La saggezza delle folle
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La saggezza delle folle

  1. 552 pagine
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La saggezza delle folle

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Il Grande Cambiamento è esploso, e niente sarà più come prima. Re Orso, arguto e improbabile ma con più forza di quanta si sospetterebbe, scopre che essere sovrano durante un'insurrezione generale è una posizione molto, molto scomoda. Savine dan Glokta, l'imprenditrice spietata e due volte spezzata dalla violenza delle sommosse e dalle sue stesse macchinazioni politiche, deve trovare un nuovo equilibrio, nel quale convivano le vecchie ambizioni e le nuove faticose scoperte della sua rattrappita umanità. Leo dan Brock, il Giovane Leone dell'aristocrazia, bello, coraggioso, bigotto e represso, si trova senza gamba e titoli, ma in un mondo di cittadini tutto è possibile. Rikke, nuova padrona del Nord, sostenuta dai sussulti implacabili della Vista Profonda, deve gestire terre e popoli in attesa del suo primo passo falso... I destini di questa nuova generazione si incrociano con quelli del veterano Grosso, risprofondato nel vino e nella violenza, dell'agente doppiafaccia Vick, del vecchio guerriero Trifoglio, bonario e feroce come una faina, che sa sempre come restare a galla... Il tutto complicato da una folle sarabanda di amanti, straccioni, scrittori, guardie del corpo, mentre il mondo va a fuoco e persino il potere stritolante della Banca Valint e Balk pare tramontare. Ma è effettivamente così? La Magia non dorme mai, l'oro è ancora più forte dell'acciaio e dei cannoni, e la saggezza delle folle sa trovare nuovi modi per scatenare la pazzia dei singoli.

In questo capitolo conclusivo della sua nuova trilogia nel mondo fantasy ironico, sporco e violento che lo ha reso noto come uno degli eredi fondamentali della strada tracciata da George R.R. Martin, Joe Abercrombie fa irrompere la propria narrazione steampunk nella Modernità, fonde Il Trono di Spade, Le due città e Il Gattopardo lanciandoci a ritmo indiavolato tra processi, complotti, assedi di antiche fortezze circondate dalla nebbia, in cui i punti di vista si alternano come un turbine e i compromessi e l'idiozia sanno sempre inceppare eroismi e macchinazioni. Il Grande Cambiamento è esploso, e niente sarà più come prima. Forse.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835718154

