Fare umanità
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Fare umanità

I drammi dell'antropo-poiesi

  1. 248 pagine
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I drammi dell'antropo-poiesi

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La specie umana non è l'unica specie culturale. È però la specie più culturale: l'uomo non solo produce cultura, ma è esso stesso un prodotto culturale. Questi sono i presupposti bio-antropologici della teoria dell'antropo-poiesi, cioè della fabbricazione sociale degli esseri umani. Dopo avere distinto un'antropo-poiesi che ci modella in ogni istante, con i gesti minuti della vita quotidiana, e una antropo-poiesi programmata e consapevole, Remotti si sofferma sulla grande varietà degli interventi estetici sul corpo, una ricerca quasi ossessiva della bellezza, persino in contrasto con la funzionalità fisiologica e anatomica dell'organismo umano. Anche in questo modo, l'autore intende sottolineare le implicazioni drammatiche dell'antropo-poiesi: se infatti gli esseri umani sono da un lato condannati a fare umanità, dall'altro i loro modelli sono nulla più che invenzioni culturali, dunque instabili, revocabili, discutibili. Non riconoscere questa precarietà, ovvero presumere di possedere le chiavi risolutive e permanenti dell'antropo-poiesi, ha generato il furor antropo-poietico e con esso le maggiori tragedie.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858108956
Categoria
Antropologia

IV. Interventi estetici sul corpo

1. La dimensione estetica e i suoi confini

In A Midsummer Night’s Dream (Sogno d’una notte di mezza estate), una commedia di William Shakespeare, Ermia, innamorata di Lisandro, rifiuta di sposare Demetrio, opponendosi in tal modo alla volontà del padre, Egeo. Il duca di Atene, Teseo, la rimprovera aspramente, facendole notare che per lei suo padre dovrebbe essere simile a un dio, un dio – egli precisa – «che modellò le tue grazie» (one that compos’d your beauties) e che, proprio per questo, ha il potere o di conservare intatta la “tua” figura o, all’opposto, di sfigurarla (within his power / to leave the figure, or disfigure it): tu, Ermia, «altro non sei che cerea forma da lui plasmata» (you are but as a form in wax / by him imprinted) (I, i, 47-50 – Shakespeare 1991: 6-7). In queste poche righe Shakespeare raduna una serie di temi assai rilevanti sotto il profilo antropo-poietico: 1) l’essere umano (nel caso specifico, Ermia) può o deve essere plasmato; 2) essendo l’essere umano una sostanza malleabile, simile a “cera”, esso richiede un intervento che gli dia “forma” e “figura”; 3) l’intervento plasmatore, reso necessario dalla mancanza di forma originaria, è in quanto tale di tipo estetico: ha a che fare immediatamente con la “bellezza”; 4) l’intervento plasmatore è anche una faccenda di “potere”: nel caso di Ermia, si tratta del potere che il padre Egeo esercita sulla figlia; 5) plasmare un essere umano è un potere enorme e terribile, tale per cui il padre Egeo può dire che Ermia «mi appartiene, ed io disporrò di lei» (I, i, 42); 6) chi detiene (chi si arroga o colui a cui venga riconosciuto) un potere siffatto è assimilabile a un “dio”: plasmare gli esseri umani è un potere di natura divina; 7) come Ermia, ci si può ribellare a questo potere, sfuggire alla sua presa e modellare diversamente se stessi o la propria vita.
Se non ci si può sottrarre all’antropo-poiesi, se in un modo o nell’altro occorre provvedere a un modellamento, si aprono diverse alternative inerenti ai gradi, tipi e livelli di attività antropo-poietiche, nonché ai soggetti che subiscono oppure esercitano capacità di tal genere (v. capitolo II). Ma, quali che siano le attività e i soggetti considerati, è altrettanto vero che ogni intervento antropo-poietico, per il fatto stesso di modellare e dar forma, presenta implicazioni di natura estetica. Colui (dio o uomo) che modella si imbatte nel problema della forma, della sua bellezza, grazia, appropriatezza, oltre che della sua funzionalità. Il perseguimento di un fine estetico può risultare secondario rispetto a fini più propriamente funzionali. Ma gli effetti estetici sono comunque ineludibili, essendo connaturati all’idea di forma, di immagine, di modello. Nella Genesi biblica fu Dio a volere “fare” l’uomo («facciamo l’uomo») e lo fece non esattamente dal nulla, ma “modellando” – come il vasaio – la terra; inoltre Dio fece gli uomini «a norma della sua immagine» (Genesi 1, 26-27; 2, 7 – La Bibbia 1987: 10-11), e con ciò impresse un modello da cui non è lecito discostarsi. Nella commedia di Shakespeare, Teseo, mentre riconosce a Egeo un indiscutibile diritto di disporre della figlia Ermia, sottolinea vigorosamente la dimensione estetica del suo prodotto.
