Quel 24 dicembre 1770, i famosi gioiellieri Böhmer e Bassenge si stavano recando a Versailles per mostrare a Madame du Barry i più bei diamanti che un re di Francia potesse donare a una favorita. La contessa ne acquistava parecchi, tanto a pagare era Luigi XV.
Il commesso, Tobias Kettermann, aveva con sé un astuccio piatto, abbastanza largo per una parure di collana con ciondolo e orecchini, e un altro che a occhio conteneva un braccialetto e una aigrette di diamanti. Erano scortati, con discrezione, da due guardie.
Quando la carrozza si fermò davanti alla reggia, stava calando la sera. Una dama in abito di corte, con una mantellina di ermellino, giunse a riferire che Madame du Barry li attendeva al Trianon, il bel padiglione che Sua Maestà le aveva concesso in uso, e indicò la strada al cocchiere.
La carrozza girò intorno alla reggia attraverso rue des Réservoirs, varcando poi la cancellata che dava su un viale rettilineo. I cavalli passarono al trotto sotto i nudi rami degli alberi centenari, che assomigliavano a lunghe braccia di giganti affaticati. I signori Böhmer e Bassenge si erano fatti l’idea che la contessa li avrebbe ricevuti al Petit Trianon, ma il cocchiere fermò la vettura davanti al padiglione più grande.
Illuminato com’era, il Grand Trianon somigliava a una bomboniera in fiamme. Due valletti li fecero entrare in una stanza oblunga con le grandi finestre ad arco, arredata con divanetti di velluto rosso. In un camino bruciava della legna. Non c’era nessuno, e i gioiellieri ne rimasero stupiti.
«I signori ignorano la notizia?» disse uno dei valletti. «Da un’ora, il duca di Choiseul non è più primo ministro!»
Tutti i cortigiani a palazzo erano andati a vedere il ministro che lasciava il suo gabinetto per salire sulla berlina destinata a portarlo in esilio nelle sue terre di Chanteloup. Madame du Barry, responsabile di tanta ignominia, non si era fatta viva.
I cinque visitatori si misero a commentare l’accaduto. Ecco cosa aveva ottenuto Choiseul, a forza di insultare l’amica del re. Dovendo decidere tra l’amante e il ministro, Sua Maestà aveva fatto la sua scelta.
«Come si svolge la destituzione di un primo ministro?» domandò Bassenge.
Il valletto spiegò che le guardie avrebbero fatto salire il duca a bordo di una carrozza chiusa, che avrebbe varcato la cancellata passando tra due file di cavalieri.
La donna che li aveva accolti nel cortile del palazzo, probabilmente una dama d’onore di Madame du Barry, tornò a riferire ai gioiellieri che presto sarebbero stati ricevuti: Madame stava finendo di prepararsi, perché voleva essere sfolgorante in occasione del suo trionfo e, per completare l’effetto, contava sulle parure appena arrivate.
Di nuovo soli, i gioiellieri passarono a commentare l’ostilità tra il ministro e la favorita. Quella sera, l’uno avrebbe viaggiato rannicchiato sui cuscini di una solitaria carrozza in corsa nel freddo della notte, mentre l’altra, vittoriosa, avrebbe brillato dei mille scintillii dei diamanti che loro stessi le avevano portato. Sotto i lampadari di Versailles, applaudita da tutti. Sic transit gloria mundi! Erano lieti di trovarsi sul piatto della bilancia che pendeva verso la gloria.
«Non sentite odore di bruciato?» disse Bassenge.
Si alzarono dai divanetti per andare a vedere. Dall’altro versante del parco si levava un pennacchio di fumo grigio, ben visibile alla luce della luna. Altri due servitori che indossavano la livrea della contessa entrarono a portare uno spuntino su un vassoio d’argento.
«Poco fa, i giardinieri stavano bruciando vecchi ceppi» disse uno dei servitori. «Il fuoco si deve essere riacceso da solo.»
Non sarebbe durato a lungo. E, nella peggiore delle ipotesi, il palazzo era dotato di svariate pompe antincendio che potevano essere alimentate da numerose fonti. Visto che non correvano alcun pericolo, i visitatori osservarono con ancora più tranquillità la colonna bianca che striava il cielo. Il vassoio di biscotti e di stuzzichini sembrava loro ben più interessante.
Non lontano risuonarono tre colpi di fischietto. Facevano forse parte delle misure antincendio?
«No, i guardiani stanno segnalando che da questo istante i cancelli resteranno chiusi fino a domani mattina. Dovrete quindi uscire dall’ingresso principale.»
Poi i servitori aggiunsero, con grande solennità: «Madame vi prega di volerla scusare per il ritardo».
