Arte del colore
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Johannes Itten, Marta Bignami, Augusta Monferini

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Arte del colore

Johannes Itten, Marta Bignami, Augusta Monferini

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Tutti i grandi maestri dell'arte possiedono una profonda conoscenza dell'essenza dei colori. In alcuni casi si tratta di una conoscenza intuitiva, quasi una forma di contatto spirituale con una dimensione ineffabile. In altri, quella conoscenza è frutto di uno studio teorico e di una ricerca tecnica che non hanno niente da invidiare al rigore dello scienziato. Per Johannes Itten, che ha dedicato tutta la sua vita alla riflessione sul colore, la questione era semplice: se un suo allievo, d'istinto, fosse stato capace di produrre capolavori cromatici, quella sarebbe stata la sua strada; ma se, come avveniva molto più spesso, il risultato dei suoi sforzi non avesse dato vita a un capolavoro, allora si sarebbe reso necessario l'impegno nello studio. L'Arte del colore è un compendio delle intuizioni, delle scoperte e delle esperienze artistiche di Johannes Itten, tanto nella veste di formidabile pittore quanto in quella di insegnante presso il Bauhaus, dove iniziò a concepire il progetto di una sistematizzazione delle regole cromatiche in arte. Un'opera pensata dallo stesso autore come «un veicolo che possa riuscire di aiuto a coloro che si interessano dell'uso artistico del colore», liberando il lettore dall'incomunicabilità del soggettivismo pittorico per farlo giungere a una conoscenza delle leggi oggettive dell'accostamento delle tinte. In queste pagine, infatti, Itten offre nozioni utilizzabili da chiunque all'interno di qualunque percorso creativo, dallo studio fisico della luce al ruolo della componente termica nella percezione visiva, dalla teoria impressionista della colorazione alla strutturazione ordinata delle cromie in un disco di dodici parti. Redatta da Itten negli stessi anni in cui sua moglie Anneliese selezionava le tavole che avrebbero composto l'edizione originale del 1961, questa versione dell'Arte del colore è un vero e proprio classico di uno dei più influenti maestri del Novecento. Una «piccola teoria», agile e accessibile, che si offre ancora oggi come strumento nelle mani di ognuno di noi per dare un'adeguata veste alla nostra espressione.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9791259810199
Argomento
Arte
Categoria
Arte generale

