Houston, abbiamo un problema
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Houston, abbiamo un problema

  1. 352 pagine
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Nel 1990, il telescopio spaziale più avanzato mai messo a punto venne lanciato con un inglorioso difetto di fabbricazione, grazie al quale anni dopo si riuscì a fare diagnosi più precoci di cancro al seno. Percival Lowell sbagliò alcuni calcoli sull'orbita di Urano, che però portarono alla scoperta di Plutone. Albert Michelson ed Edward Morley lavorarono anni per realizzare un apparato sperimentale che dimostrasse l'esistenza dell'etere luminifero: non lo trovarono, ma il loro esperimento pose le basi per la nascita della relatività. E si potrebbe proseguire ancora e ancora.Insomma, nel grande gioco che è la scienza, spesso e volentieri sono gli insuccessi a spingere la conoscenza in avanti. Ecco perché questo libro è pieno di sublimi fallimenti che hanno contribuito in modi imprevisti al progresso scientifico. Leggerai di flop tecnologici che hanno portato a ricadute straordinarie, di idee geniali rivelatesi fallaci (come la costante cosmologica di Einstein) e, viceversa, di idee inizialmente considerate errate che invece erano corrette (come il fatto che la Terra orbita intorno al Sole e non il contrario!). Infine, concluderemo con una carrellata di scoperte fatte cercando tutt'altro, in quel processo rocambolesco che prende il nome di serendipity (la scoperta della radiazione cosmica di fondo da parte di Arno Penzias e Robert Wilson, o della prima pulsar da parte di Jocelyn Bell e tante altre ancora).Abbraccia dunque i tuoi errori, rivendica i tuoi fallimenti e preparati: sta per cominciare il tuo viaggio tra le più grandi cantonate nella storia dell'astronomia!

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
ISBN
9788831808163
PARTE 1

SBAGLIANDO SI IMPARA

Errori che hanno portato a conseguenze positive
1.

IL TELESCOPIO CON GLI OCCHIALI

Hubble e le mammografie
«Se gli uomini talvolta non commettessero delle sciocchezze, non accadrebbe assolutamente nulla di intelligente.»
LUDWIG WITTGENSTEIN

