Strega comanda colore
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Strega comanda colore

  1. 252 pagine
  2. Italian
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Strega comanda colore

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Informazioni sul libro

Tutto comincia nella provincia più dimenticata della Bassa Padana, dove una nonna feroce tiene in scacco la famiglia a colpi di umiliazioni e crudeltà. Il denaro per lei è potere, e il potere è controllo.

La nipote, protagonista di questa storia, a cinque anni dice a sua madre: «Quando la nonna Viviana muore ballerò sulla sua tomba con delle scarpe rosse». La madre si sente in colpa: «Come ti ho passato tutto questo? Dal sangue?». Due battute che sono l'esempio dello stile che incendia la pagina. Il sound di un esordio infuocato dai colori cangianti della cattiveria, per cui Chiara Tagliaferri ha orecchio assoluto. E il talento letterario di riprodurla attraverso personaggi femminili memorabili: la nonna, la madre, la sorella, se stessa.

Strega comanda colore è un romanzo che sabota l'ipocrisia, è la storia di una ragazza che si oppone alla maledizione che la vita le ha scagliato addosso. Tra violenza, risentimento e tenerezza. La protagonista cresce affamata: vuole l'amore, vuole la bellezza ma vuole ancora di più i soldi. Per liberare chi ama, costruisce pazientemente la sua vendetta. E poi scappa: dalla pianura piena di nebbia arriva in una Roma piena di luce. Sprovvista di tutto, ma determinata a spogliare chiunque di ciò che lei desidera. Rubare agli altri per dare a se stessa diventa il suo vero lavoro. Per riuscirci inganna, mistifica, si scopre bravissima ad accalappiare fidanzati ricchi che tentano inutilmente di colmare le sue voragini. Intanto mente moltissimo, a tutti. Fino a che incontrerà l'unica persona capace di renderla vulnerabile.

Una saga familiare luminosa e scellerata, la storia di un'emancipazione che passa attraverso il sangue, l'epopea di una ragazza che impara dal niente un alfabeto emotivo e che si salva anche grazie alla possibilità di un grande amore.

Una storia di streghe. Finalmente.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835717614
Tra i trentaquattro e i quarantadue anni