Introduzione

«Ciò che si apprende dai libri o dai propri maestri è un veicolo» dice un passo dei Veda, che così prosegue: «Un veicolo che serve però solo a percorrere le strade battute; chi arriva al termine di quelle strade deve abbandonarlo e proseguire a piedi».
Con questo libro tento di fabbricare un veicolo che possa riuscire di aiuto a coloro che si interessano dell’uso artistico del colore.
Naturalmente si può procedere anche a piedi e aprirsi un sentiero in terreni inesplorati, ma in tal caso il cammino è lento e pieno di pericoli. Chi vuol raggiungere una meta elevata e lontana, dovrebbe sempre servirsi, all’inizio del suo viaggio, di un mezzo che lo faccia avanzare rapidamente e con sicurezza.
Molti miei alunni hanno contribuito a procurare il materiale per la costruzione di questo veicolo, e a tutti sono riconoscente per i molti quesiti posti. La teoria del colore qui svolta ha finalità estetiche ed è scaturita dall’esperienza e dal modo di vedere di un pittore. Per gli artisti sono essenziali gli effetti dei colori e non tanto i loro caratteri fisici, studiati dai chimici e dagli scienziati. Gli effetti cromatici sono controllabili mediante la percezione visiva. Riconosco però che i più profondi ed essenziali segreti del cromatismo restano impenetrabili agli occhi e si possono cogliere solo col cuore. L’essenziale sfugge quindi a ogni formulazione concettuale.
Ma, nelle arti e nel campo dell’estetica vigono veramente leggi e principi rigorosi oppure la valutazione estetica dei colori è esclusivamente soggettiva? Questa domanda mi è stata posta assai spesso dagli allievi e sempre ho risposto: «Se lei, d’intuito, riesce a creare dei capolavori coloristici, può procedere ignorando le leggi cromatiche. Ma se ignorandole non crea dei capolavori, deve impegnarsi nel loro studio».
Gli insegnamenti e le teorie valgono solo nelle ore di debolezza; nei momenti di forza creativa i problemi si risolvono per intuito, quasi da soli.
Tuttavia studi approfonditi sui grandi maestri del colore mi hanno fermamente convinto che tutti possedevano una profonda conoscenza dell’essenza dei colori.
Gli scritti di Goethe, Runge, Bezold, Chevreul e Hölzel mi riuscirono di grande aiuto.
Spero che questo libro possa chiarire gran parte dei problemi del colore. Esso non intende solo dimostrare l’esistenza nell’ambito dei colori, di leggi e principi fondamentali aventi caratteri d’obiettività, ma anche trattare ed esaminare con più accuratezza il problema del limite soggettivo del giudizio di gusto.
Se vogliamo liberarci dalle limitazioni del soggettivismo, dobbiamo infatti raggiungere la conoscenza e la consapevolezza delle leggi fondamentali oggettive.
In musica già da tempo lo studio della composizione è divenuto un’importante e autonoma parte dell’insegnamento musicale. Però un musicista privo d’intuizione e d’ispirazione resta noioso anche se conosce il contrappunto. Il pittore cui è negata l’ispirazione è altrettanto impotente anche se conosce tutte le possibilità compositive delle forme e dei colori. Goethe disse che il genio consiste in novantanove parti di traspirazione e una di ispirazione. J.S. Bach non si è espresso diversamente. Richard Strauss e Hans Pfitzner polemizzarono anni fa su un quotidiano circa il rapporto che esisterebbe tra ispirazione e logica contrappuntistica. Strauss dichiarò che solo quattro o sei battute nelle sue composizioni erano state scritte per ispirazione e che il resto era tutto lavoro di contrappunto. Al che Pfitzner replicò: «Si può convenire con Strauss che solo le prime quattro o sei battute delle sue opere sono scritte per ispirazione; ma ho riscontrato che Mozart spesso riuscì a comporre intere pagine per ispirazione».
Leonardo, Dürer, Grünewald, El Greco e altri pittori non hanno sdegnato di indagare concettualmente le possibilità artistiche degli elementi formali. Come avrebbe potuto nascere l’altare di Isenheim se Grünewald non avesse meditato sui problemi della forma e del colore?
In Les Artistes de mon temps Delacroix scriveva: «Nelle nostre scuole d’arte manca l’insegnamento e l’analisi dei principi della teoria del colore perché in Francia queste nozioni sono considerate del tutto superflue in base al motto: disegnatore si diventa, colorista si nasce. Misteri della teoria del colore? Ma perché considerare un mistero quei principi che tutti i pittori devono conoscere o che dovrebbero venir loro insegnati?».
La conoscenza delle leggi compositive non deve mai essere una schiavitù, anzi deve liberare dall’incertezza e dalla titubanza. Che le cosiddette leggi del colore abbiano un valore solo parziale e relativo è d’altronde dimostrato dalla complessità e irrazionalità degli effetti del colore.
Quanti portenti lungo il corso dei secoli sono stati studiati e compresi dall’intelletto umano nella loro natura o nelle loro leggi. Tuttavia l’arcobaleno, il fulmine, il tuono, la gravitazione, ecc. non riescono perciò meno stupefacenti.
Come la tartaruga per proteggersi ritira le zampe sotto il guscio, così l’artista, creando intuitivamente, ritrae le sue conoscenze teoriche. Ma non è certo detto che la tartaruga starebbe meglio senza le zampe.
Colore è vita, poiché un mondo senza colori sarebbe un mondo senza vita. I colori sono idee primordiali, generate dall’incolore luce originaria e dal suo contrario, l’oscurità senza tinta. Come la fiamma produce la luce, la luce genera i colori. I colori sono creature della luce e la luce è la madre dei colori. La luce, il fenomeno primo dell’universo, ci rivela nei colori lo spirito e l’anima vitale del nostro mondo.
