Novecento italiano
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Il Novecento fa discutere. La sua eredità è controversa, la sua memoria divisa. Dal regicidio alla Grande Guerra, dal delitto Matteotti all'8 settembre, dal miracolo economico alla contestazione, dagli anni del terrorismo al maxiprocesso e a Tangentopoli, il corso della storia ha accelerato il passo, impresso svolte, segnato l'identità del nostro paese.Nove grandi storici interpretano un'epoca che ci riguarda tutti da vicino.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858105498
Argomento
Storia

1978. Il delitto Moro

di Vittorio Vidotto

Sapevamo che Moro, molto probabilmente, quella mattina sarebbe passato per via Fani. Eravamo quattro, vestiti in divisa da avieri... Il commando in totale era composto da dodici persone... no, nove persone... dodici se contiamo quelli che hanno partecipato al progetto. Dovevamo sparare due per ogni macchina... precisamente Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Prospero Gallinari, Raffaele Fiore. Mario Moretti era alla guida della 128 che avrebbe dovuto fermare le due auto. Ci siamo appostati all’angolo... sul marciapiede di destra... accanto allo stop... Morucci e Fiore dovevano sparare alla 130, Gallinari e Bonisoli all’Alfetta.
A un certo punto un poliziotto esce... Bonisoli lascia il mitra inceppato e lo colpisce con la sua pistola, non sa nemmeno lui come ha fatto a sparare con tanta precisione. Ci fu un’arma che non sparò tra queste quattro, praticamente in tempi diversi si incepparono tutte le armi, una proprio non sparò.
Abbiamo caricato Moro e le sue due borse sulla 132, siamo partiti da via Stresa... Morucci è sceso a via Bitossi ed è salito su un furgone parcheggiato in precedenza. A piazza del Cenacolo, poco lontano da via Fani, abbiamo portato Moro sul furgone chiuso in una cassa. Poi, nel garage della Standa al Portuense, abbiamo atteso l’auto che ha portato Moro nel covo in cui è stato per tutti i 55 giorni...1.
Questa è la ricostruzione dell’agguato di via Fani secondo la versione fornita dai brigatisti: una versione via via modificata e arricchita. Una versione in parte smentita dalle risultanze della perizia tecnico-balistica e dalle poche testimonianze dirette che a loro volta in parte si contraddicono. Ma per il momento non entriamo nei dettagli.
Dunque il 16 marzo 1978 in via Mario Fani a Roma, nella zona della Camilluccia, intorno alle 9 del mattino le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, uccidendo i cinque uomini della scorta2. 55 giorni dopo il corpo di Moro ucciso verrà fatto trovare in via Michelangelo Caetani, nel centro storico della città, a poche decine di metri da piazza del Gesù e dalle Botteghe Oscure, le sedi nazionali della Dc e del Pci.
Prima di passare ad analizzare i protagonisti della vicenda più drammatica della storia italiana recente è opportuno fare una premessa. Di questa vicenda si è parlato molto, si è scritto molto, si è visto molto. Il delitto Moro, anzi il ‘caso Moro’, è stato iscritto tra i misteri della storia d’Italia. La ricostruzione che segue non darà tuttavia un contributo definitivo al disvelamento dell’enigma del caso Moro. In primo luogo perché, per chi scrive, questo enigma non esiste. Sulla base della documentazione disponibile rimangono semmai punti marginali, particolari non chiariti e che forse non saranno chiariti mai3. Tuttavia, molti pensano che una vicenda così drammatica non possa trovare spiegazione nelle dinamiche della nostra piccola Italia e debba avere una spiegazione a un livello più alto: sono quanti sostengono, e tra costoro si annoverano anche storici noti e autorevoli4, che vi sia una spiegazione autoevidente. È quella che ipotizza il seguente teorema, riassumibile in poche battute: dal 1945 l’Europa era divisa in due, in seguito agli accordi di Yalta, e in Occidente nessun partito comunista poteva andare al potere: dunque l’Unione Sovietica si servì delle Brigate Rosse per uccidere Aldo Moro. Ai Sovietici possiamo sostituire gli ‘Amerikani’, quelli col ‘K’, ma sostanzialmente il teorema non cambia. Purtroppo in tanti anni non è emerso un solo documento che dia conforto a questa teoria ma, sostengono in tanti, non ce n’è bisogno, appunto perché, lasciano intendere, questa teoria è autoevidente.