PARTE IX

La storia si ripete, prima come tragedia e poi come farsa.
KARL MARX

Pronti a combattere

«Abbastanza stretto» ansimò Savine, i pugni chiusi sul tavolo, e sentì Freid grugnire per lo sforzo mentre annodava i lacci.
Qualcuno aveva scritto con la vernice le parole BRUCEREMO IL PASSATO sopra il camino e preso a colpi d’ascia la carta da parati, ma suppose che, come cella di una prigione, sarebbe potuta andare molto peggio. Era una stanza del palazzo dove qualche dignitario minore in visita avrebbe potuto invecchiare dolcemente mentre aspettava i comodi di Sua Maestà. La si sarebbe quasi potuta scambiare per lo spogliatoio di una lady alla moda. Eccetto per le sbarre storte incastrate nei telai delle finestre e il senso di terrore mortale a malapena trattenuto.
Le avevano dato buon cibo e biancheria pulita. Le avevano consegnato le culle abbinate in cui Harod e Ardee russavano, beatamente ignari del pericolo che correvano. Le avevano fornito tutti i saponi e i profumi, le polveri e i colori, le parrucche e i vestiti di cui la più esigente delle persone mondane avrebbe avuto bisogno per una grande apparizione pubblica. Avevano persino mandato a chiamare le sue vecchie cameriere Freid e Metello per aiutarla a prepararsi. Tutto ciò ricordava a Savine qualcosa di tempi più felici, prima che diventasse una Lady Governatrice, prima di tradire il re, prima che arrivasse il Grande Cambiamento. Solo che Lisbit era morta e Zuri era in prigione.
A quel pensiero, rabbrividì. Torturavano le persone sospettate di accumulare farina. Cosa avrebbero potuto fare a qualcuno accusato di essere uno stregone cannibale al servizio del Profeta? Persino Haroon e Rabik, che l’avevano seguita così fedelmente. La loro devozione li aveva fatti finire ai ceppi? Era assurdo. Era ridicolo. Ma nel clima attuale il folle e il ridicolo potevano diventare rapidamente fatali.
Savine chiuse gli occhi e fece un respiro teso. Anche lei aveva delle accuse di cui rispondere. Alcune quasi folli e ridicole come quelle contro Zuri e i suoi fratelli. Altre fin troppo orribilmente vere. Doveva prima combattere per se stessa. Se l’avessero giudicata colpevole, non avrebbe potuto aiutare nessun altro.
«Questo?» chiese Metello, col suo denso accento styriano.
Reggeva un vestito su un braccio, una grande fascia di seta Suljuk blu acceso con pizzo Ospriano ai polsini e fiori ricamati tutti intorno all’orlo. Era stato confezionato per una serata a teatro, pensò lei, ma non era mai stato indossato. Quel colore le era sempre sembrato troppo impegnativo.
Savine lo scartò. «Per i Fati, no.»
Giudice sperava di imbrogliarla con un trattamento di favore. Coglierla alla sprovvista con lussi familiari. Convincerla a presentarsi al processo come la vecchia se stessa. La personificazione dell’oligarchia spietata, sfruttatrice e privilegiata che il Grande Cambiamento si era proposto di distruggere.
Aveva persino fornito a Savine dei gioielli. Orecchini di ottima fattura e una collana di rubini davvero notevole, ottenuti indubbiamente come tangenti dalla moglie di qualche ex lord in cambio di una grazia mai giunta. Giudice non concedeva la grazia, nemmeno per rubini raffinati come questi. Savine mise un indice sotto di essi e li tenne alla luce, ammirando il loro maledetto scintillio. Poi, seccamente, fece scivolare via il supporto.
Giudice poteva benissimo mandarla alla Torre delle Catene, ma era una fottuta idiota se pensava che Savine l’avrebbe aiutata in questo. «Manteniamoci estremamente semplici, signore. Pulite e umili. Niente gioielli e niente parrucca.» Metello fece una smorfia sconvolta, fissando corrucciata la lanugine di capelli castani tagliati corti di Savine. «Niente seta e niente…»
Ci fu uno schianto fuori e Savine si girò verso la porta, fece un passo barcollante verso i bambini, una mano premuta sullo stomaco in subbuglio, l’altra tesa verso le culle.
Da un punto di vista pratico, a parte l’agonia di sfornarli e il danno permanente che avevano inflitto alla sua figura, i suoi bambini non erano altro che un’enorme seccatura. Mostriciattoli che mordicchiavano i capezzoli, mangiavano la loro stessa cacca, stroncavano il sonno e non spiccicavano parola. Eppure era ancora più terrorizzata per loro che per se stessa.
