PARTE OPERATIVA Premessa
Il modello di riferimento per declinare ed attuare operativamente l’animazione della comunità che prendiamo a riferimento è il brano dei discepoli di Emmaus.
L’analisi narrativa del testo, ci pone dinanzi a sei passaggi:
1. dall’estraneità al mettersi accanto
“Gesù si avvicinò e camminava con loro…”
2. dal mettersi accanto al risveglio della coscienza
“E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro ciò che si riferiva a lui”
3. dal risveglio al rimanere per osservare
“Ma essi insistettero: ‘Resta con noi…’”
4. dal rimanere al gesto che apre gli occhi
“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione… Allora si aprirono loro gli occhi…”
5. dall’aprire gli occhi al discernimento
“Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero ‘Non ardeva forse in noi il nostro cuore…’”
6. dal discernimento all’azione e testimonianza
“Partirono senza indugio… e narrarono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto”
Questi passaggi caratterizzano l’azione animativa come cammino fondato su tre dinamiche:
1. racconto
2. discernimento
3. progettualità
In principio vi è però la relazione, se non c’è l’incontro con l’altro non ci possono essere dinamiche di animazione, cioè di “processi che infondono vita e producono cambiamento”.
Gesù si mette accanto e racconta, narra e la narrazione porta al discernimento, il discernimento alla progettualità.
Racconto, discernimento e progettualità possono essere tre metodi di animazione pastorale della comunità in chiave socio-culturale.
Saranno così declinati:
1. narrazione
2. discernimento comunitario
3. progettazione partecipata
La narrazione
La narrazione è un concetto trasversale all’oralità e alla scrittura; sia le civiltà alfabetiche che quelle illetterate ne hanno avuto forme più o meno sviluppate. La narrazione è in un certo senso connaturata all’uomo: non si ha testimonianza di civiltà che non abbiano utilizzato la narrazione. Essa traversa le culture, le epoche, i luoghi, è presente da sempre e forse, sarà sempre presente; si potrebbe dire che con il nascere della socialità, della relazione interumana è nata la narrazione ed insieme alla relazionalità stessa è l’unico elemento da sempre presente.
Narrare necesse est. Abbiamo tutti bisogno di raccontare. “È sempre stato così ed è ancora così. Poiché noi esseri umani siamo le nostre storie e le storie hanno bisogno di essere raccontate.” Lo insegnava Odo Marquard, figura tra le più auto-revoli nello studio della sensibilità estetica contemporanea.
Le attività umane che prevedono l’uso delle storie sono infinite e ogni volta che narriamo una storia entrano in gioco tante parti di noi. Siamo, letteralmente, fatti di storie.
Siamo, insomma, un capitale narrativo, cioè la somma dei contenuti che fanno di noi ciò che siamo, orientando il nostro vissuto di vita o di lavoro, tanto da renderlo condivisibile con gli altri e accettato dagli altri.
Il racconto, come tecnica espressiva di sé è l’elemento che permette di coinvolgere, costruire identità e relazioni.
Con particolare raffinatezza Annamaria Iacuele Leonardi18 racconta la storia dell’evento narrativo e il suo significato:
L’arte del narrare ha avuto in passato un ruolo fondamentale in tutte le culture e ancora oggi lo conserva nelle culture tradizionali sopravvissute ad un rapido processo di conversione tecnologica. In tempi antichi, non dominati dai miti dell’efficienza e della produttività propri della cultura tecnologica, ogni popolo conosceva una pluralità di linguaggi di grande spessore semantico e usava differenti modalità espressive a seconda del luogo, del tempo, della situazione o a seconda del referente della comunicazione o dell’argomento che doveva esserne l’oggetto. Ogni situazione, ogni contesto, ogni argomento richiedeva uno stile, un vocabolario, una modalità d’espressione, un’intonazione particolare. L’arte della retorica (cioè l’arte del dire) era considerata fino a qualche decennio fa, anche nella nostra cultura, erede della cultura classica […], indispensabile bagaglio di ogni uomo colto.
In Grecia il narratore, l’aedo, era figura particolarmente venerata ed a lui era affidata la memoria del popolo, della sua storia, dei suoi valori, della sua tradizione, della sua areté (valore). Per i Greci l’areté (che i latini chiamavano virtus, cioè la dote propria di un uomo) consisteva nella capacità dell’uomo di vincere la battaglia con se stesso, con il male, con l’errore, con i nemici e doveva portare alla kalokagathia (realizzazione ad un tempo del bene e della bellezza) [...]. Un ricordo di questa antica, sacra arte del narrare permane ancora oggi, con tutto il suo incanto e la sua sacralità, nella narrazione di un mito (dal greco mythos, parola) o di una favola.