Questi interpreti appartengono a quella vecchia scuola, erede delle tante filosofie della storia, che privilegia il criterio del ‘tutto si tiene’. E introducono la categoria dell’‘inverosimile’, parente stretta dell’‘imprevedibile’. È inverosimile, si dice, che le Br da sole abbiano potuto...
Eppure in Italia ne sono accadute di cose ‘inverosimili’. Chi avrebbe detto nel 1911-12 che uno dei più acerrimi nemici del nazionalismo italiano ai tempi della guerra di Libia, il socialista rivoluzionario Mussolini, avrebbe marciato su Roma e conquistato il potere a braccetto con quei nazionalisti? O per spingerci più vicino a noi, chi avrebbe detto nel 1984, con Craxi all’apice delle fortune, che tutto sarebbe crollato e che dal 1994 un imprenditore televisivo avrebbe dominato la scena politica italiana? E ancora, chi avrebbe detto nel 1968 che dieci anni dopo alcuni eredi di un movimento giovanile critico, gioioso e innovatore avrebbero, armi in pugno, rapito e ucciso Moro?
In realtà, quello che dovremmo domandarci, come intellettuali e come cittadini italiani, è come mai ogni volta che il paese si trova di fronte a un problema complesso da analizzare, da studiare, quello ad esempio della violenza politica e del terrorismo degli anni Settanta, si preferisca ricorrere a teorie del complotto. Penso che sia un modo per scaricarsi la coscienza. Così si ritiene che i responsabili siano sempre altri, meglio se occulti e sconosciuti, per garantirci una sorta di assoluzione collettiva.
Gli storici dovrebbero invece stare al pezzo, come buoni artigiani, esaminare i fatti, discernere quelli attendibili, lavorare su quelli rilevanti e seguire il principio della distinzione tra quelli rilevanti e quelli che non lo sono. Quindi torniamo ai fatti: ricordando che non esistono ricostruzioni definitive e che le interpretazioni mutano non solo in rapporto all’aggiungersi dei documenti, ma anche in relazione alle domande che ci poniamo.
Torniamo ai fatti, e i fatti ci dicono che nel 1978, da almeno dieci anni, l’Italia era martoriata dal terrorismo. Prima, nel 1969, e anche a più riprese in seguito, c’è il terrorismo delle stragi fasciste, protette da organismi dello Stato infedeli alla Repubblica e alle istituzioni democratiche. Poi esordisce anche il terrorismo di sinistra, che non si giustifica, se non forse nei primissimi esordi, come una risposta e una forma di autodifesa nei confronti della strategia della tensione.
Il terrorismo domina gli anni Settanta, ma soprattutto domina e deforma il ricordo degli anni Settanta. Furono certamente, quelli, anni di una conflittualità radicale. E allora ci si chiede se quella conflittualità fosse il segno di una contrapposizione di ceti e classi così drammatica, se ci fosse una frattura non ricomponibile nel tessuto sociale o, come io credo, e come mi appare più probabile, non fu quella conflittualità la messa in scena ideologica della metafora di un conflitto. Non ci fu infatti, semmai c’era stato qualche anno prima, quel grande scontro sociale che molti a sinistra vedevano o intravedevano o auspicavano, non vi fu nessuna crisi che rendesse inevitabile la presa delle armi. Ma gli anni Settanta sono anche anni di passaggi epocali, di grandi trasformazioni sociali, del referendum vittorioso contro i nemici del divorzio, di una diffusa modernizzazione e secolarizzazione del paese, della diffusione e del rafforzamento di una forte coscienza femminista, del perfezionarsi e dell’ampliarsi del welfare, del dilatarsi della partecipazione, di un’estensione complessiva dei diritti di cittadinanza5.
