Il Principe
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Nuova edizione annotata con introduzione e commento di Gabriele Pedullà

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Il Principe

Nuova edizione annotata con introduzione e commento di Gabriele Pedullà

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Il Principe è probabilmente il trattato politico più letto al mondo ma anche uno dei più fraintesi: in qualche modo schiacciato sotto la leggenda nera che accompagna ancora oggi il suo autore. In occasione del quinto centenario, nel 2013, la Donzelli editore aveva pubblicato una prima edizione con testo a fronte in italiano moderno a cura di Carmine Donzelli, che aveva rivoluzionato la lettura del testo e riscosso grandi consensi in Italia e all'estero. A distanza di dieci anni, quell'operazione si sdoppia e si impreziosisce, dando vita a due diverse edizioni: una più agile, in cui il testo del Principe è accompagnato dalla traduzione in italiano corrente e da un nuovo commento e da un'introduzione appositamente pensati per un pubblico generalista. Nella presente edizione, assai arricchita rispetto al 2013, Gabriele Pedullà entra invece in profondità nel testo, esplorando la cultura che lo ha prodotto e rivelando un Machiavelli inedito. Giurisprudenza, medicina, teologia, astrologia, filosofia, teoria militare, pittura, scultura: tutti i campi della civiltà rinascimentale sono stati passati al setaccio per illuminare la teoria politica di Machiavelli come mai era stato fatto in precedenza. Con il risultato che – una volta collocato nel suo contesto e interpretato con le categorie del suo tempo – il Principe si rivela ai lettori di oggi assai più comprensibile di quanto non sia mai stato in passato e dunque anche più pronto a parlare ai lettori contemporanei, in un dialogo con il nostro presente. Accompagnano il volume 75 mappe, tavole e schemi appositamente realizzati per familiarizzare il lettore con il testo di Machiavelli e pensati per offrire una sorta di inedita «guida visuale» all'opera. Si tratta di un apparato ricchissimo, che fa di questa edizione commentata la più completa e aggiornata nel panorama editoriale italiano, e non solo. È infatti già tradotta o in corso di traduzione in inglese, spagnolo e portoghese.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788855223850
Argomento
Storia
Il Principe