Nulla potrebbe commuovere gli uomini più profondamente dell’apparizione in cielo d’una gigantesca e splendida aureola di colori.
Il lampo e il tuono ci atterriscono, ma i colori dell’arcobaleno e dell’aurora boreale placano ed elevano il nostro spirito. L’arcobaleno ha il valore di un simbolo di pace.
La parola e il suo suono, la forma e il suo colore sono manifestazioni di un aldilà, che ci è dato presentire guardando e ascoltando. Come il suono dà un vivo senso di colore alla parola pronunziata, il colore dona alla forma una musicalità intensamente spiritualizzata. L’essenza primordiale del colore è un’armonia onirica, è musica divenuta luce. Ma nell’istante in cui mi metto a riflettere sui colori, a formulare dei concetti, a porre dei principi, il loro profumo svanisce e fra le mani non mi resta che la bruta materia.
Possiamo ricostruire dalle testimonianze coloristiche delle antiche civiltà il posto tenuto dal colore nella psicologia di quei popoli.
Gli egiziani e i greci mostrano di avere soprattutto apprezzato una policromia vivacissima.
In Cina, esistettero grandi pittori già prima di Cristo. Un imperatore del periodo Han, nell’80 a.C. raccolse in apposite stanze, come in un museo, pitture che dovevano possedere una grande bellezza coloristica. Sempre in Cina, nel periodo T’ang (618-907 d.C.), nacque la pittura murale e su tavola, a colori violenti, e contemporaneamente si crearono in ceramica smalti gialli, verdi, rossi e azzurri. Nel periodo Sung (960-1279 d.C.) la sensibilità al colore si raffinò straordinariamente: nelle pitture le tinte furono assai più variate e nello stesso tempo più naturalistiche, nelle ceramiche si inventarono numerose patine di bellezza fino allora ignote: come il céladon color verde giada ed il claire de lune azzurro.
In Europa sopravvivono, del primo millennio dopo Cristo, mosaici bizantini e romani intensamente policromi. L’arte musiva si basa essenzialmente su contrasti cromatici, in quanto ogni zona di colore nasce dalla giustapposizione di più tessere colorate, di cui ciascuna va attentamente scelta e calibrata. I mosaicisti ravennati del V e VI secolo seppero ricavare molteplici effetti cromatici dai colori complementari. Nel Mausoleo di Galla Placidia regna una suggestiva atmosfera luministica in grigio cangiante data dal fatto che le pareti di mosaico azzurro dell’interno vengono irradiate da una luce arancione, che filtra nell’ambiente dalle lastre di alabastro arancione delle strette finestre. Arancio e blu sono colori complementari, e mescolati danno appunto il grigio. Avanzando nella cappella il visitatore riceve, da ogni punto dello spazio interno, riflessi alterni, ora blu ora arancio a seconda dell’angolo di incidenza della luce sulle pareti. Queste alternanze di luce multicolore danno l’impressione che i colori galleggino sospesi nell’atmosfera.
Le miniature irlandesi alto-medioevali dei secoli VIII e IX posseggono una cromia assai varia e differenziata. Una stupefacente luminosità hanno in particolare quei fogli in cui più colori sono campiti con lo stesso grado di luminosità dando luogo a contrasti di caldo e freddo come si ritroveranno secoli più tardi negli impressionisti e in van Gogh. Nel libro di Kells ci sono pagine che per la sapiente e logica stesura dei colori e la ritmica organica del disegno raggiungono la grandiosità e la limpidezza delle fughe di Bach. La sensibilità e l’intelligenza di questi miniatori «astratti» ebbe una continuazione monumentale nell’arte della vetrata nel Medioevo. Se nelle prime realizzazioni si ebbero tinte scarsamente differenziate e quindi effetti cromatici elementari, ciò fu essenzialmente dovuto al fatto che la tecnica di lavorazione del vetro consentiva in origine solo pochi colori. Chi però studi per tutto un giorno le vetrate della cattedrale di Chartres, secondo le mutazioni della luce del giorno, fino al momento in cui il sole al tramonto accende il sonoro accordo cromatico del grande rosone collocato sulla porta principale, non dimenticherà mai più la celestiale bellezza di questo estremo istante.
Per gli artisti del romantico e del gotico primitivo il colore aveva valore simbolico, perciò furono costretti a realizzare accordi di colori puri, immediatamente espressivi, senza ricerca di una differenziazione in più toni e senza contrapporre diversi caratteri cromatici: volevano effetti semplici, perspicui, significativi. Anche le forme subirono un analogo trattamento.
Giotto e i senesi furono i primi a caratterizzare le figure nella forma e nel colore, dando così inizio al processo che avrebbe portato dopo il Quattrocento a quella straordinaria molteplicità di stili personali che distingue l’arte europea del XV, XVI e XVII secolo.
Nella prima metà del XV secolo i fratelli Hubert e Jan van Eyck pervennero a uno stile figurativo che si vale come fondamentale principio compositivo del colore locale dei personaggi e degli oggetti rappresentati. Da questi colori locali, per modulazioni in toni cupi e splendenti, chiari e scuri, scaturirono timbri realistici assai vicini al vero. I colori divennero un mezzo per caratterizzare ...

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