È anche l’epoca dell’affermarsi di nuove forme di comunicazione, della musica soprattutto, delle radio libere e delle televisioni private, ma purtroppo anche della diffusione delle droghe pesanti e delle molte vittime fra i giovani. Dunque un’Italia schizofrenica, in cui il terrorismo, e soprattutto il terrorismo diffuso, quello dei tanti piccoli gruppi, che agiscono anche per un solo atto violento, è uno dei segnali più rivelatori. Rispetto al resto dell’Europa e al resto del mondo occidentale, l’Italia sembrava avvitarsi in una crisi senza fine.
Il terrorismo ha le sue cifre crudeli, cifre di cui bisogna dare in qualche misura conto: una sequenza di ferimenti, di gambizzazioni – il termine fu inventato allora –, di uccisioni. Le vittime saranno poliziotti, carabinieri, magistrati, avvocati, dirigenti d’industria, politici (soprattutto della Dc), magistrati. Gli attentati furono oltre 4.300. Il terrorismo di sinistra è protagonista negli anni Settanta, ma il terrorismo di destra non è da meno. Tra il 1969 e il 1982, l’epoca per cui sono stati fatti dei calcoli più o meno precisi (che però non esauriscono il totale degli avvenimenti), si contano 1.119 tra morti e feriti, 350 sono le morti complessive, e il rapporto – escluse le stragi che hanno una loro contabilità a parte – è di 164 morti imputabili al terrorismo di sinistra e 48 a quello di destra. Di queste 164 vittime del terrorismo di sinistra, ben 90 sono causate dalle Brigate Rosse6.
Le Br rivendicano 494 azioni (e sarà pratica costante delle Br rivendicare le proprie azioni), mentre dal punto di vista giudiziario il totale dei brigatisti delle varie appartenenze inquisiti dalla magistratura fu 1.264, un piccolo esercito con un più largo esercito di consensi intorno a loro7.
Le Br sono una formazione clandestina dell’estrema sinistra, di matrice comunista rivoluzionaria. Nascono nel 1970 a Milano dall’incontro di militanti di diversa provenienza. Tra i fondatori più noti vi sono Renato Curcio e Margherita Cagol, formatisi nell’Università di Trento, Alberto Franceschini del Pci di Reggio Emilia, ai quali si aggiungono via via altri militanti già attivi nei collettivi di base di alcune grandi fabbriche milanesi.
Eredi dell’insubordinazione ideologica del Sessantotto e del clima di mobilitazione delle lotte operaie dell’anno successivo, ritengono che la situazione politica ed economica italiana attraversi una fase di trasformazione e di radicalizzazione. E ritengono che le avanguardie rivoluzionarie debbano contribuire a questa accelerazione con azioni e procedure fuori dalla tradizione legale delle battaglie sindacali.
Le Br iniziano con sabotaggi e attentati incendiari; seguono i rapimenti di dirigenti industriali, prima per poche ore, poi per una settimana. È il caso del capo del personale della Fiat Ettore Amerio, del dicembre 1973. Nel frattempo le Br si sono spostate anche a Torino, dove raccolgono diffusi consensi alla Fiat. Si allarga la schiera degli adepti, mentre i quadri e i dirigenti delle Br sono ormai in clandestinità con un’organizzazione verticista e compartimentata per difendersi dalle infiltrazioni e dai possibili arresti collettivi.