La regina degli stracci

Quanti finocchi ho tagliato in questi anni? Centinaia, migliaia di finocchi.
Di solito mi sveglio magra, magrissima – sono malata, se mi viene la febbre mi ricoverano, non sopravvivrò, dovessero aprirmi d’urgenza per un’operazione al cuore non c’è abbastanza pelle per ricucirmi –, poi divento grassa nell’arco della giornata.
Vado a letto disperata, sono gonfia, ho il “sacchetto di noci” alle ginocchia, come diceva mia nonna quando mi guardava.
In realtà me lo dice ancora, quando ci incontriamo nei sogni. Non tenta di tagliuzzarmi come Freddy Krueger, ha gli stessi occhi che le lacrimano di quando la imboccavo: è rimasta bloccata da qualche parte, io ho avuto il tempo di invecchiare, lei di pensare. Non provo pena, solo angoscia.
Nel sogno ha in mano un pentolino, quello con cui si scaldava il caffè a Finale Ligure: da lì fa uscire i ragni, migliaia di aracnidi che si arrampicano su di me e mi ricoprono. Quando mi sveglio sudata e tappezzata di ragni, ho la certezza che Nicola prima o poi scoprirà tutto, e mi lascerà. Ha studiato la giurisprudenza, conosce la legge, non sceglierà mai una moglie assassina.
Intanto, mi peso tutte le mattine.
Per farlo tolgo ogni cosa: collane e anelli che indosso sempre, anche per dormire, maglietta, calzoncini del pigiama, a volte anche le mutande. Sono tutti grammi, etti in più, che non mi vengano attribuiti come una colpa.
Nicola si alza molto prima di me, per le sei ha già bevuto il caffè, così quando sente dei rumori mi viene a salutare e mi trova in piedi, nuda sulla bilancia, che mi volto irritata a guardarlo, come se mi avesse scoperta a rubare qualcosa. Non capisce bene perché, ma non si preoccupa e se ne va.
Non ha una soglia alta della preoccupazione. È sempre un po’ sconnesso da quello che gli capita intorno perché è come Osiride, re di altri mondi. Pensa che il suo amore mi tenga dritta, ma io così dritta non sono. Quando la situazione precipita, è costretto a lasciare il regno dei morti per venirmi a recuperare. Questa volta è Osiride a ricomporre i pezzi di Iside.
Spesso gli faccio male per sbaglio: lo pungo con un gomito, con le ossa del bacino. Le mie clavicole ospitano pozzanghere. Lui mi dice: «Madonna, sei tutta spigoli». Priscilla e Max, invece, mi dicono: «Beata», vogliamo tutti pesare come piccioni mentre, palinsesto dopo palinsesto, continuiamo a camminare impuniti su terremoti, tsunami e cicloni.
Nel luglio del 2011 partecipiamo a una veglia funebre in onore di Amy Winehouse organizzata da un amico di Priscilla, sconvolto dalla notizia perché era stato in rehab con lei. È lui il maestro cerimoniere: a un certo punto dell’omelia, ricorda il sangue di Amy che, quando si bucava, schizzava un po’ ovunque, una volta aveva imbrattato anche le ballerine rosa da danzatrice che indossava sempre. Nell’orazione racconta che aveva provato a pulirgliele, ma si erano formati dei brutti aloni. Lei se le metteva lo stesso, anche con la neve, le gambe sempre più simili a stecche di vimini e le sue scarpette imbrattate.
Siamo talmente dispiaciuti per Amy, che non ci accorgiamo di doverci preoccupare per noi: un’inaspettata strage di ascoltatori fa stringere i cordoni della borsa a mamma Rai.
Il passaggio delle stagioni è scandito da contratti via via più magri finché nel 2013, quando una fumata bianca porta papa Francesco a Roma, una fumata di benzina nera decreta l’addio di Max, che impenna lontano con il suo motorino.
Quando molla me e Priscilla fra le marmotte, corre a fare quello che gli viene meglio: rendere favoloso il mondo degli altri arredando le insicurezze di tutta Roma. Apre un suo negozio, progetta case e comportamenti: chi va da lui vuole sostanzialmente che gli venga allestita l’esistenza. E Max apparecchia spazi e destini, facendosi pagare a peso d’oro.