Galassie come polvere

Immagina di avere a disposizione il telescopio spaziale più avanzato al mondo: l’Hubble Space Telescope, una macchina costata miliardi di dollari il cui tempo di osservazione vale più dell’oro. E immagina che qualcuno venga a proporti di usare quel preziosissimo tempo per osservare non un qualche interessantissimo oggetto astronomico, ma una regione di cielo completamente vuota. Buio totale. Crederesti che si sia bevuto il cervello, vero?
E infatti è proprio quello che pensarono i colleghi dell’astronomo Bob Williams. Correva l’anno 1995, e quel pazzo di Bob decise di puntare i preziosi occhi del telescopio Hubble verso una piccolissima regione apparentemente vuota di cielo nella costellazione dell’Orsa Maggiore. Per cento ore nell’arco di dieci giorni. Quando Williams comunicò la decisione, si sentì rispondere che era soltanto uno spreco di tempo prezioso: gli astronomi di tutto il mondo ucciderebbero per poter usare il telescopio Hubble una sola ora!
Ma la folle idea di Williams aveva in realtà un fondamento scientifico: la sua speranza era di riuscire a osservare galassie estremamente distanti dalla Terra e deboli. Ipotesi che, però, si scontrava anche con alcuni studi secondo i quali le lontane galassie che Williams sperava di vedere sarebbero state troppo poco luminose per poter essere rilevate da Hubble. Insomma, il comitato per l’assegnazione del tempo osservativo non avrebbe mai approvato un progetto così lungo e rischioso come quello. Dopotutto, un solo minuto di osservazione con Hubble costa quasi 100.000 dollari!
Ma Williams insistette. E, a essere onesti, non importava quanto protestassero i suoi colleghi: essendo il direttore dello Space Telescope Science Institute (l’istituto scientifico che aveva in gestione il telescopio Hubble) aveva a sua disposizione una certa quantità di tempo (il 10% del totale) per usare il telescopio come più riteneva opportuno. C’è da dire che nel caso i suoi tentativi fossero andati a buon fine, avrebbe ottenuto informazioni incredibili per aiutarci a comprendere, tra le altre cose, come si è evoluto l’universo. Insomma, la scoperta scientifica richiede rischi, e Williams era disposto a correrli. Pensò: “Al diavolo le conseguenze!”.
Fu così che, per cento ore, tra il 18 e il 28 dicembre 1995, il telescopio Hubble osservò una porzione di cielo completamente buia vicino all’Orsa Maggiore, grande circa un trentesimo della Luna piena. La stessa area di cielo coperta da un granello di sabbia alla distanza di un braccio dai nostri occhi! Il telescopio scattò in totale 342 immagini della regione, ognuna delle quali con un tempo di esposizione tra i venticinque e i quarantacinque minuti. Le immagini furono quindi elaborate, combinate, colorate e, diciassette giorni dopo, pubblicate.
Il risultato fu sconvolgente (Figura 1.1). Grazie alle straordinarie ottiche del telescopio e al lunghissimo tempo di esposizione, dal buio più assoluto, dal nulla totale, spuntò fuori qualcosa come tremila galassie, invisibili a qualsiasi altro strumento. Tremila galassie! Spirali, ellittiche, irregolari. Quelle macchie di luce emerse dall’immagine finale cambiarono la nostra comprensione dell’universo in un modo che gli scienziati mai avrebbero potuto immaginare. All’improvviso il numero stimato di galassie nell’universo osservabile quintuplicò, superando i cinquanta miliardi (ed era solo l’inizio: oggi ne stimiamo circa duemila miliardi). L’Hubble Deep Field, così venne chiamata l’immagine finale, aveva dunque aperto il vaso di Pandora.
Mostra alcune tra le galassie più lontane conosciute, che popolavano il cosmo appena due miliardi di anni dopo il Big Bang, quando cioè era un infante. La luce di quelle galassie ha viaggiato per oltre il 90% dell’età dell’universo, attraversando miliardi e miliardi di anni luce in uno spazio vuoto e desolato, per terminare il suo vagabondaggio nel sensore di un piccolo telescopio costruito da una bizzarra specie di primati antropomorfi che popolano un pianeta che nemmeno esisteva ancora, quando quella luce partì.
Non sappiamo mettere in prospettiva questi numeri, ma guardando immagini come questa ci è inevitabile mettere noi in prospettiva. Abbiamo puntato il miglior telescopio mai costruito dalla specie umana verso una regione di cielo assolutamente vuota, grande come un granello di sabbia, per il solo motivo di essere curiosi, di voler sapere che cosa c’è lassù, e invece di osservare il nulla abbiamo scoperto migliaia di galassie, miliardi di stelle. Abbiamo capito quanto è minuscolo il nostro posto nel cosmo. E tutto questo con una sola immagine.
Ma in oltre trentadue anni di attività, il telescopio Hubble ci ha regalato altre migliaia di immagini meravigliose del cosmo, immagini che hanno contribuito a svelare moltissimi segreti dell’universo e a compiere scoperte incredibili, che a loro volta hanno generato altri misteri cosmici.
Eppure non è sempre stato il più popolare della classe… anzi, all’inizio era lo sfigato!

Perché costruire telescopi spaziali?

