Enver Pascià
eBook - ePub

Enver Pascià

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

La storia del ministro della Guerra Enver Pascià è il racconto di un uomo che tentò con ogni mezzo, persino i più efferati ed esecrabili, di impedire la caduta e la disgregazione dell'Impero ottomano. Convinto di essere sempre nel giusto, persino in esilio, si batté per la causa panturca e per una Turchia forte e rispettata nel mondo. La sua morte, in circostanze mai del tutto chiarite, è una dichiarazione d'amore per la sua patria perduta e per i valori che sin da piccolo gli erano stati ispirati. Simbolo della recente storia turca, noto in Occidente per il coinvolgimento nel genocidio degli armeni, la guerra di Libia e un paio di colpi di Stato, ritenuto uno dei "cattivi" del secolo scorso, fu grande in tutto: aspirazioni, cultura, crudeltà, coraggio, talento, intelligenza, carriera e caduta.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Enver Pascià di Andrea Santangelo, AA.VV. in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e World War I. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2022
ISBN
9791255010319
Argomento
History
Categoria
World War I

Enver Pascià

di Andrea Santangelo
Raccontare della vita di Enver Pascià equivale a parlare del declino e della scomparsa dell’Impero ottomano e di quanto ancora oggi il Medio Oriente risenta di quei lontani avvenimenti, accaduti quasi cento anni fa. Il crollo di una plurisecolare istituzione come la Sublime Porta, infatti, non poteva che avere pesanti ricadute sulla geopolitica del dopo Grande Guerra, sino ad arrivare a interessare le dinamiche relative allo scoppio e alla fine del Secondo conflitto mondiale; la creazione dal nulla di una serie di nuove nazioni, con confini disegnati sulla carta, fu uno shock per l’intera regione mediorientale, un tempo nota come la “culla della civiltà”. Quel che è certo è che ancora oggi, tra i luoghi più politicamente turbolenti al mondo, ci sono quasi tutti quelli che un tempo furono interessati da vicino dalla dominazione ottomana.
Se vogliamo capire e comprendere il moderno mondo mediterraneo, quello che geograficamente e culturalmente più da vicino ci riguarda, dobbiamo rifarci a come un secolo fa collassò l’un tempo potente e temuto Impero ottomano: molte delle attuali dinamiche politiche e sociali, non ultime le cosiddette “primavere arabe”, affondano le radici nella maniera in cui il potere di Istanbul fu sostituito dai vincitori della Prima guerra mondiale. Non è un caso che Siria, Libano, Egitto, Libia, Israele, Giordania, Yemen, Arabia Saudita, Iraq, Iran e quasi tutto il Caucaso, ossia le zone più pericolose e instabili, geopoliticamente parlando, fossero un tempo ottomane.
L’intervento a tavolino delle nazioni vincitrici, che oggi, con il senno di poi, possiamo ben definire “dissennato”, diede origine nel 1919 a nazioni controllate, più o meno saldamente, da Inghilterra e Francia (e in misura minore da Urss e Italia), solo sulla base di calcoli utilitaristi ed egoistici.
Come ben racconta David Fromkin nel suo libro Una pace senza pace:
Le potenze europee credettero di poter modificare l’Asia musulmana nelle fondamenta stesse del suo essere, e tentando di farlo introdussero un sistema di stati artificiale, che ha fatto del Medio Oriente una regione di paesi che stentano a tutt’oggi a diventare nazioni. La base della vita politica in Medio Oriente – la religione – fu messa in questione dai russi, che tentarono di sostituirla con l’ideologia comunista, e dai britannici, che tentarono di sostituirla col nazionalismo o con la lealtà a particolari dinastie. Il khomeinismo in Iran e nel mondo sciita in genere, e i Fratelli Musulmani in Egitto, Siria e altrove nel mondo sunnita tengono aperto il problema. Il governo francese, che in Medio Oriente permise alla religione di restare la base della vita politica – compresa la propria – si schierò con una fede contro l’altra; e anche questo è un problema ancora aperto, nella forma della terribile guerra civile che ha infuriato in Libano negli anni Settanta e Ottanta.
