Salire in cattedra
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Vademecum per giovani insegnanti… e non solo

Diego Ellero

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Vademecum per giovani insegnanti… e non solo

Diego Ellero

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Informazioni sul libro

Giovani precari, vincitori di concorso, docenti neo-assunti in ruolo: sono questi i destinatari privilegiati del libro, a cui si aggiungono tutti coloro che hanno la curiosità di conoscere meglio il mondo della scuola, osservandolo dall’interno.
Il volume si divide in sei sezioni, ricalcando l’andamento di un tipico giorno di scuola (dal suono della campanella fino al termine delle lezioni, con una pausa di riflessione durante l’intervallo). Nel corso di questa ideale mattinata di lavoro, l’autore accompagna metaforicamente in classe un giovane collega, offrendogli consigli pratici ricavati dalla propria esperienza personale e mettendolo in guardia dalle insidie di una professione ritenuta a torto accessibile a tutti. Il libro si conclude con alcune osservazioni sulla scuola di oggi e sulle nuove sfide imposte dalla pandemia.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788865128640
Argomento
Education

1. I carismatici

Non sempre sono i più bravi o i più preparati nella loro disciplina, ma sono certamente i più fortunati e spesso i più invidiati dai colleghi. Senza fare alcuno sforzo, infatti, hanno avuto in dono il carisma, una qualità che nessun manuale o corso di formazione al mondo può insegnare, ma che dà grandissimi vantaggi nell’instaurare un buon rapporto con la classe.
Entrando in una scuola si riconoscano subito da tanti piccoli e grandi segnali. Ci limiteremo a due esempi: quando prendono la parola in un collegio docenti o in un consiglio di classe tutti improvvisamente tacciono, staccano per almeno qualche minuto gli occhi dal tablet o dallo smartphone e prestano attenzione a ciò che dicono; ancora, quando entrano in un’aula dove fino a pochi minuti prima un loro collega si agitava e sgolava per sovrastare il chiasso e le urla della classe, cala improvvisamente il silenzio, senza un motivo apparente.
Ciò che distingue il carismatico dall’insegnante genericamente “bravo” è che riesce a ottenere tutto ciò in modo naturale, senza applicare chissà quali strategie didattiche o psicologiche: anche quando non dice cose particolarmente intelligenti, la sua sola presenza incute un senso di rispetto e talvolta di timore reverenziale, di cui è difficile individuare la ragione e che probabilmente il carismatico stesso non saprebbe spiegare. Rispettato dai colleghi, molto ascoltato anche dai Dirigenti scolastici, con le classi riesce a instaurare fin dai primi giorni un buon rapporto, anzitutto sul piano umano, grazie a quell’aura di affabilità e autorevolezza che pare seguirlo ovunque vada. Pochi studenti, e solo nelle classi più difficili, restano in genere insensibili al suo fascino, gli altri ne vengono da subito sedotti: è una tipologia di insegnanti a dire il vero sempre più rara, ma non ancora del tutto estinta.

2. “Quelli con la vocazione”