Risate oltre la porta. Un altro schianto, seguito da voci allegre che si allontanano nel silenzio. Nient’altro che gli Incendiari, che facevano quello che fanno gli Incendiari. Savine represse il panico. Abbassò la mano contratta, poi si voltò sorpresa all’udire un grande singhiozzo. Freid se ne stava lì con la faccia accartocciata, le spalle tremanti.
«Cosa c’è?» chiese Savine. Se c’era qualcuno che doveva piangere, credeva di essere la migliore candidata in lizza. Da quando l’avevano arrestata aveva a malapena chiuso occhio. Sembrava che solo il corsetto brutalmente allacciato la tenesse in piedi.
«Quando è successo tutto questo… il Grande Cambiamento, voglio dire…» Il labbro inferiore di Freid tremò, poi vuotò il rospo biasciando. «Ho pensato che potesse essere una buona cosa! Per un po’ sembrava essere la libertà e tutto il resto, e la gente era così felice, ma poi…» Fissò un angolo, con gli occhi lucidi. «Ma poi… per i Fati, oh mia signora, perdonatemi!»
Il primo impulso di Savine fu di schiaffeggiarla. Sapeva che sarebbe stata fortunata a vedere il tramonto e non aveva tutto questo desiderio di trascorrere le ore che le restavano a lenire i rimpianti di una guardarobiera. Quanto le mancava Zuri. Non aveva mai pianto. Nemmeno quando l’avevano trascinata via con la museruola. Ma bisogna lavorare con gli strumenti che abbiamo, come amava dire il padre di Savine. Buttò giù la rabbia e appoggiò una mano gentile sulla spalla di Freid.
«Non c’è niente da perdonare» disse con uno sforzo. «Forse avrebbe potuto essere davvero una buona cosa. Avrebbe dovuto esserlo. E io non sono più una lady. Sono solo una semplice cittadina. E questo è che ciò che la gente deve vedere di me.»
Freid tirò sul col naso, scacciò le lacrime e raccolse la cipria. «Ti coprirò la cicatrice…»
«No» disse Savine, guardandola allo specchio, dove il graffio correva rossastro e storto sulla fronte e tra i capelli tagliati. «Prendi la crema. Dalle un po’ di risalto. Fagli vedere che conosco il dolore. Non facciamogli mai scorgere Savine dan Glokta, terrore dei grandi saloni, capisci? Fa’ che mettano sotto processo la Perla dei Bassifondi.»
«Dunque?» chiese Metello, mostrando uno dei suoi abiti da inserviente, bianco candido.
«Perfetto.»
Un colpo metallico alla porta suscitò un’altra ondata di terrore nauseato. «Gunnar Grosso» disse la voce roca all’esterno.
«Devo dirgli che ti stai vestendo?» sussurrò Freid.
Savine si premette di nuovo una mano sullo stomaco. Soffocò la paura, di nuovo. Un vantaggio dell’affrontare la morte era che il pudore non sembrava una preoccupazione così grave. Alzò la voce in modo da farsi udire bene al di là della porta. «Gunnar Grosso mi ha salvato la vita a Valbeck dopo che ero stata inseguita mezza nuda da una folla, Freid. Dubito che vedermi in sottoveste lo scandalizzerà. E dopo tutto, è lui che ha la chiave.»
La maniglia girò e la porta si aprì, lasciando Grosso incorniciato sulla soglia, enorme, in armatura, con gli occhi rossi. Fece un passo pesante nella stanza. Fissò accigliato i bambini. Fissò accigliato Freid e lei si ritirò dietro la toletta. Fissò accigliato Savine.
Sembrava malato, ubriaco, furioso ed emotivo allo stesso tempo. L’Incendiario per eccellenza, in effetti. Come se non riuscisse a decidere se implorare il suo perdono o sfracellarle la faccia.
«Hai un’ora» disse, tornando verso la porta.
«Apprezzo il promemoria. E ho qualcosa per te.» Savine gli porse il foglio piegato. «Da parte di Liddy.»
A quel nome, la faccia smorta si contrasse. «Liddy non sa scrivere.»
«Suppongo che debba averlo scritto May. È arrivata con alcuni dispacci della madre di Leo.»
La mascella di Grosso ebbe un guizzo, gli occhi iniettati di sangue fissi sulla lettera, la mano sospesa a mezza strada. «Cosa dice?»
«Non essere ridicolo, Gunnar, non leggo le lettere che non sono indirizzate a me. Davvero. La prossima volta mi dirai che Zuri mangia la gente…»