Esibiscono un nome che si richiama alla tradizione comunista e alla Resistenza. E il Pci reagisce parlando delle «sedicenti Brigate rosse», lasciando intendere a lungo che siano composte da provocatori fascisti: anche se nel Pci dovevano essere noti almeno gli elementi Br emiliani, ex militanti del partito a Reggio Emilia (due dei quali, Bonisoli e Gallinari, operativi a via Fani). Scelgono un simbolo, la stella a cinque punte, ripreso dai Tupamaros, i guerriglieri uruguaiani, che ricorrerà in tutte le loro azioni di rivendicazioni e propaganda. Sotto questo simbolo le Br scrivono molto e ingaggiano anche una lotta teorica a livello propagandistico con i partiti tradizionali della sinistra, il Pci in primo luogo, e con gli altri gruppi rivoluzionari. Le Br scrivono molto, diversamente dalle altre organizzazioni della lotta armata.
Ecco un’autointervista del 1971:
Il problema per voi è quindi quello di iniziare la lotta armata? La lotta armata è già iniziata. Purtroppo in modo univoco, cioè è la borghesia che colpisce. Il problema è dunque quello di creare lo strumento di classe capace di affrontare allo stesso livello lo scontro. Le Brigate Rosse sono i primi sedimenti del processo di trasformazione delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate, i primi passi armati nella direzione di questa costruzione [...] Nessun movimento rivoluzionario armato che lotta per il potere può affrontare lo scontro senza essere in grado di realizzare due condizioni fondamentali: 1) misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici, eseguire condanne a morte contro i poliziotti assassini, espropriare il capitale ai capitalisti ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a questi livelli di scontro; 2) far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei quartieri popolari delle grandi città8.
I loro testi circolano, l’editore Feltrinelli ne pubblica una raccolta nel 19769. Anche le Br partecipano a quell’ampio dibattito teorico che attraversa la nuova sinistra italiana dopo il Sessantotto e che mette all’ordine del giorno lo sbocco rivoluzionario e in qualche caso la lotta armata. Portati all’estremo, i temi delle Br sono gli stessi di tante altre formazioni politiche. Tutta l’estrema sinistra ha messo all’ordine del giorno il rovesciamento dell’ordine capitalistico e l’avvio di una prospettiva rivoluzionaria. La rivoluzione è presente in maniera costante e ossessiva nei repertori lessicali e mitici della sinistra. I modelli sono ora Cuba, la Cina, il Vietnam, la guerriglia in America Latina: l’importante è stare dentro un processo globale che punta a sinistra.
D’altra parte, in quegli stessi primi anni Settanta i partiti storici della sinistra, il Pci e il Psi, continuano a riproporre l’opzione del passaggio al socialismo e, anzi, i socialisti ingaggiano una sorta di lotta ideologica per essere più rigorosi e più radicali dei comunisti. I filosofi politici ragionano su questi temi e lo stesso Bobbio riflette sulla politica dei consigli.
È una vera e propria febbre ideologica senza precedenti che attraversa l’Italia, un’Italia che è strutturalmente inserita nell’Occidente capitalista. Per molti gruppi e gruppuscoli intellettuali o d’azione la lotta armata è all’ordine del giorno e non solo come opzione offensiva di fronte alla minaccia fascista.
In questa galassia le Br sono il gruppo più conseguente e determinato. Mentre gran parte del terrorismo di sinistra appare segnato dall’esibizione del gesto che si esaurisce in sé stesso, le Br sono l’unico gruppo che persegue un disegno secondo una logica apparentemente coerente e rigorosa. Ma erano dei visionari e sempre più misureranno il loro successo solo sulla capacità di colpire ed eliminare l’obiettivo del momento.
Nei primi anni Settanta l’ipotesi di ...

Indice dei contenuti

  1. 1900. Inizia il secolo
  2. 1915. Cinque modi di andare alla guerra
  3. 1924. Il delitto Matteotti
  4. 1943. L’8 settembre
  5. 1960. Il miracolo economico
  6. 1968. La grande contestazione
  7. 1978. Il delitto Moro
  8. 1986. Il maxiprocesso
  9. 1992. Tangentopoli
  10. Gli autori