Non è quindi uno sforzo vano, né un mero esercizio di ricerca storiografica, tentare di ricostruire la biografia di uno dei personaggi simbolo, secondo solo a Mustafa Kemal Atatürk, della storia recente della Turchia. Un uomo ben poco conosciuto in Occidente, tant’è vero che questa è la prima biografia in lingua italiana, e che qui egli è noto soprattutto per il suo coinvolgimento nel genocidio degli armeni, per aver combattuto gli italiani in Libia e per aver partecipato a un paio di colpi di Stato; è in effetti passato alla storia come uno dei “cattivi” del secolo scorso. Ma si tratta di un’eccessiva semplificazione.
La storia di Enver Pascià è invece il racconto di un uomo che tentò con ogni mezzo, persino i più efferati ed esecrabili, di impedire la caduta e la disgregazione del proprio Impero. Non si fermò di fronte a nulla, convinto di essere sempre e assolutamente dalla parte del giusto. Persino quando fu esiliato, e si ritrovò da solo, si diede da fare per la causa panturca e per mantenere una Turchia forte e rispettata nel mondo. La sua morte, pur avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite, è una dichiarazione d’amore per la sua patria perduta e per i valori che sin da piccolo gli erano stati ispirati. Lo potremmo ugualmente definire un romantico idealista innamorato della propria cultura e nazione, così come un cinico e sanguinario uomo politico, ma anche un eroico soldato pronto a dare la vita per il bene supremo dell’Impero ottomano e contemporaneamente un generale incompetente e confusionario pronto ad assumersi glorie altrui e ad addossare la colpa dei propri insuccessi ad altri; un uomo colto, innamorato della moglie, della lettura e della poesia della vita, ma facile all’ira, consumato dall’odio, dall’invidia e dal disprezzo di quanti sentiva come suoi avversari. Avremmo ragione in ognuno di questi casi: Enver Pascià fu tutti questi uomini insieme e forse anche molti altri. D’altronde in ognuno di noi si nascondono diverse sfumature, anche senza scomodare la psichiatria; non siamo degli esseri monolitici facilmente categorizzabili e immutabili nelle nostre decisioni e aspirazioni. Ogni persona cambia nel corso della propria esistenza, alcuni di più, altri di meno.
Enver Pascià fu un uomo grande in tutto: nelle aspirazioni, nella cultura, nella crudeltà, nel coraggio, nel talento, nell’intelligenza, nella carriera e nella caduta. Proprio come grande fu l’Impero ottomano, geograficamente, storicamente e culturalmente, e immenso anche nella sua caduta, sollevando un tale polverone che ancora oggi siamo costretti a respirarne i frammenti.

La formazione dell’eroe della rivoluzione

I primi anni di vita del protagonista di questo libro sono piuttosto oscuri e i dati che lo riguardano sono quantomeno incerti. Nel dubbio, ho deciso di riportare la gran parte delle informazioni e sulla base di esse propendere o no per una certa versione dei fatti.
Ismail Enver, questo il suo vero nome, nacque ad Abana, una piccola cittadina sul mar Nero, nella notte tra il 22 e il 23 novembre 1881 (questo ha generato una certa confusione sulla sua data di nascita: molti autori riportano il 22, mentre alcuni il 23); alcune fonti, forse la maggioranza, citano come luogo di nascita Istanbul, l’allora capitale dell’Impero ottomano, ma propendo a credere che sia una diceria messa in giro dallo stesso Enver nei giorni in cui era al potere, per dimostrarsi in questo modo più turco di tutti i turchi.
Il padre di Enver si chiamava Ahmed Refik, era impiegato come capostazione ad Abana, lungo la linea ferroviaria che congiungeva la costa del mar Nero a Istanbul, e grazie a questo importante incarico aveva guadagnato il titolo onorifico di bey. C’è però alquanta incertezza tra le fonti documentarie non in lingua turca circa il vero lavoro del padre di Enver (si va dal facchino al funzionario cittadino, fino al pubblico ministero). Alcune dicono che provenisse da una famiglia ricca, altre invece che fosse un appartenente alla classe più povera del Paese, seppur non quella contadina. Ho deciso pertanto di attenermi alla maggior parte delle fonti disponibili, e in particolar modo a quelle che sembrano aver consultato lavori in lingua turca. In base alla maggioranza di questi resoconti (e, fidatevi, non sono molti) babbo Ahmed proveniva da una famiglia non particolarmente agiata − in gioventù, infatti, aveva dovuto fare diversi lavoretti per mantenersi − ma che aveva comunque garantito a lui, a suo fratello Halil e ad altri famigliari la possibilità di entrare nell’esercito come ufficiali di complemento. In seguito si sarebbe detto che la famiglia poteva vantare una lunga tradizione militare, ma di certo conosciamo solo la notevole carriera (tra gendarmeria, guardia imperiale e comando della VI Armata) dello zio Halil, giunto a essere un generale di divisione, anche se si discute ancora di quanto “politicamente” abbia giovato della rapida ascesa al potere di Enver.
