Agostino Giovagnoli
La storia, il viaggio, l’incontro:
gli studi di Andrea Riccardi
Pellegrino nella storia
L’orizzonte culturale di Andrea Riccardi non è stato modellato da un’unica impronta formativa. Sono stati soprattutto la sua sensibilità e i suoi interessi a spingerlo lontano e lungo sentieri poco battuti. Di famiglia liberale e di simpatie giovanili per il socialismo, Riccardi ha incontrato le tracce della tradizione benedettino-francescana presenti nella campagna umbra, da lui conosciuta per motivi familiari, e ha sempre conservato una memoria viva delle città della Romagna, dove ha vissuto alcuni anni della sua adolescenza. Si trovano qui alcune radici del suo approccio laico ai fenomeni religiosi. Sui suoi primi passi hanno inoltre influito il contesto degli anni Sessanta, vicende legate alla decolonizzazione, come la guerra d’Algeria, eventi internazionali quali il Concilio Vaticano II e la contestazione del Sessantotto (proprio nel 1968 ha fondato quella che sarebbe diventata la Comunità di Sant’Egidio). Queste e altre influenze non si sono cristallizzate in una rigida costruzione ideologica e si sono piuttosto accumulate in un vasto patrimonio di conoscenze, ricordi e, soprattutto, interrogativi.
Fin da giovanissimo si è appassionato alla prospettiva storica, in cui ha poi unito il rigore dell’approccio scientifico e il senso della poesia, per usare le parole di Bronisław Geremek1. Percorrere le vie della storia è stato per lui quasi un altro modo di viaggiare: tantissimi sono stati i libri di storia che ha letto, tantissimi i viaggi che ha compiuto. Due strade differenti che gli hanno consentito l’incontro con uomini e donne diversi. Scrivere di storia gli ha permesso invece di raccontare questi uomini e queste donne, descrivendo attraverso le loro vicende l’inestricabile intreccio che collega società, cultura, religione, politica. A questo autore la storia piace e ciò si riflette nella sua scrittura. La chiave narrativa è da lui nettamente privilegiata rispetto ad altri approcci. La sua narrazione, però, affronta problemi rilevanti e complessi, a cui cerca risposte proprio attraverso l’approccio storico. Nella sua storiografia si avverte la tensione di un impegno costante. Andrea Riccardi non resta estraneo alle vicende di cui si occupa: prende parte ad esse, dentro e fuori le pagine che scrive.
Si è occupato principalmente di storia contemporanea. Ma nella contemporaneità Riccardi coglie sempre il peso delle eredità di lungo periodo che la segnano in modo spesso sotterraneo ma profondo. È una storia analizzata sotto molti profili diversi: quelli della storia sociale e di quella culturale, della storia urbana e di quella religiosa. Ha scritto di Francia, Italia, Medio Oriente, Europa, e molto altro. Poco, invece, di storia nordamericana o di storia dell’Asia. Ma anche ciò che non compare esplicitamente nei suoi scritti storici non è rimasto fuori dall’orizzonte dei suoi interessi. Lo si avverte in modo particolare per quanto riguarda l’Africa, cui ha dedicato un intenso impegno culturale, civile e politico. Su questo terreno si è scontrato con le note difficoltà a scrivere di storia del continente africano, che neanche i post-colonial studies sono riusciti a superare.
Si può parlare per lui di storiografia post-statuale e non-eurocentrica, due premesse che sono state all’origine di tante tendenze di world history o global history degli ultimi decenni. La sua attenzione ai luoghi, agli ambienti e ai contesti gli ha permesso di tracciare una sorta di «geografia storica» di cui i suoi saggi e volumi costituiscono altrettanti capitoli. Ha approfondito il tema della coabitazione tra popoli, culture e religioni diversi e ha dedicato attenzione ai temi del nazionalismo, del conflitto etnico, delle guerre contemporanee. Ha affrontato, da punti di vista originali, la grande questione dei genocidi e delle stragi del XX secolo. Tutti i suoi studi rimandano ai nessi che legano ogni vicenda al proprio tempo: proprio il tempo – inteso in senso storico e cioè come l’insieme degli uomini e delle donne che lo abitano – è infatti il principale protagonista dei suoi libri e dei suoi saggi. Benché dedicati a figure e temi diversi, i suoi studi compongono un grande affresco del Novecento e dei primi anni del XXI secolo. È un Novecento diverso dal «secolo breve» incentrato sulle ideologie e sui totalitarismi: quello di Riccardi è piuttosto un secolo animato da popoli e società, culture e religioni eredi di lunghi percorsi precedenti e protagonisti anche di vicende importanti del XXI secolo.