In redazione ci manca moltissimo: Priscilla e io lo nominiamo continuamente e gli mandiamo foto che ci scattiamo nel nostro bagno con i mattoncini verdi.
Poco tempo dopo, Max diventa anche ballerino: organizza serate nei giardini e nei locali di Roma in cui si riversa il mondo, tutti vogliono esserci, tutti vogliono essere visti.
“L’ape Maia danzerà nel cielo.” Lui è su un palchetto in alto, vicino al deejay. Vestito come sempre – pronto per una caccia alla volpe –, ma quando inforca gli occhiali con le lucine a intermittenza non ce n’è per nessuno. In quel momento si trasforma nella ballerina di Siviglia: tersicoreo che gira nel buio, piroette di denti che risplendono.
“E il grillo canterà dal melo.” Ai suoi piedi attrici, influencer, PR del mondo della moda: le mani alzate verso te, Signor, gioia in me nel profondo.
“La lumaca ballerà col ragno peloso un tango curioso.” Figli di principi e farabutti, tutti intrecciati, sudati, stonati. Cantano Loredana Bertè, cantano Loretta Goggi, cantano soprattutto Ambra. Roma – come sempre – rade al suolo con un latrato le differenze.
“E la mosca riderà ah ah ah ah ah ah ah.”
Io e Priscilla andiamo spesso alle sue serate, e ogni volta torniamo a casa con piccoli regali: ventaglietti, palloncini, braccialetti di plastica fluorescenti che ci illuminano nella notte, siamo le lucciole vagabonde cantate da Claudio Villa, danziamo sui marciapiè finché la luna c’è. Sono cortesie per gli ospiti importanti e noi per Max lo siamo, così levitiamo sugli altri agitando con noncuranza i polsi cerchiati di verde mentre il mondo, là sotto, vuole essere noi.
Con i nostri bracciali la mattina successiva andiamo anche al lavoro, ma già non brillano più, e nemmeno noi. Mamma Rai ci salva dal licenziamento solo per destinarci ai palinsesti estivi, quelli che gli interni schifano perché vanno in vacanza, diventiamo lucciole offuscate e surfiamo tra i corridoi deserti della radio sempre in diretta, anche a Ferragosto. Non eravamo noi le favolose?
Odio passare l’estate a Roma. Mi fa ripiombare nella povertà.
Scrollo le foto del mondo sui social: il mondo è al mare, acchiappa tramonti, va alle feste indossando camicie hawaiane.
A Nicola sta bene anche così, «Se rimani tu rimango anche io». Applica la regola del Titanic, “You jump, I jump”, senza soffrire. È facile per lui, non ha la sindrome del peggior trattamento da rivendicare sempre e comunque.
Sono felice sia rimasto con me. Io non l’avrei fatto.
Appena finisce l’estate mi calmo, il mondo smette di divertirsi lasciandomi indietro, anche Max è tornato e, in un pomeriggio di fine settembre del 2016, mi svolta la vita.
Dopo la radio, passo spesso a trovarlo nel suo negozio all’Aventino: mi piace guardarlo mentre smista cementine e incarta orpelli con cui le sue clienti laccate placano il tedio dei loro giorni. Lui parla l’esperanto sociale: Roma è la sua Babele e in questo minestrone di merda e stelle si fa comprendere da tutti i ceti, così la soglia del suo negozio dà il benvenuto indistintamente a nobilastre e cocainomani senza un soldo. Max accoglie chiunque con gli stessi salamelecchi perché la fortuna è una dea bizzarra: è un attimo che la blasonata s’inabissi, facendo levitare le quotazioni del tossico. In questo Grand Hotel di gente che va e gente che viene, il pomeriggio di settembre porta a me Cheong Myung-Hee, una settantenne coreana amica di Max.
Arrivata da ragazza a Roma per sfuggire al controllo del padre – il più grande esportatore al mondo di noodles in scatola –, questa signora ha trasformato la capitale nel suo giocattolo comprando ogni cosa che trovasse divertente: palazzi, ristoranti e locali. Si è spinta anche sulla costa, gli stabilimenti più arroganti del litorale romano sono i suoi: qui si saluta il sole come si faceva vent’anni fa a Ibiza, qui si è sempre vestiti di bianco.