Una premessa molto importante, a scanso di equivoci: nel capitolo non parleremo di tutti gli insegnanti “con la vocazione”, la maggior parte dei quali con la sua passione tiene in piedi da sola la “baracca” ormai da molti anni. A loro anzi va, senza nessuna ironia, tutta la nostra gratitudine di ex allievi e colleghi. Ci riferiremo pertanto solo a una parte di questa categoria, che, pur animata dalle migliori intenzioni, spesso si dimostra priva di senso del limite, finendo così per diventare una sorta di involontaria parodia dei veri “insegnanti con la vocazione”.
Le colleghe ci perdoneranno (anzi, probabilmente non lo faranno, ma si spera che almeno apprezzino il coraggio), tuttavia anche a costo di violare una delle più basilari norme del politicamente corretto e passare per biechi maschilisti dobbiamo anticiparlo da subito: in questa categoria prevalgono le donne, spesso a loro volta figlie di insegnanti. Talvolta sognavano di fare questo lavoro fin da bambine, quando giocavano con le bambole, distribuendo compiti, assegnando voti e ritirando immaginari quadernoni (qui chiediamo al lettore di fidarsi: parliamo per testimonianza diretta).
Con gli anni questo sogno si è trasformato in un obiettivo professionale perseguito con la massima tenacia e che le ha portate, dopo aver frequentato l’università al solo scopo di conseguire un titolo di studio che desse l’accesso all’insegnamento, a esplorare ogni strada praticabile per arrivare in cattedra il più velocemente possibile.
Entrando in un’aula docenti questa tipologia di insegnanti si riconosce subito da alcuni tratti ricorrenti: il tono di voce, sempre un po’ troppo elevato, l’agitazione costante, che le fa correre da una parte all’altra per fare fotocopie, braccare un collega, preparare i più svariati materiali per le lezioni o strappare un colloquio anche di pochi secondi con Dirigenti indaffaratissimi.
Non serve essere grandi osservatori per capire che si tratta di tanti piccoli ma chiaramente percepibili segnali di un approccio alla professione che si muove al sottile confine tra l’appassionato e il maniaco-ossessivo (spesso superando tale limite, purtroppo).
Ovunque si trovino, dalle macchinette per il caffè alla pausa pranzo, sfruttano ogni momento libero per puntare il primo collega che capita a tiro e per condividere le loro idee su tutto ciò che riguarda la vita scolastica, in particolare mettendoli a parte dei mille progetti e delle mille attività che con eroico spirito di sacrificio stanno seguendo (quasi sempre gratis) per un solo bene supremo: quello dei loro amatissimi allievi.
È un tipo di insegnante che vive per la scuola, pensa solo alla scuola e – quel che è peggio per colleghi, amici e conoscenti – parla solo di scuola. Vive di certezze e non ha mai dubbi su ciò che sia meglio per i propri allievi: ricorda per certi aspetti la Donna Prassede manzoniana «molto incline a fare del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare, ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri» (cap. XXV).
A ricoprire il ruolo che nei Promessi sposi era della povera Lucia, sottoposta ai rimproveri e al controllo opprimente di Donna Prassede, a scuola ci sono i loro allievi: convinte di sapere sempre che cos’è il meglio per ognuno di loro e animate dalle migliori intenzioni, procedono spedite come treni lanciati in corsa, coinvolgendoli in mille attività e pretendendo una partecipazione emotiva che sia almeno pari alla loro (e prendendo come un’offesa personale il fatto che ciò non avvenga, come spesso capita).
Tale pretesa spesso si estende anche ai malcapitati colleghi, che di fronte alla loro forza travolgente hanno sostanzialmente due alternative: quella decisamente preferibile è far capire da subito, in modo più o meno garbato, che appartengono a un’altra tipologia di insegnanti (per esempio i “professionali” o i “lavativi”, come si è detto); l’altra, adatta a chi ha un’innata vocazione al martirio, è quella di sorbirsi in silenzio interminabili monologhi sui più svariati aspetti della vita scolastica, dai rapporti con gli allievi, a quelli con i genitori, a considerazioni spesso polemiche sugli ultimi decreti ministeriali (materia noiosa come poche altre, ma sulla quale in genere sono ferratissime).
I ragazzi son per definizione “i loro ragazzi”, le classi “le loro classi”, che ovviamente non vedono l’ora di ritrovare dopo la pausa estiva: l’insegnamento è vissuto, a volte non solo in senso metaforico, come una missione, una vocazione simile, per molti aspetti, al sacerdozio.
In questo capitolo un po’ si scherza e si esagera, lo si sarà compreso, ma non troppo: non può essere un caso se tra gli insegnanti il tasso di nubili e celibi è curiosamente molto elevato. Ciò non si spiega solo col fatto che stare insieme a una persona che parla sempre e solo di scuola è un’esperienza che nessuno augurerebbe neppure al suo peggior nemico, ma avviene anche perché la scuola assorbe completamente questa categoria di insegnanti, e il rapporto così viscerale che si instaura con gli allievi finisce per non lasciare spazio ad altri tipi di relazioni affettive.
Come le suore e i preti sono “sposati con Cristo”, “quelli con la vocazione” sono sposati con la scuola: vivono tutto con una passione totalizzante che li porta ad eccessi e sbalzi d’umore continui, tra la più sfrenata euforia e la più nera depressione.