Attribuito a Dio oppure agli uomini, il lavoro antropo-poietico è globale e pervasivo. Certo, secondo le sue finalità può dirigersi prevalentemente verso questo o quell’aspetto della realtà umana. È quindi del tutto plausibile che si determini una gerarchia di fini antropo-poietici, nel senso che si potrà dare, per esempio, maggiore importanza al modellamento morale, piuttosto che all’educazione intellettuale, oppure privilegiare le dimensioni intellettuali e morali rispetto a quelle sensibili o, al contrario, curare maggiormente il corpo rispetto all’anima o allo “spirito”. Anche quando l’antropo-poiesi si concentra sulle dimensioni spirituali è bene non dimenticare che vi è in effetti un’estetica dello spirito, ovvero che le preoccupazioni estetiche non si riducono affatto alla cura del corpo3. È indubbio, tuttavia, che come la dimensione estetica è ineludibile per qualsiasi tipo di foggiatura antropo-poietica, così non ci si può mai sottrarre del tutto alle preoccupazioni per gli aspetti del corpo. Ammettere la dimensione estetica di qualsiasi tipo di intervento antropo-poietico significa riconoscere l’onnipresenza del corpo in ognuno di questi tipi di interventi. Anche quando il corpo viene trascurato o condannato, esso subisce effetti estetici di indubbio rilievo: il rifiuto di curare l’estetica del corpo è comunque una scelta di tipo estetico. Pure quando non si perseguono obiettivi di bellezza, e al contrario si abbandona volutamente un simile tipo di preoccupazioni, non si esce affatto da un’estetica del corpo.
Sosteniamo dunque le seguenti tesi. 1) Ogni progetto antropo-poietico, per il fatto stesso di essere un modellamento, comporta necessariamente una qualche dimensione estetica. 2) Tale dimensione passa attraverso una qualche scelta estetica relativa al corpo. 3) Tale scelta può essere conforme ai canoni di bellezza di una determinata società, oppure contraria e alternativa ad essi. 4) Più precisamente, tale scelta può configurarsi: a) come una scelta di conformità rispetto ai canoni di bellezza comunemente accettati; b) come una scelta alternativa rispetto ai canoni di bellezza vigenti; c) come una scelta di non-intervento. Se nel caso a) gli individui si impegnano a realizzare sul loro corpo modelli e tipi ampiamente diffusi nella loro società, e se nel caso b) gli individui si ingegnano invece a ricercare modelli di bellezza difformi rispetto a quelli vigenti, contravvenendo ai canoni particolari della propria società, nel caso c) gli individui si spingono invece ai limiti della stessa estetica del corpo, non già scegliendo interventi difformi, alternativi o contrastanti, bensì scegliendo il “non-intervento” (o una serie di “non-interventi” su singoli aspetti particolari).
L’estetica del corpo si articola quindi in “Interventi” e in “Non Interventi”, intendendo che anche i “Non Interventi” (singoli o globali che siano) rappresentano una scelta che riguarda l’estetica del corpo: ci si spinge ai suoi confini, ma tutto sommato ci si mantiene entro i suoi limiti. Per quanto ideologicamente si possa scegliere il “non-intervento” globale (ritenendo che il corpo debba essere del tutto ed esclusivamente affidato alle sue manifestazioni, funzioni e processi naturali), sembra inevitabile che ci si debba accontentare però di una serie di “non-interventi” particolari (si lasceranno crescere, per esempio, barba e capelli, ma ci si adatterà a tagliare le unghie o a togliere certa sporcizia dal proprio corpo). Potremmo aggiungere che i “Non Interventi” rientrano nella categoria delle “Sospensioni” culturali che abbiamo indagato di recente: può succedere che gruppi o individui decidano di non estendere le proprie attività di intervento in determinati settori, ovvero di arrestare l’esercizio di attività che pure caratterizzano la propria cultura. I baNande del Nord Kivu sospendevano per esempio la propria attività di disboscatori in alcuni punti del loro territorio (una sospensione di ordine spaziale), così come sospendevano le proprie attività di coltivatori in occasione della morte dei loro capi (sospensione di ordine temporale) (Remotti 2011: cap. VIII).
