Capitolo 十二 shí èr
Il mattino seguente Giulio ebbe un dolce risveglio, Laura in piedi davanti al futon con una tazzina di caffè bollente per lui:
«Questo te lo manda mia madre» gli disse, poi lo baciò «questo da parte mia.»
«Mi sei mancata, vieni qui accanto a me!»
«Anche tu, tantissimo, ma non possiamo oziare. Dai, alzati che è tardi! Comunque ai miei sei piaciuto un botto!» aggiunse mentre scendeva dal soppalco.
Un’ora dopo erano nella piazza principale, sotto l’arco trionfale eretto nel 1777 dalla cittadinanza in onore del concittadino papa Clemente XIV; Caterina, Silvia e Daniele erano già arrivati. Silvia prese Giulio e Daniele sottobraccio e cominciò a fargli da guida:
«Tra un sardo e un marchigiano, chi sta meglio di me? Dovete sapere che sono tanti i motivi per i quali vale la pena venire a Santarcangelo: prima di tutto perché è in Romagna e qui potete vivere a pieno e respirare l’atmosfera di questa terra, poi per la sua bellezza architettonica, come potete notare dai palazzi che circondano questa piazza e non solo, infine perché si mangia e si beve bene, gli abitanti sono belli e simpatici come la vostra guida!»
«Ma valà, andiamo verso il parco dei Cappuccini. C’è un leggero dislivello che vale la pena affrontare» s’intromise Caterina «da lassù si riesce a comprendere la struttura del borgo antico edificato su Monte Giove. Non è troppo freddo per fare una passeggiata in mezzo agli alberi, sono sicura che vi piacerà.»
«Sì Caterina, però andiamo prima su alla Torre del Campanone, poi scendiamo verso la Rocca e prendiamo per il parco dei Cappuccini dall’altro versante!» intervenne Laura.
Il gruppetto s’incamminò tra salite e discese, gradini e case incastonate in una cornice davvero singolare. Qua e là spuntavano chiome di alberi che tradivano l’esistenza di giardini tra le case, edera verdeggiava e rosseggiava sulle pareti di alcune di esse. Durante la passeggiata Laura spiegò che sotto i loro piedi si dipanava un’intricata rete di sotterranei, cavità, pozzi, cunicoli e gallerie scavati nell’arenaria e nell’argilla, che componeva una città parallela a quella visibile. Un fitto reticolo di misteriose grotte, notevoli per la loro bellezza architettonica, sulle cui origini ed usi ancora ci s’interrogava: forse semplici cantine o luoghi di culto, forse entrambi.
La passeggiata fu molto piacevole, Giulio e Daniele furono entusiasti della cittadina romagnola e si promisero una nuova visita, magari il luglio successivo per il prestigioso Festival Internazionale del Teatro in piazza. Mentre tornavano sui loro passi, perché era quasi ora di pranzo, Laura propose ai suoi amici di fare un’altra passeggiata il mattino seguente, per una visita alla Stamperia artigianale Marchi, che da tradizione utilizzava ancora un mangano del 1600, unico al mondo per dimensioni e peso, per stampare a ruggine, ma non solo, teli, tovaglie, grembiuli da cucina o altre creazioni artigianali con motivi tipicamente romagnoli, o su disegni del maestro Tonino Guerra.
«Ma chi, lo sceneggiatore? quello di Amarcord?» chiese Daniele.
«Sì, ma non solo! Quest’anno invece di andare in pensione si è dato alla pittura, adesso vive a Pennabilli, ma è nato qua, abitava a Piazza Ganganelli, dov’è andato a scuola e ha giocato da bambino. A volte lo s’incontrava al bar e c’è una frase che spesseggiava quando si rivolgeva a noi burdèli che giocavamo in piazza e che però ho capito solo al liceo: “Sta drètt che la belèzza n pàisa”» rispose Laura.
«Come?»
«Vuol dire stai diritto, che la bellezza non pesa!», al che i giovanotti subito s’impettirono.
«Magari prendiamo le bici e arriviamo anche al fiume».
La proposta di Caterina fu accolta positivamente da tutti. Al rientro a casa il gruppo di amici trovò ad aspettarli il maestro Féng. Le sue allieve di un tempo lo salutarono con un profondo inchino e un abbraccio collettivo; seguirono le presentazioni e Giulio fu felice d’intrattenersi con il maestro, al quale raccontò la sua esperienza nella pratica del Tài jí quán e rivolse numerose domande sullo stile yáng, a cui Féng fu ben lieto di rispondere, anzi invitò il ragazzo a unirsi la successiva domenica a uno stage presso il suo centro a Rimini. Dolente Giulio declinò l’invito spiegando che in quella giornata sarebbe rientrato a Napoli, ma che sarebbe stato felice se si fosse presentata un’altra occasione.