Proprio mentre era sotto le armi, il giovane Ahmed conobbe a Manastir (l’odierna Bitola nella Repubblica di Macedonia, che all’epoca era considerata amministrativamente albanese) la futura moglie Aisha. La ragazza pare che cercasse di andarsene dal suo paese, perché il padre era il becchino della città e nessun pretendente la voleva in sposa. Non le sembrò dunque vero di accettare la corte e la proposta di matrimonio del giovane ufficiale turco. Questa origine famigliare riconducibile alla parte europea dell’Impero, unita alla conoscenza diretta di quella zona, sia di Enver sia del padre Ahmed, va tenuta ben presente per capire in seguito la rabbia della famiglia per la perdita di essa in seguito alle guerre balcaniche e per la triste sorte dei tanti musulmani là residenti, nella migliore delle ipotesi profughi in Turchia. D’altronde è noto che la parte europea dell’Impero era quella più vivace culturalmente ed economicamente e la Sublime Porta si reggeva su di essa e sulle ricche terre del Medio Oriente, bilanciandosi quasi tra le due parti. Lo spiega bene Giorgio Del Zanna in La fine dell’impero ottomano:
Il nucleo originario della civiltà ottomana restava pertanto imperniato in quel peculiare plesso geopolitico posto tra Europa e Asia. Proprio questa condizione di “spazio intermedio” e il controllo su alcuni punti strategici, come gli stretti e il Mar Rosso, costituivano il peculiare patrimonio geopolitico a disposizione dell’Impero ottomano all’alba della grande stagione dell’imperialismo europeo e dello sviluppo di più intensi flussi di scambi a livello mondiale.
L’Impero ottomano era dunque un gigante che poggiava su due gambe, se ne veniva meno una diventava improvvisamente troppo sbilanciato, sia socialmente che economicamente.
Sappiamo molto poco dell’infanzia e della fanciullezza di Enver, ma nel corso dei periodi che passò a Berlino, prima, e in Cirenaica poi, dalle lettere che inviava a casa traspariva sempre un grande affetto verso i genitori e i fratelli, e questo potrebbe essere indice di quanto i suoi primi anni di vita siano stati molto sereni.
Ismail Enver era il figlio primogenito; in seguito vennero al mondo Osman Nuri, Mohammed Kamil e infine la piccola Mediha. Enver era piccolo di statura, non ne conosciamo esattamente l’altezza, ma gli piaceva definirsi, immodestamente, “Napoleonlik”, cioè il piccolo Napoleone turco; era magro e agile, ma con il passare del tempo si irrobustì alquanto; il suo volto aveva lineamenti regolari, verso i trent’anni si fece crescere un bel paio di folti baffi arricciati all’insù «sul modello di quelli del Kaiser Guglielmo», gli occhi profondi e scuri gli davano uno sguardo indagatore e intelligente, nel complesso era certamente un bell’uomo.
Caratterialmente sin da subito mostrò quelle che si sarebbero rivelate le sue principali caratteristiche, e cioè una certa freddezza nei sentimenti (tranne che per i propri familiari), una lucida spietatezza e una grande ambizione personale. Chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui diceva che sprizzasse energia e determinazione da ogni poro.
Il clima culturale e politico in cui i figli di Ahmed e Aisha vennero allevati era quello della Turchia di fine XIX secolo: un gigante ferito dalla perdita di molti dei suoi territori, circondato da potenze desiderose di allargarsi a sue spese e con molti nazionalismi ribollenti al suo interno. Inghilterra e Russia erano poi intente al “Grande Gioco” (termine che indica un conflitto a livello diplomatico durato per gran parte del XIX secolo per la conquista di territori situati tra India, Iran e Russia) e tutte le nazioni poste sullo scacchiere orientale sembravano pedine, consapevoli o inconsapevoli, nelle mani di questi due grandi Paesi.