Gli interventi estetici sul corpo (d’ora in avanti designati con l’acronimo IEC) possono essere classificati secondo una tipologia più o meno estesa e articolata. Ma, qualunque sia il numero delle categorie di IEC individuate, possiamo ipotizzare tre diversi generi di situazioni: i) società (o al loro interno individui) che tendono ad accumulare tutti i possibili tipi di IEC; ii) società (o individui) che adottano soltanto alcuni tipi di IEC; iii) società (o individui) che rifiutano ogni tipo di IEC e che anzi intendono rifiutare l’idea stessa di intervento estetico sul corpo. Come è facile intuire, i due estremi (tutti/nessun tipo di IEC), per quanto teoricamente ipotizzabili, ben difficilmente corrispondono a situazioni reali (sia a livello individuale, sia a livello sociale). Decisamente più probabile è invece la situazione intermedia, in cui società e individui inventano, elaborano o adottano un certo numero di IEC, quantitativamente variabile secondo le scelte operate, con esclusione di altri. Ciò significa che società e individui si differenziano tra loro sia per i tipi di IEC adottati sia anche per il numero di IEC prescelti. A un estremo vi sono società e individui che si riempiono di segni e che dunque manifestano in modo del tutto palese l’esigenza antropo-poietica di intervenire sul corpo al fine di modificarlo; all’altro troviamo invece società e individui che tendono a ridurre al minimo gli IEC e per i quali è decisamente più importante astenersi da certi interventi (specialmente dagli interventi più invasivi) e cercare di mantenere il corpo nella sua integrità “naturale”. In altri termini, società e individui possono esibire prospettive antropo-poietiche per così dire barocche (in cui si accumulano tipi molto diversi di IEC) e prospettive antropo-poietiche scarne ed essenziali, centrate su modelli fortemente selettivi di IEC.
Potremmo allora richiamare il concetto di “densità” relativa, suggerendo che vi siano culture più dense e culture meno dense per quanto riguarda gli interventi estetici sul corpo. Facendo intervenire, insieme a quello di sospensione, il concetto di densità culturale (2011: cap. VII), ci apriamo la strada a un’ulteriore considerazione. Sospendere, scegliere di non intervenire, significa lasciare spazio a forze, fattori, fenomeni, processi di altra natura, rispetto agli interventi di ordine culturale (si lasciano crescere unghie o capelli sul proprio corpo, così come tra i baNande si lasciano crescere del tutto spontaneamente gli alberi che formano le tombe arboree dei loro capi [Remotti 2007-2008]). Come abbiamo già detto, anche questa è una scelta di tipo estetico, esattamente come le tombe arboree dei capi nande sono opere d’arte, pur affidate nella loro costruzione alle forze naturali degli alberi di foresta: scelta che si spinge ai confini, pur rimanendo entro i confini dell’estetica. Ma se possiamo immaginare gli interventi estetici sul corpo come un’area a densità variabile, con sospensioni più o meno volute e progettate, è inevitabile pensare anche ai confini e ai limiti che quest’area subisce e alle situazioni e fattori che agiscono contro le possibilità di intervento estetico, impedendone la realizzazione e finanche l’ideazione. Come avremo modo di vedere in seguito, l’antropo-poiesi subisce impedimenti e arresti organici (si pensi alle malattie) e soprattutto conosce nella morte il suo scacco definitivo.
Obiettivo di questa prima parte è però quello di concentrarsi sulla molteplicità degli interventi positivi sul corpo, elaborando una tipologia sufficientemente articolata di IEC. Proprio analizzando tale tipologia ci si renderà conto dell’impossibilità da un lato di adottare e dall’altro di evitare tutti i tipi di interventi; ovvero le società oscillano tra i due estremi, posizionandosi – spesso in modo temporaneo – più verso un estremo o più verso l’altro. Inoltre, per quanto una società possa definirsi attraverso la scelta di particolari tipi di IEC (Maori e isole Marchesi, per esempio, attraverso il tatuaggio), ben difficilmente gli IEC prescelti riguarderanno tutti i membri di quella società, nello stesso modo e nella stessa misura. Nel campo IEC le variazioni individuali, spesso in relazione a differenze di rango, di età, di genere e così via, sono all’ordine del giorno. Questa osservazione del resto apre la strada a un’altra riflessione, ovvero la tendenza da parte degli individui a esplorare vari tipi di IEC, così che in una società si possono riscontrare fluttuazioni, tentativi, soluzioni temporanee, abbandoni. Alla base degli IEC presenti nelle diverse società (e nei diversi individui) vi sono dunque selezioni mirate, principi e atteggiamenti che esprimono nello stesso tempo convinzioni e incertezze, ricerche ostinate e perplessità di fondo.