I due gioiellieri si rendevano perfettamente conto che la favorita voleva essere al massimo del suo fascino. Desiderava ringraziare Sua Maestà di avere destituito, per lei, un ministro dedito da quindici anni al regno. Inoltre, la prospettiva di poter ben presto scambiare i loro gioielli con un’esorbitante somma di denaro rendeva l’attesa assai piacevole. Tornarono quindi a mettersi comodi sui divanetti e non tardarono a sprofondare l’uno dopo l’altro, compresi il commesso e le guardie del corpo, in un sonno colmo di beatitudine.
Da quando il signor Böhmer aveva iniziato a russare al momento in cui fu svegliato a fatica da una serie di scossoni passò circa un’ora. Ebbe un brivido. Nel camino si era spento il fuoco, e regnava un freddo glaciale.
«Che fate qui?» volle sapere una guardia in uniforme, spuntata dal nulla.
«Devo consegnare a Madame du Barry i diamanti contenuti in questi astucci» rispose il gioielliere con voce impastata.
«La contessa è a palazzo, voi non potete stare qui!»
Stupiti di vedere illuminato il padiglione in cui i nostri due sventurati aspettavano con pazienza, i servitori avevano allertato la capitaneria. L’ufficiale di picchetto si era recato sul posto con alcuni uomini. Di lunedì, la favorita non stava mai al Trianon: era giorno di ballo, quindi si preparava alle danze.
«Ma avrà bisogno dei nostri gioielli!» rispose Charles Böhmer, la mente ancora annebbiata. «Ecco, guardate anche voi!»
Aprì l’astuccio che teneva sulle ginocchia e lanciò un urlo.
Arrivata dall’Austria nel mese di maggio per sposare l’erede al trono, Maria Antonietta vide con i suoi occhi la discreta agitazione che quella sera si stava impadronendo del palazzo. Il Gran Prevosto di Francia faceva sforzi sovrumani per contenere il nervosismo.
«Ma che succede?» chiese lei alla sua dama d’atour, la principessa di Chimay.
Ufficialmente, andava tutto bene. Nessuno aveva rubato diamanti di valore inestimabile da un salone del Grand Trianon: no, no, neanche per sogno! Il Gran Prevosto non aveva bloccato l’accesso a tutte le uscite della proprietà. E non erano scattate le ricerche di una banda di malviventi che doveva essersi rintanata da qualche parte...
La giovane Delfina batté le mani. L’incertezza di quelle notizie la elettrizzava come un romanzo di Daniel Defoe. Quanto le erano piaciuti Robinson Crusoe e Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders! Le loro avventure rendevano meno cupa la sua vita quotidiana.
Louis du Bouchet, marchese di Sourches, si trovava nel suo studio, immerso nei suoi pensieri. In piedi, davanti a lui, gli allibiti gioiellieri Charles Böhmer e Paul Bassenge.
Il marchese aveva ereditato dal padre la carica di Gran Prevosto di Francia, altresì detto Prévôt de l’Hôtel, responsabile della sicurezza del castello. Quell’edificio era esposto a tutti i venti, e ogni giorno c’era da stupirsi come i principi e le principesse non venissero derubati nel sonno e nei loro stessi appartamenti. Se potevano ancora conservare le loro ricchezze e i loro oggetti di valore, lo dovevano soltanto alla sua attenzione. Ma quella sera la sua lungimiranza era stata colta in fallo.
Dal 9 settembre di quell’anno, il re andava a passare le notti al Petit Trianon assieme a Madame du Barry, a Versailles lo sapevano tutti. Gli autori del misfatto erano ancora irreperibili, nonostante le ricerche. Questi dati spingevano il primo poliziotto di Sua Maestà a due ipotesi, l’una sgradevole e l’altra terrificante.
O quei mascalzoni erano fuggiti col bottino, nonostante le misure prese dalla polizia e in spregio a ogni senso morale, oppure si trovavano ancora lì, sotto il suo naso. E la migliore spiegazione del perché non fossero stati rintracciati portava a supporre che facessero parte del consueto personale di servizio a palazzo. Ai ladri era bastato indossare di nuovo la livrea abituale per confondersi nella massa di coloro che quotidianamente servivano il sovrano.
Gli uomini del Gran Prevosto avevano trovato alcune tracce di una fuga, ma non lo convincevano. Sembravano fasulle: una corda lanciata sopra il muro di cinta, una cartina della zona dimenticata lungo la strada, un mucchio di sterco che poteva far pensare a cavalli in attesa... Anche ammettendo che fossero autentiche, nessun posto di guardia aveva visto i ladri, così come nessun passante li aveva incrociati.
Era tutta una messinscena.
Certo, chiunque avrebbe potuto entrare, e a maggior ragione aggirarsi nel parco. La residenza reale era una grotta di Alì Babà, e senza neanche un apriti sesamo all’entrata. Ma per congegnare quel colpo bisognava conoscere le abitudini del posto, i luoghi e l’organizzazione del servizio.