A queste turbolenze si aggiungeva lo scontro, tutto interno, tra i fautori di un panturanismo (cioè di una grande Turchia che andasse dalla Bosnia fino alla Mongolia) dai toni fortemente nazionalistici e coloro, come il sultano turco Abdul Hamid II, che vedevano nell’Islam l’unica forza aggregatrice dell’Impero ottomano.
La famiglia di Enver era con tutta probabilità schierata su posizioni panturaniche. Ai loro occhi era insopportabile aver dovuto piegare la testa davanti alle armate e ai diktat dello zar di Russia dopo la sconfitta nella guerra del 1876. Solo le pressioni diplomatiche delle potenze occidentali, in primis l’Inghilterra, timorose di un allargamento russo nei Balcani, avevano fatto sì che i vecchi territori ottomani rimanessero ancora tali, ma molte aspirazioni nazionalistiche avevano approfittato della debolezza manifestata dalla Sublime Porta e cominciavano a spingere e lottare per l’indipendenza. Di quello che un tempo era stato l’indiscusso padrone del Mediterraneo (governando su terre che andavano dalla Persia fino all’Algeria e arrivando fin su verso Vienna) ora ne restava nominalmente ancora una buona parte, ma in pratica ben poco. Nel XVIII secolo la Russia si era già “mangiata” Caucaso, Bessarabia, Valacchia e Moldavia. Nel 1815 i serbi iniziavano un percorso che li avrebbe portati a rendersi indipendenti, nel 1821 iniziava la guerra di indipendenza greca. Nel 1830 la Sublime Porta dovette prendere atto dell’occupazione dell’Algeria da parte della Francia e riconoscere l’indipendenza della Grecia. Nel giro di pochi anni si resero poi indipendenti anche Romania (con l’unione di Moldavia e Valacchia), Montenegro e Bulgaria. Ma fu il congresso di Berlino, che nel 1878 sancì la nascita della Serbia e garantì l’indipendenza di tutti gli altri Paesi balcanici, a mostrare al mondo intero la Turchia come il “grande malato d’Europa”. L’Austria ne approfittò subito per annettersi la Bosnia-Erzegovina. Nel 1881 la Tunisia divenne un protettorato francese e l’anno dopo l’Egitto, pur continuando nominalmente a far parte dell’Impero ottomano, rivendicò una propria autonomia garantita dall’Inghilterra.
Questa situazione internazionale non poteva certo piacere all’opinione pubblica turca (non quella araba, si badi bene di non confondere le due cose), che spingeva per radicali cambiamenti interni e per una politica estera più aggressiva, vedendo nella modernizzazione dell’esercito la chiave di volta per la risoluzione di molti di questi problemi.
La famiglia di Ismail Enver non poteva che concordare nel dare più forza e potere all’esercito, vedendo la vita sotto le armi anche come un ascensore sociale per i tre fratelli maschi. E così Ismail, Osman e Mohammed vennero tutti e tre avviati alle scuole militari, sin dalla più tenera età.
Il sultano Abdul Hamid II (al governo dal 1876 al 1909), invece, non la pensava allo stesso modo: da tempo coloro che regnavano in Turchia avevano cominciato a diffidare – e financo temere – delle proprie forze armate. Questo clima di sfiducia andava probabilmente fatto risalire alle varie rivolte dei giannizzeri (una sorta di guardia pretoriana, molto numerosa, che si opponeva a ogni tipo di innovazione militare), che culminarono nella detronizzazione di ben tre sultani, fino a quando nel 1826 il sultano Mahmud II decretò, con un bagno di sangue, il loro scioglimento.
Abdul Hamid II non si fidava neppure della scalcagnata marina ottomana, tanto che aveva ordinato che nessuna nave da guerra potesse ormeggiare nei paraggi del palazzo imperiale per timore di eventuali tiri di cannone. Tolse così potere e fondi alle forze armate che, già deboli, andarono vieppiù peggiorando qualitativamente e al loro interno cominciarono a crescere dissenso e malumore.
Nonostante questi problemi, Abdul Hamid fu un buon governante, assai accorto economicamente. Molto dello sforzo innovatore e migliorativo della Turchia dell’epoca lo si deve a lui, come la ferrovia dell’Hejaz, il potenziamento della burocrazia, il primo vero censimento moderno, un nuovo codice di leggi e la creazione di scuole tecniche. Passò alla storia, però, anche come un massacratore di armeni e di altre minoranze religiose ed etniche, colpevoli di opporsi al suo disegno panislamico, tanto che il suo soprannome in Occidente era Abdul Hamid “il Sanguinario”.