2. Tipologia (categorie I-XIX)

Costruire una tipologia di IEC ha il significato di provare a mettere un po’ di ordine in una molteplicità incredibilmente complessa e variegata di fenomeni culturali. Si è già cercato in due occasioni precedenti di proporre una tipologia di IEC. La prima era costituita da 14 tipi (Remotti 2000: 123-138), mentre la seconda si è arricchita di ulteriori categorie, facendo salire il numero a 21 (Remotti 2005: 338-339). In questa sede, oltre a incrementare l’illustrazione dei contenuti dei singoli tipi, si è pensato di concentrarsi sulle ultime categorie, quelle per così dire “funebri” o “tanatologiche”, aggiungendo due categorie che originariamente non avevamo previsto, ossia – nel nuovo elenco – la categoria XX, dedicata agli interventi “in vista della morte” e la categoria XXIII, quella della “dissoluzione”. Sia l’introduzione di queste nuove categorie, che fanno salire il totale a 23, sia una più estesa trattazione delle categorie tanatologiche, sono dovute ad analisi e riflessioni riguardanti il nesso tra l’antropo-poiesi e i processi del morire (Remotti 2006).
Pure questa terza tipologia non è altro che un’ipotesi di lavoro. Non raggiunge cioè il livello di una tassonomia vera e propria, se a questa nozione intendiamo annettere un valore sistematico. Nel tentativo proposto il sistema è piuttosto carente, e comunque non è stato perseguito come obiettivo. Si è voluto sacrificare un impianto sistematico per conseguire invece un altro scopo: quello di elaborare un’immagine ampia e sufficientemente articolata delle possibilità di IEC. Per fare questo era assolutamente inevitabile costruire dei “tipi” o delle “categorie” dotate di una certa plausibilità e aderenza ai casi concreti: solo mediante questi mezzi ci è sembrato possibile provare ad addentrarsi nella foresta intricata degli interventi estetici a cui il corpo può essere sottoposto. Ridurre in qualche modo la varietà ed eterogeneità degli IEC, sottoponendole a una sorta di controllo concettuale e tipologico, ci è sembrato una via obbligata per potersi rendere conto con maggiore precisione della pluralità dei modi che le società hanno inventato per modificare il corpo, per trasformarlo e conferire ad esso valori e significati (sia in vita, sia in occasione della morte). Il prezzo che si è dovuto pagare, insieme alla carenza di sistematicità, è un elevato grado di difformità delle categorie.
Una tipologia, per quanto non sistematica, ubbidisce comunque a determinati criteri. Ed è quindi opportuno chiarire i criteri principali, insieme ad alcuni avvertimenti. 1) Un primo criterio è stato quello di considerare il corpo nelle sue tre principali condizioni: quella di “corpo vivo”, quella di “corpo morto” e quella di “corpo distrutto” (a cui si riferisce l’ultima categoria), così da avere uno spettro il più ampio possibile di IEC. 2) Occorre poi avvertire il lettore che sono presenti alcune “super-categorie” (come, per esempio, la categoria XVII, dedicata in modo globale alla “chirurgia estetica” che si autodefinisce moderna), le quali richiederebbero certamente una trattazione più analitica. Nonostante la loro ampiezza e, forse, genericità, esse hanno il significato di perimetrare alcuni campi di ricerca, che assumono comunque un loro rilievo se posti a paragone con categorie confinanti. 3) Un criterio, che ci è sembrato importante seguire, è stato poi quello di non privilegiare unicamente gli IEC i cui effetti siano percepibili dalla vista: e questo principio ci ha indotto a proporre categorie ulteriori (rispetto al primo elenco), come la III, la VIII e la IX. 4) Uno dei criteri più esplicitamente adoperati nell’elencazione delle categorie, riguardanti specialmente i corpi vivi, è stato quello del progressivo passaggio dall’esterno all’interno dell’organismo. 5) Tale criterio si combina abbastanza bene – com’è facile intuire – con il tema della reversibilità/irreversibilità degli interventi (quanto più un intervento è esterno, tanto più risulta reversibile). 6) Le nozioni di interiorità ed esteriorità, così come di reversibilità e irreversibilità, richiamano a loro volta una questione che torna insistentemente in tutta la problematica antropo-poietica: quella del dolore e della sofferenza, quali aspetti inevitabili di diversi tipi di intervento. Riprenderemo questo tema, una volta terminata l’esposizione della tipologia degli IEC dei vivi (§ 3). Qui, in sede preliminare, sarà sufficiente avvertire che, in maniera forse un po’ arbitraria e dunque discutibile, si è dato maggiore spazio alla dimensione del “dolore” rispetto a quella del “piacere”, come se il piacere contenesse minori stimoli teorici, mentre il dolore appare agli occhi degli studiosi come una sfida, per chiarire la quale si richiede un maggiore impegno teorico (Le Breton 2007).