Il verme era nella mela.
Agli avvenimenti della serata si aggiungevano, oltre alla scomparsa dei gioielli, anche l’incendio di un mucchio di foglie che c’era voluto un quarto d’ora a spegnere e l’inspiegabile scomparsa di un quadretto che decorava una delle pareti del Trianon. Si trattava di un paesaggio, e la sua impronta quadrangolare era ancora ben visibile sotto il cordone di velluto, con tanto di nodo, che era servito a sorreggerlo. Trattandosi di un oggetto decorativo di scarso valore non si capiva perché l’avessero rubato, ma questo furto serviva soltanto ad aumentare il mistero e l’illogicità della situazione in cui si trovavano dopo la scoperta del misfatto. Il marchese di Sourches era finito dentro una serie di eventi incoerenti.
Spedite a perlustrare il parco, le guardie del Prevosto fecero delle retate, perquisirono i passanti e trassero immediatamente in arresto chiunque, a loro avviso, avesse un’aria poco raccomandabile.
Lasciando perdere la ridicola messinscena della corda sul muro, come potevano essere fuggiti i ladri? Impossibile che avessero varcato le cancellate, chiuse per la notte appena prima del misfatto. I fossati che circondavano il giardino del Trianon rendevano una fuga notturna impossibile, o quantomeno assai complicata. I soldati erano stati spediti lungo le strade, con l’ordine di perquisire chiunque avessero trovato.
Forse i banditi sarebbero stati smascherati al momento di rivendere i diamanti, dei quali i gioiellieri avevano fornito una descrizione dettagliata.
Il Prevosto fu colto dallo sconforto. In base ai rapporti che gli arrivavano sulla scrivania, sembrava che le guardie svizzere di sorveglianza ai cancelli avessero sì visto passare quattro tipi loschi, ma non rientrava nei loro compiti arrestare la gente sospetta... Neanche vendere vino ai passanti, se è per questo, eppure tale attività li impegnava più del controllo degli sconosciuti. Assegnate com’erano alla sorveglianza degli ingressi, le guardie non avrebbero mai e poi mai lasciato le loro postazioni per controllare i giardini. Lavori del genere erano veramente il rifugio degli incompetenti, degli invalidi, degli avvinazzati. Tutti entravano senza problemi: le carrozze dei privati cittadini, i cavalli da posta, le bambinaie, i valletti e gli sguatteri. I bambini venivano a giocare a loro piacimento, i giardinieri si lamentavano di trovare le aiuole calpestate... Erano stati ingaggiati due guardaboschi, ma con tutto quel terreno da sorvegliare il loro compito era destinato a fallire. Quel parco era il regno della libertà e delle turpitudini di ogni genere.
In piedi davanti al Gran Prevosto, Böhmer e Bassenge continuavano a sostenere che fosse stata una dama d’onore a invitarli a recarsi al Grand Trianon, ovvero là dove erano stati trovati addormentati.
«Sappiamo bene che quel luogo è riservato alla regina di Francia, ma...»
«Ma avete pensato che Madame du Barry lo fosse diventata in segreto, forse?»
Dopo la scomparsa della regina Maria Leszczyńska, due anni addietro, la Francia non aveva più avuto una regina e il Grand Trianon era rimasto per lo più disabitato.
«Mi vedo costretto ad arrivare a conclusioni sgradevoli...» disse il Gran Prevosto.
Quel che c’era di sgradevole nelle sue conclusioni stava nella sua impossibilità di capire fino in fondo le circostanze del furto. C’era da credere che quei boschi fossero abitati da folletti, capaci di far sparire i gioielli per poi tornare a nascondersi sottoterra o tra gli alberi.
Gli venivano in mente altre ipotesi bizzarre, tipo che i ladri avessero acceso un falò dalla parte opposta del parco per distogliere l’attenzione e allontanare le guardie. D’altronde, non avrebbe potuto andare diversamente: era stato proprio lui a vietare i fuochi e a incaricare le guardie di far rispettare tale direttiva.
Oppure: che cosa aveva di particolare, quella serata, esclusi i preparativi del ballo? La cacciata di Choiseul! I ladri pensavano forse di portarsi via la collana servendosi della carrozza del ministro destituito? Una delle sacche caricate sulla sua carrozza doveva contenere i gioielli rubati. Così mandò anche un cavallerizzo all’inseguimento della pesante berlina.
Per ipotesi, soffermiamoci su questa idea. Per sapere in anticipo che Choiseul sarebbe stato mandato via quella sera, bisognava essere a conoscenza di informazioni estremamente riservate, o di quelle in possesso di un pugno di segretari di Stato... Far parte della prima cerchia della favorita. Essere il re in persona. Origliare alle porte... A meno che... Esisteva una tipologia di persone che passavano sempre inosservate, che facevano parte dell’arredamento, che per mest...