Uno dei primi temi cui ha rivolto la sua attenzione sul piano storico è stata la figura di Ernesto Buonaiuti, modernista romano, su cui avrebbe voluto svolgere la tesi di laurea in Diritto ecclesiastico, la disciplina accademica meno lontana dagli interessi dell’allora studente in Giurisprudenza. Di questa figura – cui si sono ispirati esponenti molto diversi della cultura italiana e non, da Arturo Carlo Jemolo ad Ambrogio Donini – a interessarlo furono la vicenda complessa (di cui Roma costituiva lo sfondo, tra Chiesa, mondo della cultura e Università), i vasti orizzonti storico-culturali e la capacità di cogliere i segni della presenza storica del sacro, in particolare in ambito mediterraneo.
Riccardi lesse con molta attenzione Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo2, in cui Buonaiuti ripercorre la sua vita interpretandone le vicende alla luce della grande «transizione» storico-religiosa che gli appariva in corso nel Novecento, paragonabile per certi aspetti a quella vissuta dall’abate calabrese Gioacchino da Fiore e che ne ispirò la visione escatologica della storia3. Sono elementi presenti anche nella Storia del cristianesimo buonaiutiana4. Riccardi non si è mai totalmente identificato con Buonaiuti, la sua parabola e i suoi giudizi. Ma, come con altre grandi figure cui si è accostato successivamente, ha cercato nel confronto con questo singolare «pellegrino», elementi e suggestioni per formare una propria visione della storia del Novecento e di tutta l’età contemporanea.
Parigi, la città moderna, le periferie
Dagli interessi sul modernismo romano nacque negli anni Settanta il contatto con Pietro Scoppola, uno dei più grandi studiosi italiani della vicenda modernista. Fu proprio Scoppola a suggerirgli l’argomento della tesi di laurea (non fu infatti possibile a Riccardi svolgerla su Buonaiuti e il corso dei suoi studi fu deviato su altri terreni, cui si è applicato con risultati rilevanti, conservando però sempre una spinta profonda a tornare sui temi da cui era partito): Henri Maret, teologo e vescovo partecipe delle vicende della Francia di metà Ottocento, dalle barricate del 1848 all’impero di Napoleone III.
Proveniente dalla tradizione lamennaisiana nella versione liberale, sensibile ai temi del socialismo saintsimoniano e poi di quel cattolicesimo democratico che secondo Victor Hugo costituiva una realtà «impossibile», Maret fu il principale interprete del neogallicanesimo e della ricerca, all’interno del cattolicesimo europeo, di strade insieme più originali e più universali, mentre a Roma prevaleva la spinta omogeneizzante dell’infallibilismo e del centralismo papali. Appartengono agli anni di Maret Montalambert, mons. Affre, l’arcivescovo di Parigi assassinato sulle barricate, e il suo successore, mons. Darboy, fucilato dai comunardi, père Hyacinthe Loyson, l’arcivescovo Luigi Puecher Passavalli, Ignaz von Döllinger e altri che attirarono l’interesse di Andrea Riccardi.
Erano gli interpreti di un movimento ottocentesco di riforma spirituale e culturale della Chiesa, sconfitto dall’alleanza tra nostalgici dell’Ancien Régime e nascente movimentismo cattolico uniti dal rifiuto dello Stato laico. Non gli piacque l’inserimento nel titolo del suo libro dell’espressione «cattolicesimo borghese» che banalizzava la complessità di questa vicenda storica (non sempre i giovani autori sono liberi di scegliere il titolo delle loro prime opere)5. È stata un’esperienza di studio che gli ha permesso di conoscere la Francia ottocentesca e di inserirsi nella Francia novecentesca. Questo paese è diventato per lui un universo...