3. I lavativi

Altra categoria storicamente presente nel mondo della scuola è la principale responsabile del discredito sociale e della pessima fama di cui godono generalmente gli insegnanti in Italia.
Arrivati all’insegnamento spesso con lauree prese a stento e ampiamente fuori corso, hanno individuato nella scuola una sorta di polizza assicurativa sulla vita: totalmente disinteressati all’insegnamento, non hanno tuttavia resistito al fascino molto italiano del posto fisso, vedendo nella scuola un’occasione imperdibile di guadagnare lavorando il meno possibile, oppure di garantirsi una pensione svolgendo contemporaneamente un’altra professione ben più lucrativa. In questo secondo caso, hanno scelto di fare un doppio lavoro, una possibilità che da sempre la scuola italiana concede con troppa generosità, ammettendo implicitamente che insegnare sia un’attività che non richiede poi un così grande impegno.
Sono per molti versi l’opposto di “quelli con la vocazione”: nella vita scolastica di tutti i giorni (quando ci sono, perché il certificato medico è un asso nella manica a cui spesso ricorrono senza il minimo pudore) tendono a farsi notare il meno possibile, dribblano con abilità ogni incarico che non sia strettamente richiesto dal contratto nazionale (di cui possono recitare a memoria qualunque comma); insomma, hanno appreso la capacità di rendersi con gli anni, se non fisicamente, almeno professionalmente invisibili.
Se ci sono e quando ci sono, è come se non ci fossero: non ci sono per i colleghi, con cui cercano di avere meno rapporti possibili, evitando come la peste qualunque progetto o attività che richieda la loro partecipazione, ma quel che è più grave non ci sono per gli studenti.
Questo è un punto particolarmente delicato, perché non è facile spiegare in che senso, nella scuola di oggi, sia possibile non esserci per gli allievi. L’epoca infatti del lavativo assoluto, figura quasi mitologica che entrava in classe non facendo assolutamente nulla se non leggere il giornale, fumare una sigaretta (quando ancora si poteva) e aspettare il suono della campanella, al di là dei luoghi comuni duri a morire sui prof.-fannulloni, sembra ormai definitivamente superata.
Non è che sia sparito questo tipo di lavativo, sia chiaro, è che mentre fino a qualche decennio fa gli studenti per il solo fatto di essere a scuola stavano mediamente abbastanza tranquilli e composti, sfruttando il tempo a disposizione per portarsi avanti con altri compiti o prepararsi per le interrogazioni delle ore successive, oggi un atteggiamento del genere scatenerebbe dopo pochi minuti il pandemonio, con urla e risate che si sentirebbero immediatamente in tutta la scuola. Ciò provocherebbe in modo quasi inevitabile l’intervento del Dirigente, che anche volendolo non potrebbe girarsi dall’altra parte e fare finta di nulla.
Il lavativo del terzo millennio usa metodi più subdoli e raffinati: con la scusa di ricorrere alle più avanzate strategie didattiche assegna preferibilmente agli studenti lavori individuali o di gruppo, oppure li fa studiare quasi esclusivamente dal libro di testo, spiegando il meno possibile. Ancora, assegna voti alti in modo vergognosamente generoso, in modo che gli studenti non si lamentino con i genitori o con il Dirigente; insomma, crea con la classe un rapporto perverso, basato su un reciproco scambio di favori, all’insegna del vivi e lascia vivere.
Nell’impossibilità di non fare nulla, in definitiva, fa il meno possibile: è un modo di vivere la scuola che richiede non poche abilità, perché il rischio che la classe sfugga di mano è molto alto e l’ultima cosa al mondo che il lavativo desidera è quella di essere notato, di uscire da quell’invisibilità professionale che è la miglior garanzia di poter continuare indisturbato a far finta di lavorare.