Prova ad alzare gli occhi al cielo dal centro di una città come Roma, o durante una notte umida nel mezzo dell’inquinamento della Pianura Padana. Quante stelle riesci a vedere? La risposta non sarà zero, ma poco ci manca. Se dovessimo costruire un osservatorio astronomico, possiamo quindi dire con ragionevole certezza che piazza del Duomo a Milano non è il luogo ideale.
Uno dei nemici giurati degli astronomi, infatti, è l’inquinamento luminoso. Se nelle nostre città non possiamo più ammirare il cielo di una volta, la “colpa” è soprattutto dell’incredibile quantità di luci, spesso superflue e noncuranti della legislazione attuale circa l’inquinamento luminoso. È sufficiente guardare alcune delle immagini notturne del nostro pianeta scattate dagli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale per rendercene conto: luci ovunque, a perdita d’occhio!
Un primo criterio per scegliere un buon posto dove fare osservazione astronomica è quindi la lontananza da centri abitati o da qualsiasi luogo molto illuminato.
Il secondo nemico giurato degli astronomi è l’atmosfera. Certo, senza di essa non esisterebbero nemmeno gli astronomi, ma non preoccuparti: non è necessario eliminarla. Il problema principale è costituito dalla sua turbolenza. Inquinamento, venti, differenze di temperatura, nubi… La somma di tutte queste cose peggiora di molto la qualità dell’immagine astronomica. Un ottimo sito astronomico deve quindi avere, come seconda caratteristica fondamentale, condizioni meteorologiche estremamente stabili, assenza di inquinamento e poche giornate nuvolose.
Se stai pensando al deserto… bingo, hai fatto centro! Gran parte dei più grandi osservatori al mondo è costruita in mezzo al nulla assoluto non perché gli astronomi sono esseri asociali, scorbutici e intrattabili,1 ma perché vi sono solide ragioni scientifiche di fondo. Luoghi come il deserto di Atacama, in Cile, o la sommità del vulcano Mauna Kea, alle Hawaii, nel cuore dell’Oceano Pacifico, sono eccezionali per l’astronomia, ed è per questo che ospitano tali strutture. Lontani da qualsivoglia fonte di inquinamento luminoso, posti ad altitudini elevate tra i 2000 e i 4000 m di quota, evitando così i primi chilometri di atmosfera, in aree con inquinamento atmosferico nullo e gran parte delle notti dell’anno serene, aria secca e atmosfera estremamente stabile, regalano cieli meravigliosi, tra i più belli visibili dalla Terra, perfetti per lo studio del cosmo.
Esiste però un luogo ancora migliore, dove oltre a non esserci inquinamento luminoso si riesce persino a eliminare… l’atmosfera! Per quanto si possa osservare bene il cielo dal deserto o da un’isola sperduta, la vista non sarà mai paragonabile a quella al di fuori della nostra atmosfera. I telescopi spaziali infatti eliminano in un colpo solo tutti i problemi insormontabili che affliggono l’osservazione del cielo dalla superficie del nostro pianeta.
E non è tutto: un altro dei problemi della nostra atmosfera è che non lascia passare alcune lunghezze d’onda, come i raggi X come vedremo nel Capitolo 8, fondamentali per studiare alcuni dei fenomeni più energetici dell’universo. Non potendo eliminare l’atmosfera diventa quindi fondamentale oltrepassare questo limite e studiare lo spazio… dallo spazio. Ecco il perché del telescopio spaziale Hubble, mandato proprio lassù, tra le stelle. Insomma, se non è la montagna ad andare da Maometto…

