L'avvelenatrice. Il romanzo della marchesa di Brinvilliers
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L'avvelenatrice. Il romanzo della marchesa di Brinvilliers

Delitti celebri

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L'avvelenatrice. Il romanzo della marchesa di Brinvilliers

Delitti celebri

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A ventott'anni, la marchesa di Brinvilliers era nel pieno della sua bellezza: di piccola statura e di forme perfette; col viso tondo incantevolmente leggiadro; dai tratti tanto più armoniosi in quanto mai alterati da alcuna sofferenza interiore, come quelli di una statua che per una qualche magia abbia momentaneamente preso vita, e ciascuno poteva prendere per il riflesso della serenità di un'anima pura quella fredda e crudele impassibilità, che non era altro che una maschera per coprire il rimorso.

Un classico di Alexandre Dumas Padre, da lui pubblicato nella serie "Delitti celebri" dedicata ai più efferati assassini della storia passati agli onori della cronaca. È la storia vera della marchesa di Brinvilliers, detta anche "La dama dei veleni", famosa avvelenatrice del seicento, omicida seriale: bella, di fattezza minute, regale, indecifrabile, consumava i suoi delitti con implacabile cinismo. La trama veloce della narrazione, le vivide descrizioni e gli inattesi colpi di scena vi conquisteranno fino in fondo. Affascinante!