4. I professionali

Veniamo infine all’ultima categoria, quella che abbiamo ribattezzato dei “professionali”. È una categoria decisamente in ascesa, negli ultimi anni, intermedia tra “quelli con la vocazione” e i lavativi.
L’insegnante “professionale” non è arrivato all’insegnamento per vocazione: iscrittosi all’università con tutt’altri obiettivi, si è ritrovato dopo la laurea senza prospettive certe di lavoro e ha scelto la scuola per ripiego, anche se si vergogna a dirlo apertamente e non lo ammetterebbe neppure sotto tortura. Altri ancora, dopo una o più esperienze nel settore privato o all’università, per scelte personali o dopo aver perso il lavoro, hanno visto nella scuola l’unica prospettiva possibile per ritrovare un minimo di sicurezza economica.
Sono persone che a un certo punto della loro vita si sono trovate di fronte a un bivio: vivere questa situazione come un’esperienza frustrante e trascinarsi con questo stato d’animo fino alla pensione, oppure rassegnarsi e cercare comunque di fare del proprio meglio in una situazione professionale diversa da quella desiderata.
I primi in genere finiscono per confluire nella categoria dei “lavativi”, ammesso che il loro stato psichico (non incline per natura a non fare nulla) non li costringa a cercarsi un altro lavoro; i secondi invece di solito entrano a far parte dei “professionali” (mai di “quelli con la vocazione”, categoria accessibile solo per diritto di nascita).
Date queste premesse, è chiaro che si tratta di una categoria estremamente variegata e di per sé più difficile da definire rispetto alle altre: ciò che tuttavia hanno in comune coloro che ne fanno parte è un rapporto con la scuola che, nonostante le premesse non fossero affatto promettenti, spesso si può definire nel complesso buono.
Dopo un inizio carico di incertezze ed esitazioni – lo ripetiamo: è un lavoro che non hanno davvero scelto, ma la vita li ha portati a fare quasi loro malgrado – scoprono infatti spesso, talvolta con loro sorpresa, che insegnare non è poi così male.
Non avendo eccessive aspettative, né dalla scuola né dalla vita in generale, con gli alunni di solito si trovano bene, e rispetto ad altre attività molti scoprono con piacere che, nonostante il carico di lavoro sia tutt’altro che trascurabile, almeno possono gestire con più flessibilità il proprio tempo libero.
L’avverbio che meglio caratterizza la loro condizione potrebbe essere abbastanza: hanno un rapporto abbastanza buono con i colleghi e con i Dirigenti; si fanno abbastanza coinvolgere nelle attività extracurricolari e nei progetti; sono abbastanza soddisfatti del loro lavoro; vivono tutto a un’intensità che potremmo definire media, ma cercando sostanzialmente di fare nel migliore dei modi ciò che devono fare.
Questo loro atteggiamento disincantato li rende in genere benvoluti anche dagli studenti, che non si sentono né assillati dalle mille richieste di “quelli con la vocazione”, né abbandonati a sé stessi come capita con i “lavativi”.
L’esperienza, inoltre, rende in genere col tempo questi insegnanti più umani e comprensivi della media dei loro colleghi, e non mancano quelli che col tempo iniziano perfino ad apprezzare davvero l’attività di insegnante, anche al di là di quel gusto innato per il lavoro ben fatto (elemento fondamentale che li distingue dai “lavativi”) che, verosimilmente, li avrebbe portati a cercare di svolgere nel migliore dei modi anche qualunque altro mestiere avessero scelto di fare.