La nuova tipologia è dunque la seguente:
I. Oggetti esterni
II. Toilette
III. Profumazione
IV. Cosmesi, coloritura e pitture corporali
V. Modellamento di annessi della pelle (peli, unghie, capelli)
VI. Modellamento di struttura muscolare
VII. Modellamento di struttura ossea dall’esterno
VIII. Modellamento del comportamento
IX. Modellamento della voce
X. Tatuaggi
XI. Scarificazioni
XII. Bruciature e marchiature della pelle
XIII. Perforazioni e inserimento di oggetti esterni
XIV. Intaglio dei denti
XV. Amputazioni
XVI. Chirurgia genitale
XVII. Chirurgia estetica moderna
XVIII. Alimentazione e diete
XIX. Interventi chimici e ormonali
XX. Interventi in vista della morte
XXI. Trattamento del cadavere
XXII. Produzione e trattamento dei resti umani
XXIII. Dissoluzione
I. Oggetti esterni. Un primo tipo di interventi estetici consiste nel far indossare al corpo oggetti che possono essere sia raccolti nell’ambiente sia appositamente costruiti. Un fiore infilato nei capelli di una fanciulla è un esempio di oggetto raccolto dall’ambiente naturale; un serto di fiori deposto sul suo capo è invece un oggetto artigianalmente costruito. La categoria degli oggetti esterni è comunque molto ampia, perché comprende tutti i generi di abbigliamento (abiti, calzature, copricapi), tutti i monili che possono essere posti su varie parti del corpo, nonché tutte le specie di maschere. Questa categoria è tanto vasta che, a rigore, avrebbe potuto scindersi in quattro o cinque sottocategorie. Che dire infatti della molteplicità di abiti e della variabilità di fogge che essi assumono sia tra le diverse società e i diversi periodi storici, sia al loro interno? Che dire delle materie (vegetali, animali, minerali o sintetiche) a cui gli esseri umani hanno fatto ricorso per costruire i loro abiti? Se poi si tiene conto di come «alla sterminata varietà degli impieghi sul piano ergologico» si unisce «una varietà ugualmente vasta di interpretazioni simboliche», ha ragione Vinigi Grottanelli nel concludere che uno studio approfondito del vestiario equivarrebbe a «un’analisi praticamente completa della cultura umana» (Grottanelli 1965: 77). Se quindi al vestiario si aggiungono i copricapi, le parrucche, gli ornamenti di ogni tipo (dai perizomi agli astucci penici), le calzature, i monili appoggiati o appesi a non importa quale parte del corpo, ed infine le maschere con tutta la loro carica di significati e di forme, i dubbi circa la plausibilità di una catego...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Parte prima. Presupposti e struttura teorica
  3. I. Dalla cultura all’antropo-poiesi
  4. II. Temi, nodi, ipotesi: la struttura a rete dell’antropo-poiesi
  5. Parte seconda. Fare-disfare corpi
  6. III. L’enigma dell’ornamento. Prologo darwiniano
  7. IV. Interventi estetici sul corpo
  8. Parte terza. Le tragedie delle certezze e il respiro del dubbio
  9. V. Furori antropo-poietici
  10. VI. Ma un uomo, che cos’è?
  11. Riferimenti bibliografici