In salotto Iria aveva preparato un aperitivo romagnolo a base di salumi, formaggi, crostini, cassoncini di verdure, salsiccia, piadina e crudités. Silvia esclamò:
«Fata roba! Iria ma da che ora sei ai fornelli? Mi dispiace se ti abbiamo dato tanto lavoro!»
«Lasa ’ndè, Silvia, ci mancherebbe, mi fa piacere avervi intorno, siamo sempre da soli Roberto e io! E comunque la pieda e i cassoni li ho presi nella piadineria in centro! tutto il resto l’ho preparato io. Dai Laura, vin olta che mi dai una mano ad apparecchiare!»
«Veniamo anche noi a dare una mano!» si offrì Caterina. Il pranzo fu all’altezza di quello natalizio: cappelletti in brodo, brasato al Sangiovese, verdure gratinate e una crostata alla frutta da accompagnare con un bel bicchiere di Cagnina. Per il caffè e l’ammazzacaffè si spostarono in salotto.
«La mia mamma ha preparato i Sabadoni per il caffè, dovete provarli!» disse Silvia scartando un vassoio.
«Così però scoppiamo!» reclamò non molto convinto Daniele.
«Laura, facciamo un po’ per uno? Sono curioso, cosa sono?» chiese Giulio.
«Sì, Giulio, tin bòta che ne vale la pena. Sono tortelli dolci ripieni di castagne cotte e marmellata di fichi, di mele o pere cotogne, non so, imbevuti completamente nella saba, uno sciroppo fatto con la riduzione a fuoco lento del mosto d’uva bianca o rossa» rispose Laura.
«Fichi e uva rossa» chiarì Silvia.
«Una vera delizia!» esclamò Féng, che non si era lasciato pregare.
«Caterina, Laura mi ha detto che vuoi interrogare l’Yì jīng, andiamo nel tinello che siamo più tranquille, ragazze voi venite?» chiese Iria.
Le ragazze seguirono la madre di Laura in tinello, mentre Roberto, il maestro Féng e i ragazzi rimasero in salotto. La donna prese un mazzetto di steli da un barattolo di vetro in una credenza, il libro che era lì accanto e si rivolse alla ragazza: «Dunque, Cate, ricordi come si fa?»
«Sì, Iria, devo formulare la domanda, toccare i bastoncini e poi tu saprai interpretare il responso dell’oracolo. Giusto?»
«Giusto! La domanda può essere silenziosa, non devi per forza comunicarla né a me né a nessun altro. Lo sai vero?»
«Sì, lo so ma non ho nulla da nascondere. Voglio interrogare l’oracolo sulla mia storia d’amore, voglio sapere se io e Daniele ci sposeremo, se resteremo insieme per tutta la vita!»
«Che patacca che sei Caterina, cosa vuoi che se ne importi l’oracolo! Dipenderà da voi se resterete insieme, non certo dal responso dell’Yì jīng! E sol e suga, l’aqua la bagna, Dio i fa e pò i acumpagna» la canzonò Silvia, ma Iria la riprese benevolmente:
«Non dire così Silvia, le questioni di cuore sono importanti. Presto anche tu vorrai interrogare l’oracolo per il tuo moroso, è che per il momento non hai ancora incontrato nessuno per cui valga la pena chiedere!»
Iria pronunciò le ultime parole guardando verso la figlia, che però distolse lo sguardo; quindi passò un mazzetto di steli di achillea a Caterina chiedendole di formulare la domanda, tenendoli tra le mani; poi se li fece ripassare e cominciò a selezionare gli steli disponendoli davanti a lei, quindi sentenziò: «Yü – Il fervore, sopra CHÊN, l’Eccitante, il Tuono sotto K’UN, il Ricettivo, la Terra. È un responso positivo, leggo la sentenza: Il fervore. Propizio è nominare degli aiutanti e far marciare eserciti.»
«Cosa significa?» chiese Caterina.
«La linea forte, lo yáng, il maschile incontra affabilità e obbedienza presso tutte le linee yīn, il femminile. Ha così inizio un movimento che incontra dedizione e perciò entusiasmo. È necessario regolare le proprie disposizioni e affidarsi, lasciarsi guidare. Lasciati guidare dai tuoi e dai suoi sentimenti e affidati alle leggi naturali, insite nella natura del mondo e dell’uomo. Si compirà ciò che hai chiesto! Tra l’altro sembra ci saranno tanti cambiamenti nel tuo futuro, tante novità per le quali non ti senti ancora pronta, che rivoluzioneranno la tua vita».
Iria continuò a spiegare l’esagramma a Caterina consigliandole di vivere pienamente la relazione con Daniele e senza remore.
«Ma sei incinta?» Silvia pose una domanda diretta all’amica.
«Ho un ritardo di qualche settimana…» rispose timidamente Caterina.
«Questa poi, ma sei seria? E che intenzione hai? Lui lo sa?» insistette Silvia.
«Non ancora, volevo prima interrogare l’oracolo!»
«Tu sei matta! E se l’oracolo ti avesse risposto p...