Lei gli premette la lettera con noncuranza nella mano e tornò alle sue creme, ma lo studiò nello specchio. Lui fissò quel foglio per un lungo momento, per poi incamminarsi con estrema lentezza verso la porta e chiuderla altrettanto lentamente. Savine serrò la mascella e strinse un pugno tremante. Poteva finire alla Torre delle Catene – i Fati lo sapevano, le probabilità erano tutte contro di lei –, ma non ci sarebbe finita senza combattere.
Freid stava sopra una delle culle, e coccolava dolcemente Harod. «Vuoi che prenda i bambini?» Gli occhi le si stavano inumidendo di nuovo. «Voglio dire… quando ti porteranno alla sbarra…»
«Potrei aver bisogno che tu lo faccia…» La voce di Savine si strozzò per un momento, dovette schiarirsi la gola. «Quando sarò condannata.» Meglio dire quando che se. Non osava dire se. «Fino a quel momento, in tribunale, sul banco degli imputati… loro vengono con me.»
Questo non era un processo. Era uno spettacolo. E Savine sapeva come allestirne uno. Nessuno meglio di lei.
Adua restava nascosta dietro un’altura, ma si poteva vedere la grande ombra del suo fumo da chilometri di distanza.
«Le fornaci sono ancora accese» disse Jurand.
«Per quanto ci si provi» mormorò Leo, «non si può arrestare il progresso.»
Il Maresciallo Forest strizzò gli occhi al sole, che raggiava un po’ di calore in quella che sembrava la prima volta da mesi. «Non mi piace marciare all’aperto in questo modo.»
«Se la si può definire marcia.» I tamburi battevano a doppio tempo, ma i resti demoralizzati dell’Esercito del Popolo e i resti esausti della Divisione del Principe Ereditario si muovevano a passo d’uomo, le file dissolte in un ammasso barcollante, le bandiere flosce e le aste cadenti, una scia di fango e spazzatura alle loro spalle. Una gigantesca lumaca militare, che si torceva lungo la campagna fradicia. «Non sembrano pronti a combattere.»
«Non lo sono» disse Glaward. «Abbiamo perso più uomini per diserzione di quanti ne avremmo visti morire se avessimo combattuto.»
Leo guardò i pochi blocchi ben addestrati di cavalleria in uniforme scura, in prima linea. «Almeno possiamo contare sugli Anglander.»
«Loro sono con te fino alla morte» disse Jurand.
Glaward batté una manata pesante sulla spalla di Leo. «E anche noi.» Per un istante di sollievo, sembrò quasi di essere ai vecchi tempi.
Forest si tormentava i polsini sfilacciati mentre fissava quella macchia in cielo. «Devono sapere che stiamo arrivando.»
«Credono che ci stiamo uccidendo a vicenda, a chilometri di distanza» disse Leo. «E l’ispettore Teufel si sta assicurando che l’Ispettorato del Popolo non fornisca informazioni migliori, al riguardo.»
«Vi fidate di lei?» chiese Forest.
«No» disse Leo. «Ma la fiducia è un pessimo fondamento per un’alleanza. Ho scoperto a mie spese che quella donna sa essere dannatamente efficace.»
«Pure così. Non si possono tenere segreti migliaia di soldati a lungo.»
«Chi è quello?» Glaward si sporse davanti a Leo, con la mano sulla spada. Un paio di esploratori di Forest stava conducendo un cavallo malconcio per le briglie, con un prigioniero malconcio in sella, le mani legate dietro la schiena.
«Ho catturato questo bel tipo sulla strada davanti a noi, signor Maresciallo!» disse uno di loro.
«Mi ha catturato?» strillò il prigioniero. «Ero io che vi stavo cercando, per la misera! Ho un messaggio del Caporale Tunny!»
Forest sorrise. «Quel bel tipo si chiama Yolk, e mi duole affermare che è dalla nostra parte. Lasciatelo libero.»
Una volta riavute le mani slegate, l’uomo fece un saluto alquanto sciatto. «È con Lord Brock che devo conferire. Voglio dire… siete di nuovo dei lord, adesso? È tutto così…»
«Sputa il rospo» scattò Leo.
«Si tratta di vostra moglie. Lei è… be’, non è facile a dirsi…»
«Allora dillo in modo complicato.»
«È stata arrestata. Giudice la sta processando per speculazione e tradimento e… ehm…» Yolk deglutì. «Be’, si è parlato di un incesto.» Silenzio. Dietro di loro continuavano i tamburi,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA SAGGEZZA DELLE FOLLE
  4. PARTE VII
  5. PARTE VIII
  6. PARTE IX
  7. Ringraziamenti
  8. Le persone che contano
  9. Copyright