La narrazione è stata lo strumento principe della costruzione e della trasmissione del sapere. “Coin-volgere” è la parola chiave, dunque. Attraverso il coinvolgimento si può attivare un capitale di storie che gettano ponti tra soggetti. A quale cultura appartiene la narrazione? La narrazione appartiene alla cultura dei valori umani. Essa tesse la sua ragnatela tra gli individui e li fa connettere, li fa crescere, li matura e li mette nelle condizioni di provare benessere immateriale. La struttura narrativa nell’esperienza umana si configura attraverso l’elaborazione di intrecci. È attraverso gli intrecci – e dunque entrando in una narrazione – che l’esperienza temporale dell’essere umano può acqui-stare un significato. In altri termini, con i racconti di cui diveniamo capaci variano le configurazioni che possiamo riconoscere nell’esperienza, riposizionandoci di conseguenza rispetto al passato e al futuro. Le narrazioni permettono inoltre di esplo-rare l’infinità dei significati possibili di un’azione, delle variabili connessioni che si possono istituire tra antecedenti, coincidenze, conseguenze e implicazioni: ecco anche perché c’è un nesso tra il narrare e il conoscere.
E, cosa molto importante, la narrazione costruisce la storia, cioè la traccia del passaggio di qualcosa o qualcuno in un determinato tempo.
Infatti narrare e narrazione discendono da precedenti latini che includono gnarus (esperto, conoscitore) e narro (racconto), i quali trovano a loro volta corrispondenze nella lingua greca (verbo gignosko, “conosco”) e rimandano ad una radice sanscrita (gnâ), che contiene in sé l’idea del “conoscere”. Dunque il significato etimologico del verbo è “far conoscere raccontando”.
Il processo di costruzione e definizione dell’identità narrativa è anche una delle sfide dell’animazione. L’animatore, cavalcando l’onda dei mutamenti socioculturali, è investito di un ruolo significativo: colui che narra. Ma non si narra solo con le parole, si narra anche attraverso le immagini.
La Vocazione di san Matteo di Caravaggio è un esempio di narrazione attraverso le immagini.
In quest’opera Caravaggio oltre che con le immagini narra anche con la luce.
Un raggio di luce attraversa tutto il dipinto, una luce netta, pura, determinata, come una spada taglia la materia in due [...] per la prima volta, vedevo raffigurati in pittura dei concetti così forti, il Bene e il Male, l’umano e il divino, il cosciente e l’inconscio. [...] Il raggio di luce che taglia la composizione è come sovrapposto, non è reale, ma ha la forza di un simbolo. È così che, infatti, Caravaggio decide di visualizzare il rap-porto col divino, tramite la luce. E attraverso la luce attua una separazione netta: divide il mondo umano dal divino, il Bene dal Male, il passato dal futuro, il cosciente dall’inconscio. (Vittorio Storaro, Luce e ombra nell’opera di Caravaggio)
Potenza delle immagini! La lettura di questa opera ci svela cosa sia il narrare, l’offrire un intero mondo di percezioni, valori, complicità affidandoci ad un impareggiabile contrasto luce/ombra. In quest’opera Caravaggio costruisce lo spazio usando due piani: uno vuoto, quello superiore, attraversato solo da un fascio di luce; l’altro, quello inferiore, popolato di personaggi.
Lo spazio tuttavia viene concepito come poco profondo, infatti la scena si sviluppa da destra a sinistra seguendo la mano indicante di Gesù e i personaggi disegnano un movimento centripeto. Lo spazio è talmente poco profondo che la dimensione più importante sembra essere proprio quella del tempo, a discapito appunto della dimensione dello spazio.
Ma quale tempo?
Il tempo di un’istantanea. A dirla con i greci, il tempo dell’aoristo. Nella lingua greca, infatti, l’aoristo è il tempo che caratterizza l’azione in sé e per sé, colta nel momento in cui si svolge, nel punto (ossia nel momento istantaneo) in cui essa avviene. Perciò si presta a essere impiegato nella narrazione. “Seguimi”, leggiamo nel Vangelo. Diretto. Istantaneo.
Narrare non è semplicemente raccontare. Nar-rare non significa mai solo raccontare una storia. Narrare significa raccontare un mondo, attraverso una storia e attraverso una storia raccontare un luogo, una società o una singola persona. Da questa complessità ha origine il bisogno di nar-rare, caratteristica profondamente umana, che riscopriamo ogni volta in maniera diversa. Dunque il racconto è l’oggetto, è ciò che il narrare crea. E narrare, che non è solo mettere in fila fatti e informazioni, significa prima di tutto trasmettere uno sguardo sul mondo e un’esperienza.
Tutto ciò fa Caravag...