, essa andò rapidamente consolidandosi, e si diffuse in tutti gli aspetti della società. Esistevano negozi, bar, ristoranti, alberghi, sale da concerto dove i neri non erano ammessi; nelle fabbriche e nelle fattorie ai neri vennero riservati specifici tipi di lavoro (i black’s jobs, ovviamente meno qualificati e peggio pagati); i neri dovevano mostrare deferenza per strada, cedere sempre il passo ai bianchi, subire in silenzio eventuali umiliazioni e prevaricazioni. La segregazione raggiunse livelli così capillari che nei tribunali esistevano persino due Bibbie per il giuramento dei testimoni bianchi e di colore.
La popolazione di colore dunque si trovò a subire una pesantissima discriminazione, che invadeva ogni aspetto della vita pubblica e personale. I neri vivevano in grande povertà, nelle parti più degradate degli abitati, sottoposti a continue angherie, impossibilitati ad accedere ai lavori migliori e alle professioni, ma anche ai crediti bancari e a una buona istruzione. Intenzionalmente, questo sistema mirava a instillare in loro un senso di inferiorità, a inibire il loro sviluppo culturale e psicologico, alimentando paure, insicurezze, scarsa fiducia nelle proprie possibilità. L’espressione più orribile del razzismo sudista erano i linciaggi; ripetutamente nel Sud, folle bianche uccisero barbaramente neri ritenuti – spesso a torto – colpevoli di reati, tra cui il più esecrato era la violenza sessuale su donne bianche. Si calcola che tra 1889 e 1909 le vittime furono almeno 1.700. Il carattere collettivo di questi omicidi, il fatto che essi vennero tollerati e quasi implicitamente istituzionalizzati, e l’uso di lasciare a lungo esposti i cadaveri, fotografarli e diffonderne le immagini dimostra che i linciaggi erano parte integrante del sistema di intimidazione e oppressione razziale.
Tale oppressione si collegava del resto al mantenimento di un ordine sociale fortemente sperequato. Dopo la fine della ricostruzione il Sud piombò in uno stato di sottosviluppo e conservatorismo socio-culturale, di cui furono vittime anche i ceti bianchi inferiori. Nel Sud si moltiplicarono i poor whites, braccianti e affittuari agricoli che vivevano in condizioni di grave indigenza, del tutto subordinati ai maggiorenti del luogo. Il razzismo fu anche un modo per tenere sotto controllo il loro potenziale malcontento; sistematicamente, infatti, i ceti superiori fecero appello alla solidarietà razziale interclassista tra bianchi nel nome della white supremacy, e questo contribuì a togliere spazio alla protesta sociale «dal basso».
Anche negli anni del «Jim Crow», tuttavia, i neri non furono solo passivi. Subito dopo l’emancipazione, molti fuggirono dalle piantagioni, soprattutto da quelle dove i padroni erano più duri e crudeli, spesso per rintracciare i loro familiari, anche attraverso lunghe e commoventi ricerche. Molti rivendicarono i loro diritti, chiedendo con lucida consapevolezza l’assegnazione di terre (in particolare ciò avvenne con i neri che avevano combattuto nell’esercito unionista, i quali si videro negare le promesse di un podere e un mulo come ricompensa per il loro servizio). Moltissimi si gettarono con entusiasmo sulla possibilità di ottenere finalmente un’educazione e frequentarono in massa le nuove povere scuole che sorsero in tutto il Sud. Le chiese nere conobbero un grande impulso, e divennero istituzioni fondamentali per la comunità, promotrici di istruzione, assistenza caritativa, vita sociale, leadership politica.
Circondati da una maggioranza di bianchi ostili che monopolizzavano il potere economico e politico, i neri non poterono fare più di tanto. La segregazione fu in parte assecondata dai molti di loro che videro nella costruzione di comunità separate la possibilità di coltivare e sviluppare la propria identità, personalità e cultura. Nondimeno, anche nei periodi più bui del «Jim Crow System» non mancarono molti esempi di resistenza. Diffusi furono i casi di ribellione e disobbedienza individuale nei confronti di situazioni, norme, imposizioni palesemente ingiuste e umilianti. Sebbene apparentemente minimi, come il rifiuto di cedere il passo, o l’ostinata rivendicazione della paga promessa, o un occasionale scontro fisico, questi atti richiedevano grande coraggio, in un contesto dove la discriminazione pervadeva ogni aspetto della società e veniva mantenuta in forme particolarmente dure e violente. Associazioni, scuole, circoli amicali e soprattutto chiese mantennero costantemente vivo il senso di dignità umana dei neri, la percezione dell’ingiustizia e l’aspirazione a una società più equa, contribuendo a creare le condizioni per le lotte del secondo dopoguerra.
Una forma cruciale di reazione fu poi l’emigrazione. Dopo la guerra centinaia di migliaia di ex schiavi si diressero verso Nord, attratti dalla vita della città e dalle possibilità di lavoro offerte dall’industria in espansione. Fu in questo periodo che presero forma nelle città americane i ghetti neri; quartieri spesso poveri, ma anche straordinariamente vitali e ricchi di umanità e cultura. Proprio qui si sarebbero sviluppati rapidamente aspetti della cultura nera di straordinaria importanza, dalla letteratura al teatro, dalla pittura alla musica jazz.

2. La conquista del «Far West» e il genocidio indiano

La fine della guerra civile innescò una nuova, esplosiva ondata di colonizzazione dell’Ovest. Il «Far West» conobbe un’autentica tumultuosa invasione, che in meno di trent’anni esaurì l’immenso spazio disponibile; nel 1890 l’Ufficio del Censimento americano dichiarava chiusa la frontiera, annunciando che gli Stati Uniti non possedevano più «terra libera». Questa nuova ondata colonizzatrice ebbe caratteristiche in parte simili e in parte diverse da quella del primo Ottocento. L’espansione fu più rapida, per molti versi più violenta e rapace, traducendosi non più soltanto nella creazione di nuove aree coltivate, ma anche nello sfruttamento su grande scala delle risorse forestali e minerarie. Tra 1870 e 1890 la popolazione che viveva tra il Mississippi e la costa del Pacifico crebbe da 7 milioni a quasi 17 milioni di abitanti, e venne messa a coltura più terra che nei 250 anni precedenti.
A consentire questa straordinaria crescita interagirono più fattori. Il grande sviluppo delle ferrovie rese accessibili anche zone fino allora remote. Nel 1869 a Promontory Point, nello Utah, fu completata la prima linea ferroviaria transcontinentale; da allora altre linee coast-to-coast saldaro...

Indice dei contenuti

  1. Capitolo primo. Dalle origini alla dottrina Monroe
  2. Capitolo secondo. Dall’ascesa dell’Ovest alla guerra civile americana
  3. Capitolo terzo. Dalla ricostruzione alla grande depressione
  4. Capitolo quarto. Dal New Deal alla crisi degli anni Settanta
  5. Capitolo quinto. Gli Stati Uniti oggi
  6. Bibliografia