In questo clima di incertezze politiche, il giovane Ismail Enver nell’ultimo decennio del XIX secolo iniziò la sua carriera militare, fequentando le scuole prima e poi l’accademia militare, la famosa Harp Akademisi fondata nel 1846, uno dei centri di eccellenza dello Stato ottomano.
Ne uscì nel 1903, primo del suo corso, con i gradi di sottotenente del corpo di Stato maggiore. La sua prima destinazione fu al III Corpo d’Armata, dislocato in Macedonia, nei luoghi di origine della madre Aisha. Qui ebbe il suo battesimo del fuoco durante le aspre campagne antibanditismo che la sua grande unità era costretta a effettuare ciclicamente. Il banditismo allora era una piaga endemica largamente diffusa, soprattutto nelle zone collinari e boscose di quella regione, e dava sfogo al malcontento sociale e politico. I ribelli si chiamavano komitadji e diffondevano il caos nelle campagne, armati e sostenuti dalla Bulgaria. Ciò che il tenente Enver Effendi apprese in quel periodo di pianificazione di operazioni antiguerriglia (oggi si chiamerebbero Coin, counter-insurgency) gli sarebbe tornato utile pochi anni più tardi contro gli italiani in Libia, questa volta stando lui dalla parte dei guerriglieri. Il suo buon comportamento nello Stato maggiore del III Corpo d’Armata gli valse la promozione a capitano.
Venne poi inviato di guarnigione nella città di Salonicco, sede del comando della prestigiosa III Armata, una città allora molto ricca e vivace culturalmente, un gioiello di integrazione religiosa da ben cinque secoli, cioè da quando nel 1430 il sultano Murad II l’aveva strappata alla Serenissima Repubblica di Venezia. Lì venne in contatto con le istanze politiche del Comitato per l’unione e il progresso (Cup), un partito neonato che si poneva l’obiettivo di costringere il sultano a riconcedere la Costituzione che era stata sospesa nel 1876. I suoi membri erano noti anche con il nome di “Giovani Turchi”, perché volevano differenziarsi dai “Vecchi Turchi” e dalla loro inefficienza, corruzione e arretratezza culturale. Il termine derivava da quei “Giovani Ottomani” che nel 1876 erano riusciti a ottenere la Costituzione, quasi subito revocata, dal nuovo sultano Abdul Hamid II. A loro volta i “Giovani Ottomani” avevano preso ispirazione nel nome dalla “Giovine Italia” di Mazzini.
Il contesto culturale del Cup era il nazionalismo di fine Ottocento un modello molto comune in quel periodo e che raggiunse poi il suo apice nel corso del XX secolo. Come ben scrive Marcello Flores in Il genocidio degli armeni:
Il contesto entro cui va situata l’azione dei Giovani Turchi all’interno dell’Impero ottomano è quello della sconfitta zarista con il Giappone e della conseguente rivoluzione russa del 1905, durante la quale si manifestarono violenze etniche e tensioni nazionalistiche in varie parti dell’impero zarista, tra cui il Caucaso; del nazionalismo italiano e francese, pur tra loro diversi, che trovano una sintesi con la tradizione socialista grazie alla mobilitazione e all’elaborazione del sindacalismo rivoluzionario; dell’irredentismo e delle spinte indipendentistiche che scuotono l’impero di Vienna; dei conflitti che continuano a insanguinare i Balcani; dei fermenti nazionalistici arabi che minano la stabilità di una regione considerata strategicamente cruciale dalle grandi potenze.
Molti ufficiali e soldati della III Armata (ma anche della II Armata di stanza a Edirne) erano membri attivi del Cup, tanto che ben due terzi dei tesserati del partito erano militari di carriera, e il giovane capitano Enver Bey ne condivideva appieno il malumore dovuto alla pessima situazione dell’esercito, demoralizzato, mal pagato e peggio rifornito. La...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Enver Pascià di Andrea Santangelo
  6. Fonti e bibliografia
  7. Cronologia. Fronte balcanico-caucasico-orientale 1914-1919 di Mario Bussoni
  8. Approfondimento. L’esercito ottomano di Andrea Santangelo
  9. Piano dell’opera