Tra commedia umana e commedia dell’arte: l’esame di stato

Un momento nel quale emergono in tutta la loro forza i vizi e le virtù, o più semplicemente i diversi modi di interpretare la professione dell’insegnante di cui abbiamo proposto una descrizione sommaria nel capitolo precedente, è l’esame di stato (ci riferiamo a quello delle superiori, ma alcune considerazioni valgono anche per quello conclusivo della scuola media).
Non c’è quasi Ministro dell’Istruzione che negli ultimi decenni non abbia tentato di mettere mano all’esame, tramite riforme da realizzare in tempi possibilmente rapidi.
Ciò ha portato a un continuo susseguirsi di modifiche, più o meno radicali, spesso contraddistinte anche da una notevole attenzione mediatica.
Diamo il via, allora, come se fossimo su una giostra impazzita, a qualche esempio dei cambiamenti che hanno contraddistinto l’esame finale negli ultimi anni. Prima di iniziare, dobbiamo dare l’avvertimento di tenersi forte, perché si rischia di cadere, e invitare i più sensibili a preparare un bicchiere d’acqua e una pastiglia contro i capogiri.
Primo annoso problema da risolvere: quali insegnanti mettere nelle commissioni? Si diceva una volta: meglio una prevalenza di membri interni, perché, poveri ragazzi, è bene che li valutino i professori che li conoscono. Però poi no, perché così va a finire che si mettono tutti d’accordo, meglio commissioni con membri esterni e al massimo un interno, per poi passare a una via di mezzo molto italiana, con tre interni e quattro esterni (ora in realtà, causa Covid, si è tornati a sei interni con un presidente esterno, in attesa di capire che cosa fare quando sarà passata l’emergenza).
Poi ci sono le prove scritte: prima due, poi tre, col famigerato “quizzone” su quattro materie come terza prova scritta, per poi fare marcia indietro, perché metteva troppa ansia ai ragazzi (e non sia mai!) e perché si è scoperto che in fondo gli stessi argomenti che si chiedevano nel “quizzone” si potevano chiedere anche all’orale.
E le altre prove scritte? Un tempo in italiano c’era solo il tema libero, ma non andava bene, non sviluppava abbastanza le “competenze”, e allora sotto con l’articolo e il saggio, però poi si è capito che la scuola mica deve formare tanti piccoli Indro Montanelli o Claudio Magris, tanto più che quel tema prevedeva l’impiego di tutta una serie di documenti (il dossier), di cui molti studenti si servivano per fare un copia e incolla, senza aggiungere niente di proprio. E allora basta, via tu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. SALIRE IN CATTEDRA
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. PRIMA ORA
  6. «Non c’è mai una seconda occasione per fare una buona impressione la prima volta» (Oscar Wilde): il primo giorno di scuola
  7. Imparando da Machiavelli: essere amati, essere temuti, essere odiati
  8. Tra classi-circo e classi-caserma: pochi consigli empirici per “tenere” una classe
  9. Le regole: darne poche, farle rispettare tutte
  10. SECONDA ORA
  11. Guardia e ladri tra i banchi: osservazioni sull’“arte” di copiare nel terzo millennio
  12. “Essere sopra”, “essere sotto”: «il voto non è importante è l’unica cosa che conta»
  13. Ciò che inizia in classe finisce in classe: gli errori della personalizzazione
  14. TERZA ORA
  15. Se non ci fossimo, il mondo continuerebbe ad andare male com’è sempre andato: insegnare senza sopravvalutarsi
  16. I carismatici, “quelli con la vocazione”, i professionali, i lavativi: quattro modi per essere prof.
  17. 1. I carismatici
  18. 2. “Quelli con la vocazione”
  19. 3. I lavativi
  20. 4. I professionali
  21. Tra commedia umana e commedia dell’arte: l’esame di stato
  22. Insegnanti oltre l’orlo di una crisi di nervi: il burnout
  23. INTERVALLO
  24. «Gli insegnanti... tutti parassiti, lavorano diciotto ore alla settimana e si fanno tre mesi di vacanza all’anno»
  25. QUARTA ORA
  26. Distanze siderali e mondi paralleli: appunti di fisica delle relazioni scolastiche
  27. Alla ricerca dell’autorevolezza perduta
  28. Istruire ed educare: qualche idea su confini e priorità
  29. La politica a scuola: il pensiero unico globale e la morte delle grandi ideologie
  30. Scuola e inclusione: una postilla a margine
  31. QUINTA ORA
  32. Orgoglio e pregiudizi: la scuola alla prova del Covid
  33. AUTORE
Stili delle citazioni per Salire in cattedra

APA 6 Citation

Ellero, D. (2022). Salire in cattedra ([edition unavailable]). Marcianum Press. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3467343/salire-in-cattedra-vademecum-per-giovani-insegnanti-e-non-solo-pdf (Original work published 2022)

Chicago Citation

Ellero, Diego. (2022) 2022. Salire in Cattedra. [Edition unavailable]. Marcianum Press. https://www.perlego.com/book/3467343/salire-in-cattedra-vademecum-per-giovani-insegnanti-e-non-solo-pdf.

Harvard Citation

Ellero, D. (2022) Salire in cattedra. [edition unavailable]. Marcianum Press. Available at: https://www.perlego.com/book/3467343/salire-in-cattedra-vademecum-per-giovani-insegnanti-e-non-solo-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Ellero, Diego. Salire in Cattedra. [edition unavailable]. Marcianum Press, 2022. Web. 15 Oct. 2022.