La rivoluzione è in pausa
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La rivoluzione è in pausa

  1. 44 pagine
  2. Italian
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La rivoluzione è in pausa

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Le nostre città cambiano come cambiano le nostre vite. A un certo punto degli ultimi vent'anni, nelle une come nelle altre si è prodotto un baratto: tra mistero e prevedibilità, tra riconoscimento (uno stile di vita cosmopolita e urbano) e diseguaglianza (uno stile che sempre meno persone potevano permettersi). Il senso da dare a questo baratto - subíto da alcuni, cercato da altri - lo decide chi ne racconta la storia. L'evoluzione di un singolo quartiere - l'Isola, a Milano - finisce cosí per racchiudere lotte, ingiustizie, speranze tradite e utopie sognate che riepilogano, in un dettaglio, quelle di un Paese intero. La rivoluzione è in pausa ha la tensione e lo slancio di un piccolo romanzo di formazione, e allo stesso tempo la precisione analitica che permette di sbrogliare il nodo che unisce finanza e politica, attivismo e informazione. Memoria e rabbia.

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Informazioni

La rivoluzione è in pausa

in memoria di Bert Theis
Ogni mistero è evaporato dalle nostre città.
VITALIANO TREVISAN, Works, 2022.
Su Google Maps la rivoluzione è ancora in pausa.
Street View è un servizio che permette di percorrere le città strada per strada; nei luoghi coperti, una flotta di automobili con fotocamere e periscopi sul tettuccio batte periodicamente ogni tratto viabile per offrire una versione digitalizzata il piú possibile attuale dell’esperienza di chi cammina in città. Ma anche quando ne vengono scattate di nuove, le vecchie fotografie degli stessi palazzi e incroci restano accessibili, sfogliabili come le stratigrafie di un palinsesto.
È cosí per il fazzoletto di Milano in cui oggi sorgono le torri di appartamenti di lusso note, con un nome forse un po’ altisonante, come «bosco verticale». Cercandole su Google Maps da via Confalonieri, all’incrocio con la via in cui nacque Silvio Berlusconi, la prima immagine che appare è quella delle facciate sfumate dagli spettacolari alberi piantati sui balconi e curati da un team di giardinieri esperti di arrampicata; ma tornando indietro nel tempo si risale alla lenta edificazione delle torri, e dei complessi di uffici intorno (uno dei quali, curiosamente, ospita la sede italiana di Google). Tornando ancora piú indietro quello che oggi è il giardino ai piedi delle torri appare come una distesa di fango e macerie, chiusa da una staccionata da cantiere. Ma c’è un punto in cui la barriera in nylon e rete metallica si salda a un pezzo di muro preesistente; è in mattoni rossi, mezzo diroccato per via delle demolizioni, e da un margine superiore zampilla ancora una cascata di edera, e si distingue una scritta a caratteri neri su un tratto di bianco: «revolution is on hold», dice, la rivoluzione è in pausa.
Quella scritta è un’opera di Tania Bruguera, realizzata per una mostra che si è tenuta nel 2005 a Isola Art Center, un centro per l’arte in una fabbrica abbandonata che ospitava anche un doposcuola, una ciclofficina, una tv di quartiere, un mercato biologico, un bar. La fabbrica in questione, la Stecca degli Artigiani, è stata abbattuta per costruire le torri di lusso visibili oggi sia su Street View che nella realtà. La Stecca, invece, non esiste né nell’una né nell’altra, come su internet esiste molto poco del mondo prima del 2007. Su Google Maps l’immagine piú vecchia risale agli inizi del 2008, quando la Stecca era stata già abbattuta: ne restava solo un brandello di muro perimetrale intorno a una voragine di fango, e sul muro la scritta come un ultimo messaggio dall’aldilà.
Nella foto successiva anche il muro non c’è piú.
Il quartiere Isola è la propaggine piú settentrionale del centro di Milano, schiacciata fra il centro storico e la circonvallazione esterna. Il nome, secondo una dubbia leggenda popolare cementata dal marketing urbano, deriva dal fatto che la zona è accerchiata da scali ferroviari – Garibaldi a sud, Farini a ovest – e solo tre ponti la congiungono al centro.
Piú che un quartiere è una chiazza di città – minuscola rispetto a zone come Testaccio a Roma o Barriera a Torino. Si tratta di una ventina di vie di casamenti di ringhiera o palazzine borghesi di inizio secolo, forse trenta, strette a grappolo intorno a cinque o sei piazzette che due volte a settimana ospitano un mercato rionale. C’è un palazzo famoso di un architetto fascista e un po’ di tracce del liberty milanese, qualche bifora, qualche bovindo, due o tre infiorescenze di stucco fra i timpani alle facciate.
Storicamente operaia, l’Isola era divenuta negli anni Novanta uno dei punti focali dell’immigrazione a Milano. Questo aveva tenuto i valori immobiliari abbastanza bassi perché vi trovassero aria, nell’indifferenza di amministrazione e speculatori, alcuni spazi di alternativa sociale: una casa occupata (Metropolix, sgomberata nel 1999); uno studentato (V33, sgomberato nel 2007); un centro sociale e ostello popolare (Pergola, sgomberato nel 2008); e un aggregato di spazi di quartiere, occupato da un insieme di realtà fra cui i genitori delle due scuole di quartiere, degli artigiani e un gruppo di artisti e filosofi: la Stecca, sgomberata nel 2007.
Io sono arrivato in Isola nel 2006.
Quest’ultima sezione viene da un testo sul cambiamento del quartiere che ho scritto dieci anni fa. Si sente. Nel 2022 non è cambiato solo il mondo che descrive, ma anche il mondo in cui quel mondo viene descritto, il suo orizzonte di senso e possibilità. L’Isola è diventata nota in tutta Italia: il cliché di una trasformazione urbana rapida e scintillante, accompagnata da un racconto della propria identità «creativa» e «locale» – aborro le virgolette ma in certi casi sono inevitabili – tanto onnipresente da risultare insopportabile e urticante. Anche quella trasformazione – che avrebbe poi interessato numerose città in tutto il Paese, e a Milano si è espansa ben oltre la circonvallazione – è diventata famosa, tanto che spesso basta menzionarne il nome per suscitare un fastidio analogo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quanti Einaudi
  4. La rivoluzione è in pausa
  5. Gli altri Quanti. Città
  6. Il libro
  7. L’autore
  8. Copyright