Ovviamente i luoghi da soli non sono spiritosi, dentro bisogna metterci creature che fanno accadere la vita, e Max la aiuta anche in questo. Fa pascolare la fauna dei suoi aperitivi arredando i posti che la reginetta dei noodles apre e chiude con la velocità di un battito d’ali, anche io rumino cocktail in quelle serate tanto che Myung-Hee impiega un attimo a mettermi a fuoco: «Ti ho vista ballare l’altra sera».
«Probabile» rispondo io annoiata. Non ho idea di chi sia questo brutto cartellone pubblicitario, è solo una cafona venuta dalla Corea trasportando addosso roba mal assemblata e inutilmente costosa. Sono quelle come lei che tolgono l’anima ai vestiti. Non meritano attenzione.
«Avevi una bella giacca, di chi era?»
E qui Myung-Hee mi spiazza. La mia giacca era in effetti bellissima, proveniva da una pesca miracolosa in un mercatino abusivo sull’Ardeatina. Bisogna avere molta determinazione per finire in questa cava di ghiaia fra due supermercati e lo svincolo per il Raccordo Anulare e poi mettersi a frugare tra la mercanzia raccolta nei cassonetti o rubacchiata. E io ce l’ho. Sono la regina degli stracci e da un mucchietto di robaccia gettata a terra ho riesumato un blazer a righe bianche e rosse di Moschino, solo Ivana Spagna ai tempi di Easy Lady aveva un pezzo così nel suo guardaroba. Pagato 5 euro: il piacere più grande.
Negli anni io e le mie amiche, unendo gli sforzi, abbiamo compilato una “Guida intergalattica per poracce”: Roma è una città cruda ma noi siamo più crude di lei, stormi di rondini impazzite pronte a planare in picchiata su un nuovo mercatino. Fra di noi siamo generose, la prima che trova l’occasione avvisa le altre. La nostra ricerca del “look perfetto che non esiste” è uno stato mentale, va oltre ciò che di bellissimo e bruttissimo possediamo, ci occupa il cervello. Forse, se fossimo concentrate su altro, saremmo le padrone del mondo, ma la nostra immagine ci tiene sotto assedio. Così, siamo gli ussari a cavallo alla conquista di via Sannio – «Ho appena preso un Barbour pazzesco a 10 euro, certo puzza per quel problema del grasso di foca, ma è il giaccone della vita» –, Porta Portese è la nostra mecca per i cachemire, e quando siamo ricche puntiamo Borghetto Flaminio. Restituiamo la gloria a pezzi firmati che non vengono capiti, siamo le uniche a dare una chance a pellicce di ocelot che il tempo non ha scalfito nelle cabine armadio di Roma Nord.
Le più spericolate fra noi nuotano di notte nei mercati illegali, abbiamo candele sulle teste come santa Lucia e torce tra gli anelli, vale tutto nella nostra lotta alla sopravvivenza dello stile.
La cafona incalza: «Ne troveresti una simile per me?».
Non me l’aspettavo. Non ho il tempo di rispondere perché Max, individuato il varco e soprattutto il raggio d’azione stellare, ci si infila per dare la sua zampata: «Trésor, questa ti trova tutto quello che vuoi, è una cercatrice d’oro». Poi mi guarda, gli occhi che gli brillano mentre mi domanda: «Vero, Zizy?».
Come ho fatto a non capirlo prima! Max è la mia Maurizia Paradiso, io sono la sua Tecla. Al grido di battaglia scatto sull’attenti, riprendendomi dal torpore millenario in cui ero caduta addormentata. So cosa rispondere: «Certo, amore!».
La reginetta dei noodles ride soddisfatta e ridiamo anche noi, cosacchi pronti a balzare sulle nostre selle durissime alla conquista di Roma.
Inizio a procurare a Myung-Hee piccoli pezzi giusto per farle venire l’acquolina in bocca. Le prime volte rifiuto il denaro che vorrebbe darmi: il buon gusto non si può comprare, Miss Corea, è una vita che mi alleno, i tuoi noodles non m’impressionano, sono l’incorruttibile paladina del bello.
Reperto dopo reperto, squittisce gongolante «Favoloso!» ogni volta che tiro fuori una sorpresina dal mio borsone. Dopo una decina di estasi, insiste così tanto che le faccio il favore di accettare svogliatamente i suoi soldi: mi paga ciascun pezzo dieci, cinquanta, cento volte tanto il costo di acquisto, e io: «Ma dai, non serve».