NICOLAUS MACLAVELLUS MAGNIFICO LAURENTIO MEDICI1 SALUTEM*

Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acquistare grazia appresso a uno principe farsegli incontro con quelle cose che in fra le loro abbino più care o delle quali vegghino lui più dilettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavagli, arme, drappi d’oro, prete preziose e simili ornamenti degni della grandezza di quelli2. Desiderando io adunque offerirmi alla vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella3, non ho trovato in tra la mia supellettile4 cosa quale io abbia più cara o tanto essistimi5 quanto la cognizione delle azioni delli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienza delle cose moderne6 e una continua lezione delle antiche7; le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate e essaminate e ora in uno piccolo volume ridotte, mando alla Magnificenzia vostra8. E benché io iudichi questa opera indegna della presenza di quella9, tamen10 confido assai che per sua umanità11 gli debba essere accetta, considerato come da me non gli possa essere fatto maggiore dono che darle facultà a potere in brevissimo tempo intendere tutto quello che io in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi ho conosciuto e inteso12. La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample o di parole ampullose e magnifiche o di qualunque altro lenocinio e ornamento estrinseco13 con e’ quali molti sogliono le loro cose descrivere e ornare14, perché io ho voluto o che veruna cosa la onori o che solamente la varietà della materia15 e la gravità del subietto16 la facci grata. Né voglio sia imputata prosunzione17 se uno uomo di basso e infimo stato18 ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi; perché così come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ luoghi bassi si pongono alto sopr’a’ monti19, similmente a conoscere bene la natura de’ populi bisogna essere principe e a conoscere bene quella de’ principi conviene essere populare20.
Pigli adunque vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io ’l mando; il quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà drento21 uno estremo mio desiderio che lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e l’altre sua qualità22 le promettono23. E se vostra Magnificenzia da lo apice della sua altezza qualche volta volgerà li occhi in questi luoghi bassi conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna24.
* Niccolò Machiavelli saluta il Magnifico Lorenzo de’ Medici.
1 A Lorenzo di Piero de’ Medici (1492-1519) era stato dato il nome del nonno, noto come il Magnifico. Allevato lontano da Firenze dopo la cacciata della famiglia, al momento di rientrare in città, nel settembre del 1512, il giovane Lorenzo non aveva nessuna esperienza del complicato sistema istituzionale della repubblica, per il quale dimostrò sempre scarsa simpatia. Massimo rappresentante dei Medici a Firenze a partire dall’agosto 1513 (in quanto figlio primogenito di Piero), le sue mire si indirizzarono sin dall’inizio verso l’esterno, nella speranza di costituire un principato autonomo nei dominî della Chiesa grazie all’appoggio dello zio Giovanni, divenuto papa con il nome di Leone X nel marzo di quello stesso anno. È dunque del tutto naturale che nell’autunno del 1513 Machiavelli abbia immaginato di rivolgersi proprio a lui nel Principe, anche se sembra da escludere che i due avessero avuto qualsiasi tipo di contatto prima di allora. Successivamente al Principe, nel giugno 1515 Lorenzo sarebbe stato nominato capitano delle milizie fiorentine, soprattutto per mitigare la sua crescente competizione con lo zio Giuliano di Lorenzo de’ Medici (1479-1516), che poco prima aveva ricevuto dal fratello Leone X il titolo di capitano generale dell’esercito pontificio (ma, già molto malato, Giuliano sarebbe morto di lì a poco, e Lorenzo avrebbe preso il suo posto anche alla guida delle truppe della Chiesa). Nell’ottobre 1516 Lorenzo sarebbe divenuto duca di Urbino, coronando solo in parte le proprie ambizioni con un possedimento che riteneva troppo modesto. Così lo descrive Paolo Vettori in una breve biografia encomiastica composta dopo la sua morte (dove gli si attribuisce anche un rispetto per il «vivere civile» che sappiamo non corrispondere alla realtà): «Fu di statura mediocre, di volto bello, nel quale somigliava assai la madre; et nel corpo gagliardo et agile. Chavalcava chosì bene quanto un altro alli tempi suoi. Correva et faceva tutti li altri exercitii, ne’ quali si monstra dextrezza et gagliardia; dormiva poco, sobbrio nel bere et mangiare; piacevonli le femmine, ma per esse non offese mai alcuno, et si contentava di quelle che gli volevono acconsentire. Dalla obscena libidine de’ maschi tanto alieno, chome se fussi nato in mezzo d’Alamagna. Dilectavasi di giucare et alla palla et a ogni altro giuoco, ma quando giucava con li amici, non harebbe voluto vincere. Della roba era assegnato, et non harebbe voluto debito, ma con li amici liberalissimo. […] Era alieno a ogni invidia et detractione, dilectavasi della caccia di cani et uccelli; et in ultimo pigliava piacere di tutte quelle choxe, che debbe pigliare un vero signore et gentilhuomo» (Sommario della vita di Lorenzo Medici). A quanto dice Vettori, Lorenzo aveva ricevuto anche una buona educazione umanistica, facendo «tanto proficto» nelle «lettere latine et greche» che «l’una e l’altra lingua intendeva molto bene, et la latina scriveva et parlava». Assai più contrastato suona invece il giudizio di un altro contemporaneo, il cronista Bartolomeo Cerretani, che nella Storia fiorentina (citata da Tommasini) lo definisce «vano, liberale, misericordioso, placabile, costumato, superbo, continente nel mangiare, ne l’altre cose no, ma cauto, armigero, cacciatore, solitario», mentre nei Ricordi (pp. 357-8) scrive: «Fu la sua morte gratissima a tutta la plebe et ciptadini. […] Stava rinchiuso assai e non si lasciava vedere né favellare. Nel mangiare parcho, non disonesto in sue voglie, di poche parole, vario, voltabile, di pocho animo, non si dilettava di virtù alcuna, solo della chaccia et armi».