Se il buongiorno si vede dal mattino…

L’avventura di Hubble, infatti, cominciò in modo tutt’altro che felice. Ci crederesti che un simile progetto costellato di successi clamorosi abbia avuto inizio proprio con un fallimento? Anzi, con uno dei più grandi fallimenti spaziali degli ultimi decenni se non dell’intera storia della scienza!
Esatto, puoi gioire: c’è speranza anche per te!2
Ma per capire come questo sia stato possibile, dobbiamo fare più di un passo indietro. La storia del telescopio spaziale Hubble cominciò nel 1969, quando la National Academy of Sciences pubblicò un report scientifico sulle potenzialità di un telescopio posto al di fuori dell’atmosfera terrestre. Le prospettive erano così clamorosamente vantaggiose, che il congresso degli Stati Uniti approvò, pochi anni dopo, i finanziamenti per il progetto. La costruzione delle varie componenti del telescopio cominciò così pochi mesi dopo, mentre il fermento nella comunità scientifica cresceva anno dopo anno: se quello strumento avesse mantenuto le aspettative, avrebbe regalato immagini del cosmo mai viste prima. Le scoperte e le conoscenze che avrebbe generato avrebbero rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo!
Il momento del lancio fu quindi attesissimo: il 24 aprile 1990 lo Space Shuttle Discovery, con a bordo cinque astronauti e il telescopio Hubble, partì da Cape Canaveral. Il 25 aprile, raggiunta la quota di circa 500 km, gli astronauti finalmente rilasciarono Hubble, collocandolo nella sua orbita operativa. Il grande momento era finalmente giunto. Con il suo specchio da 2,4 m di diametro, Hubble era il primo telescopio spaziale a osservare il cosmo soprattutto nel visibile, a lunghezze d’onda percepibili anche dai nostri occhi. Quello che ci avrebbe mostrato, dunque, avrebbe avuto un impatto clamoroso anche sul grande pubblico.
Il 20 maggio 1990, passate poche settimane dal lancio, l’attesa finì: arrivarono le tanto agognate prime immagini catturate dal telescopio Hubble!
Silenzio. Sgomento. Sconcerto. Incredulità.
Ciò che si mostrò agli occhi degli astronomi fu qualcosa di devastante: le immagini che Hubble cominciò a inviare a terra erano decisamente migliori di quelle catturate dai telescopi terrestri ma comunque lontane, lontanissime da quelle tanto sognate. Erano addirittura leggermente sfocate! Tutto il denaro investito, il tempo dedicato, le speranze riposte per avere, alla fine, delle immagini sfocate!3 Che cosa poteva essere successo al telescopio? Dopo un mese di interrogativi, dubbi e sconforto, la NASA annunciò finalmente di aver scoperto il problema: lo specchio primario di Hubble aveva un’imperfezione chiamata aberrazione sferica, che rovinava la nitidezza delle immagini del telescopio. Saltò fuori che durante la costruzione, lo specchio primario era stato levigato più del necessario, risultando così appiattito di due millesimi di millimetro di troppo. Più o meno un cinquantesimo dello spessore di un foglio di carta o di un capello umano, ma abbastanza perché i raggi luminosi incidenti sui bordi dello specchio primario venissero messi a fuoco in un punto diverso dell’asse ottico rispetto a quelli incidenti nelle regioni centrali dello specchio.
Specchio concavo (sferico)
Le frecce (i raggi luminosi provenienti da una sorgente) rimbalzano sulla superficie dello specchio ma non convergono in uno stesso punto ma in punti diversi collocati sulla medesima retta che passa per il centro di curvatura dello specchio (l’asse ottico).
Così, invece di convogliare il 70% della luce di una stella nello stesso punto focale, lo specchio concentrava nello stesso punto al massimo il 10-15% della radiazione incidente. L’immagine di una stella presentava quindi un piccolo e brillante picco centrale e tutto intorno un esteso alone di luce sfocata.
Panico!
Il telescopio più costoso, atteso e pubblicizzato della storia rischiava di diventare uno zimbello! Il problema andava risolto: continuare a servirsi di un telescopio spaziale con problemi di messa a fuoco era fuori discussione. Sostituire lo specchio non era però una soluzione praticabile, e quindi l’unica possibilità era di costruire e installare degli strumenti correttivi che risolvessero il difetto, più o meno allo stesso modo in cui un paio di occhiali migliora la visione di una persona astigmatica. Era già previsto, infatti, che periodicamente venissero organizzate missioni pianificate allo scopo di eseguire riparazioni o installare nuovi strumenti su Hubble. L’ottica correttiva venne quindi costruita e installata sul telescopio spaziale nel corso della prima missione di servizio, nel dicembre del 1993.
Gioia! Gli “occhiali” di Hubble funzionavano egregiamente: le immagini che arrivarono subito dopo furono una liberazione! Erano finalmente chiare e nitide, e dimostrarono che l’ottica correttiva aveva compensato completamente l’aberrazione nello specchio primario, consentendo per la prima volta al telescopio di catturare in modo eccellente anche i più piccoli dettagli, minuzie che prima risultavano praticamente invisibili (Figure 1.2a e 1.2b).

Vediamoci chiaro!

Dal lancio di Hubble alla correzione del problema passarono...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Houston, abbiamo un problema
  4. Introduzione
  5. PARTE 1. SBAGLIANDO SI IMPARA
  6. PARTE 2. LE ULTIME PAROLE FAMOSE
  7. PARTE 3. TE LO AVEVO DETTO
  8. PARTE 4. CHI (NON) CERCA TROVA
  9. Epilogo
  10. Fonti e approfondimenti
  11. Ringraziamenti
  12. Inserto fotografico
  13. Copyright