E lei: «È il minimo, tu hai fatto tutto il lavoro».
Inizia a telefonarmi ogni giorno, non vuole più accessori e vestiti, vuole me. «Accompagnami a un’asta, ci sono dei servizi liberty che devo assolutamente avere. Decidi tu lo Sheffield più delizioso per me.»
Io rispondo scocciata: «Myung-Hee, trovo volgarissimo bere nell’argento e poi sono in Rai e non posso mollare il programma, ti ho detto mille volte che ho bisogno di giorni d’anticipo per organizzarmi».
Questa cosa degli orari e delle scrivanie a cui star seduti non la capisce, come potrebbe? Fa i capricci, si offende, è gelosa della Rai come di un amante che mi tiene lontana da lei.
La rabbonisco: «Lo sai che verrei volentieri, mi piacerebbe stare con te in questo momento, ma mi tocca rimanere tra i malvestiti. Andremo alla prossima asta».
È tutto vero, mi diverto a uscire con lei: non si è mai perduti perché c’è sempre qualcosa da raggiungere e avere, ci gettiamo nelle infinite possibilità di afferrare finalmente quel che ci manca. Non è più come con Rita, non sono la sua dama di compagnia. Qui decido io, la mia missione è spennellare di buon gusto la vita di questa signora.
Inizio a darmi malata al lavoro, dai vestiti passo alle sue case (un divano a forma di conchiglia e centinaia di piante per il suo terrazzo, la vasca finlandese riscaldata a legna per la villa di campagna), poi alla vita che ha intorno (l’impermeabile per il suo chihuahua) e più mi ha, più mi vuole. Sono la sua droga, esige da me il dono dell’ubiquità: il mio “sì” le è necessario per tutto, non è più una questione di oggetti, ma di sangue. Vuole il mio ed è disposta a pagarlo a peso d’oro. Così mi fa la proposta.
«Lascia quel posto orrendo e diventa la mia personal shopper.»
Tutte le riviste di moda bevute con la mia pappa di cemento a pranzo e a cena, le vetrine che avrei rapinato, i soldi gettati al vento, i miei armadi dal ventre gonfio che vomitano ciarpame e meraviglia, ogni cosa torna: era un investimento. Lo sapevo, i vestiti mi avrebbero salvato la vita, progettavo il mio futuro.
Chiamo subito Max.
«Che faccio, accetto? Vado con Myung-Hee?»
E lui: «E me lo chi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Strega comanda colore
  4. Sei anni. I sogni son desideri
  5. Prima di me. Mio fratello è un angelo di gesso
  6. Diciannove anni. Le ossa chiamano ossa
  7. Ventotto anni. Y la baila y la goza y la canta
  8. Prima di me. Dove sono finiti i castelli?
  9. Otto anni. Campioni del mondo e tutto qui muore
  10. Dieci anni. La meraviglia umana
  11. Diciassette anni. Ho fatto il liceo classico
  12. Trentotto anni. Un’iperidrosi divina
  13. Dieci anni. La santa
  14. Tra i tredici e i vent’anni. L’amore è uno stregone zoppo
  15. Da piccola. Mio papà profuma di Drakkar Noir
  16. Diciannove anni. La signora degli anelli
  17. Trentotto anni. Mi dicono che ti sposi
  18. Prima di me. Miss Sirena del mare
  19. Diciassette anni. Home Sweet Home
  20. Attraverso l’infanzia. Trentadue anni. Voglio andare a casa
  21. Diciassette anni. Non ci sono più fantasmi
  22. Diciotto anni. Non ci sappiamo comportare
  23. Diciotto anni. Si passano molte cose dal sangue
  24. Vent’anni. La première étoile del West
  25. Tra i ventitré e i ventotto anni. Pronto? Buongiorno! È la Rai
  26. Ventotto anni. La dernière favorite royale
  27. Ventinove anni. È quasi magia Johnny
  28. Dodici anni. Basta un poco di zucchero
  29. Tra i dodici e i diciannove anni. Dove sono i dobloni?
  30. Trent’anni. La Robin Hood di Piacenza
  31. Trentadue anni. Pesci tropicali
  32. Trentatré anni. La mappa del malandrino
  33. Trentatré anni. Tre donne sole
  34. Trentaquattro anni. La pitonessa
  35. Tra i trentaquattro e i quarantadue anni. La regina degli stracci
  36. Quarantadue anni. Sono tornati i ragni
  37. Crediti
  38. Copyright