2 L’esordio della dedica riecheggia quello della celebre orazione Ad Nicoclem Cypri regem di Isocrate, come fu notato per primo da Triantafillis: «Coloro che, o Nicocle, sono soliti portare in dono a voi principi vestiti, manufatti in bronzo o in oro, o regali del genere – ricchezza di cui sono poco forniti, mentre voi ne avete in abbondanza – a me paiono non donare ma commerciare. […] Per quanto mi riguarda intendo offrirti un regalo più bello e più utile di qualsiasi altro, e sommamente degno di essere donato da me e ricevuto da te, se riuscirò a mostrarti con quali azioni, e astenendoti da quali altri comportamenti, tu possa governare nel migliore dei modi questa città e questo regno» (il medesimo argomento viene ripreso da Isocrate anche nella chiusa del trattato). Lo stesso passo di Isocrate sarà usato da Castiglione nel Cortegiano IV.18, ma la coincidenza non deve sorprendere perché nel Quattrocento l’A Nicocle era una delle più famose institutiones antiche, tanto che prima del 1513 era già stata volta in latino da una decina di umanisti diversi; la prima a essere data alle stampe fu quella di Francesco Buzzacarini (Venezia 1482), ma, come ha dimostrato Augusto Guida, Machiavelli segue la traduzione di Bernardo Giustinian (1431). Nello stesso periodo l’orazione conobbe anche tre volgarizzamenti in italiano, il più importante dei quali si deve a Bartolomeo Facio, tutti rimasti però manoscritti. L’inizio solenne con il verbo «solere» al plurale non è insolito nella prosa del tempo. Un attacco analogo apre per esempio El libro dell’amore di Marsilio Ficino («Sogliono e’ mortali quelle cose che generalmente e spesso fanno dopo lungo uso farle bene, e quanto più le frequentano, tanto farle meglio»), l’Arcadia di Iacopo Sannazaro («Sogliono el più de le volte gli alti e spaziosi alberi» – segnalato da Inglese) e la comitatoria dell’Orfeo di Angelo Poliziano («Solevano i Lacedemoni» – segnalato da Martelli), ma Barthas ha recentemente richiamato l’attenzione anche sull’esordio del resoconto ufficiale della presa di possesso della basilica di San Giovanni in Laterano da parte di Leone X (11 aprile 1513), redatto dal medico fiorentino Giovan Giacomo Penni e stampato a Roma il 27 luglio 1513 (Cronica delle magnifiche e onorate pompe fatte in Roma per la creatione et incoronatione di Papa Leone X), dove si legge questo incipit: «Sogliono li desiderosi in scrivere…».
3 L’espressione «servitù», che all’orecchio odierno suona indubbiamente un po’ forte, in realtà non si discosta troppo da quelle adoperate abitualmente dagli umanisti in situazioni analoghe. Il genere letterario della dedica, con le sue formule ritualizzate e i suoi stilemi obbligatori, si era istituzionalizzato in latino solamente nel corso del Quattrocento, mentre gran parte delle opere due-trecentesche – in particolare volgari – ne erano ancora sprovviste. Nelle società di Antico Regime la principale funzione della dedica era quella di rinsaldare o dichiarare pubblicamente un rapporto di familiarità con un amico, un collega o un protettore (già attivo in questa funzione o solo potenziale). Un codice di comportamento non scritto ma ampiamente condiviso regolava infatti nei dettagli i rapporti tra chi offriva il dono e chi lo riceveva, quando quest’ultimo era un potente. In un mondo in cui gli uomini di lettere dipendevano dal mecenatismo, la norma prevedeva che fosse il poeta o l’umanista a prendere l’iniziativa presentando in maniera del tutto spontanea la propria opera, magari ancora incompleta; il dedicatario, a sua volta, era libero di rifiutare il regalo o di accettarlo, ma se lo accettava si trovava automaticamente vincolato alla reciprocità, vale a dire a contraccambiare l’omaggio in maniera proporzionale (come si diceva, citando Euripide, Elena, v. 1234: «A beneficio risponda beneficio»). La logica puramente economica spiega però solo in parte questo tipo di offerte: la dedica si propone di creare infatti un vincolo più forte della semplice compravendita e va collocata in una più generale strategia di auto-promozione degli autori. L’offerta del libro, in altre parole, funziona da collante sociale, perché alimenta il vincolo tra le persone attraverso l’obbligo della riconoscenza e, ancora prima, della memoria. Più importante delle immediate ricadute economiche è dunque nel suo caso quello che antropologi contemporanei come Alain Caillé chiamano il “valore di legame”, e che, secondo loro, va collocato accanto al valore d’uso e al valore di scambio teorizzati dall’economia classica. Come aveva scritto Seneca, la particolarità del beneficium è infatti che «quando ricevi sei tu a dare, quando dai sei tu a ricevere» (De beneficiis V.8). Persino beni preziosi come una catena d’oro o dei gioielli, che spesso vengono menzionati nelle cronache tra gli oggetti di lusso offerti al letterato per ringraziarlo del suo omaggio, vogliono essere in questi casi anzitutto il segno tangibile di un apprezzamento che da allora il beneficiario potrà sfoggiare in pubblico, per far conoscere a tutti l’entità del favore di cui l’autore gode presso il principe o il senato cittadino. Così, anche quando nella chiusa della dedica allude alla propria povertà, Machiavelli non punta a ottenere da Lorenzo una elargizione in danaro, ma semmai a essere richiamato in servizio. Il maggiore specialista di dediche rinascimentali, Marco Paoli, ha rintracciato nella dedica del Principe quasi tutti i topoi delle perorazioni di apertura: 1) volontà del dedicante di servire il patrono; 2) vol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. L’arte fiorentina dei nodi. Introduzione di Gabriele Pedullà
  5. Cronologia essenziale
  6. Nota al commento di Gabriele Pedullà
  7. Il Principe
  8. Apparati
  9. Indice