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Informazioni

VIII

Già, come vedemmo, Santa-Croce aveva scritto una confessione ch’era stata bruciata, ed ecco la Marchesa commettere a sua volta la medesima imprudenza! Del resto, quella confessione, che conteneva sette articoli, cominciava con queste parole:
Io mi confesso a Dio, ed a voi padre mio. Era una confessione completa di tutti i delitti da lei commessi.
Nel primo articolo, si accusava d’essere stata incendiaria.
Nel secondo, d’aver cessato d’esser ragazza a sette anni.
Nel terzo, si addebitava l’avvelenamento del proprio padre.
Nel quarto, d’aver avvelenato i suoi due fratelli.
Nel quinto, si imputava il tentato avvelenamento di sua sorella, monaca nelle carmelitane.
I due altri articoli, erano consacrati al racconto di oscenità bizzarre e mostruose.
Quella donna partecipava della natura di Messalina; l’antichità non ci aveva offerto nulla di meglio.
Palluau, forte della conoscenza di questo documento importante, cominciò subito l’interrogatorio.
Noi lo riferiamo testualmente, lieti sempre ogniqualvolta potremo sostituire gli atti ufficiali al nostro proprio racconto.
Richiesta perché fosse fuggita a Liegi.
– Ha detto essersi ritirata di Francia in causa degli affari che aveva colla cognata.
Interrogata se avesse conoscenza delle carte che si trovavano nella sua cassetta.
– Ha risposto che, nella sua cassetta, vi sono parecchie carte di famiglia, e fra queste una confessione generale ch’ella voleva fare; ma che, quando la scrisse, aveva l’animo disperato;·non può dire ciò che abbia scritto, non sapendo che cosa facesse, avendo le mente alterata, vedendosi in paesi stranieri, senza soccorso dei suoi parenti, e ridotta a farsi prestare uno scudo.
Richiesta, sul primo articolo della sua confessione, a quale casa avesse fatto porre il fuoco.
– Ha detto non averlo fatto, e che quando scriveva simil cosa, aveva il cervello sconvolto.
Interrogata sopra i sei altri articoli della sua confessione.
– Ha risposto che non sa che cosa siano, e non si ricorda di nulla.
Domandatole se avesse avvelenato il padre ed i fratelli.
– Ha negato assolutamente.
Interrogata se fosse stato Lachaussée l’avvelenatore dei fratelli.
– Ha dichiarato non saperne nulla.
Richiesta se non sapesse che sua sorella doveva vivere a lungo, pel motivo ch’era stata avvelenata.
– Ha detto che lo prevedeva, perché sua sorella andava soggetta agli stessi incomodi dei fratelli; ch’ella ha perduta la memoria dal tempo in cui scrisse la sua confessione, e dichiara essere uscita di Francia per consiglio dei suoi parenti.
Interrogata perché quel consiglio le fosse stato dato da’ suoi parenti.
– Ha risposto ch’era in causa dell’affare dei suoi fratelli; confessa aver veduto Santa-Croce, dopo uscito dalla Bastiglia.
Alla domanda se Santa-Croce non l’avesse persuasa a disfarsi del padre.
– Ha detto non ricordarsene, non rammentandosi neppure se Santa-Croce le abbia dato polveri, od altre droghe, né se Santa-Croce le abbia detto che sapeva il modo di renderla ricca.
Presentate a lei le otto lettere, ed intimatole di dire a chi le scrivesse.
– Ha dichiarato di non ricordarsene....
Interrogata perché avesse fatta una promessa di trentamila lire a Santa-Croce.
– Ha detto ch’ella pretendeva porre quella somma nelle mani di Santa-Croce per servirsene quando ne avesse avuto bisogno, credendolo suo amico; ch’ella non voleva che ciò fosse palese, in causa dei suoi creditori; che aveva una ricevuta del Santa-Croce che poi smarrì in viaggio, e che suo marito non sapeva nulla di quella promessa.
Richiesta se la promessa fosse stata fatta prima o dopo la morte dei suoi fratelli.
– Ha risposto di non ricordarsene, e che ciò non fa nulla alla cosa.
Interrogata se conoscesse un farmacista per nome Glazer.
– Ha asserito d’essere stata tre volte da lui per le sue flussioni.
Alla domanda perché avesse scritto a Therias di rapire la cassetta.
– Ha risposto non sapere di che si trattava.
Interrogata perché, scrivendo a Therias, diceva ch’era perduta, se egli non impadronivasi della cassetta e del processo.
– Ha detto di non ricordarsene.
Richiesta se si fosse accorta, durante il viaggio ad Offemont, dei primi sintomi della malattia del padre.
– Ha dichiarato non essersi accorta che suo padre si fosse sentito male nel 1666, nel viaggio d’Offemont, né all’andata, né al ritorno.
Interrogata se avesse avuto interessi con Penautier.
– Ha detto non avere avuto relazione con Penautier se non per trentamila lire ch’egli le doveva.
Infine richiesta in qual modo Penautier le dovesse trentamila lire.
– Ha risposto ch’essa e suo marito avevano prestato cinquemila scudi a Penautier, ch’egli ha loro restituita quella somma, e che, dopo il rimborso, essi non hanno avuto con lui relazione alcuna.
La Marchesa si chiudeva, come si vede, in un sistema completo di negativa.
Giunta a Parigi, e carcerata alla Conciergerie, continuò a mantenersi negativa; ma in breve ai gravami terribili che già pesavano su lei vennero ad unirsene dei nuovi.
Il sergente Cluet depose:
"Che, vedendo Lachaussée servire di lacché al signore d’Aubray, deputato, che aveva pure veduto al servizio di Santa-Croce, disse alla Brinvilliers, che se il Procuratore generale sapesse che Lachaussée fosse stato al servizio di Santa-Croce, non lo avrebbe gradito; che allora la detta signora di Brinvilliers, esclamò:
"– Dio buono, non lo dite a’ miei fratelli, ché lo bastonerebbero, e val meglio che guadagni egli qualche cosa, anziché un altro.
"Non ne disse dunque nulla ai detti signori d’Aubray, benché vedesse Lachaussée andare tutti i giorni da Santa-Croce e in casa della signora di Brinvilliers, la quale blandiva quest’ultimo per avere la sua cassetta, e ch’ella voleva che Santa-Croce le restituisse il suo biglietto di due o tremila pistole, altrimenti lo farebbe stilettare; ch’ella aveva detto desiderare molto che non si vedesse il contenuto della detta cassetta; essere cosa di grande importanza, e riguardante lei sola.
"Il testimonio soggiunse che, dopo l’apertura della cassetta, aveva riferito alla detta signora come il commissario Picard avesse detto a Lachaussée che si erano trovate strane cose; che allora la Brinvilliers arrossì e mutò discorso. Egli le chiese se non fosse complice; ella rispose:
"– Perché, io?
"Poi soggiunse, come parlando seco stessa:
"– Converrebbe mandare Lachaussée in Picardia.
"Disse ancora il deponente esser molto tempo ch’ella si affannava dietro a Santa-Croce per avere la detta cassetta, e s’ella la poteva avere, l’avrebbe fatto scannare.
"Quel testimonio soggiunse inoltre, che avendo detto a Briancourt come Lachaussée fosse preso, e che certo egli direbbe tutto, Briancourt aveva risposto, parlando della Brinvilliers:
"– È una donna perduta.
"Che la signorina d’Aubray avendo detto che Briancourt era un briccone, egli, Briancourt, aveva risposto che la signorina d’Aubray non sapeva qual obbligo gli dovesse; essersi voluto avvelenare lei e la moglie del Procuratore generale, ed essere stato egli ad impedire il colpo.
"Ha sentito dire da Briancourt che la signora di Brinvilliers diceva spesso esservi mezzi di disfarsi delle persone quando dispiacevano, e darsi loro una pistolettata in un brodo".
Emma Huet, maritata Briscien, depose:
"Che Santa-Croce andava tutti i giorni dalla signora di Brinvilliers, e che, in una cassetta appartenente alla detta signora, ella aveva veduto due scatolette contenenti sublimato in polvere ed in pasta, cui ella ben riconobbe, essendo figlia di un farmacista. Aggiunse che la detta signora di Brinvilliers, avendo un giorno pranzato in sua compagnia ed essendo allegra, le mostrò una scatoletta, dicendole:
"– Ecco di che vendicarsi dei propri nemici; e questa scatola non è grande, ma è piena di eredità.
"Ch’ella le consegnò allora quella scatola fra le mani; ma che, riavuta in breve dalla sua allegria, esclamò:
"– Buon Dio! che vi ho detto io mai? non lo ripetete ad alcuno.
"Che Lambert, scrivano del Tribunale, le aveva detto di aver portate le due scatolette alla signora di Brinvilliers da parte di Santa-Croce; che Lachaussée andava spesso da lei, e che, non essendo pagata, ella, la Briscien, di dieci pistole, a lei dovute dalla Brinvilliers andò a lagnarsene con Santa-Croce, e minacciò di dire al Procuratore generale quanto aveva veduto; talché le furono date le dieci pistole. Che Santa-Croce e la detta Brinvilliers avevano sempre veleno indosso, per servirsene nel caso che fossero presi".
Lorenzo Perrette, abitante in casa di Glazer, farmacista, dichiarò:
"Di avere spesso veduto una signora venire dal suo padrone in compagnia di Santa-Croce; che il servitore gli disse che quella signora era la marchesa di Brinvilliers; ch’egli avrebbe scommesso la testa che esse cercavano veleno da Glazer; che quando venivano lasciavano la loro carrozza al Mercato di San Germano".
Maria di Villeray, signorina di compagnia della detta Brinvilliers, depose:
"Che dopo la morte del signor d’Aubray, deputato, Lachaussée venne a trovare la detta signora di Brinvilliers, e le parlò in segretezza; che Briancourt le disse che la detta signora faceva morire delle oneste persone; che egli, Briancourt, prendeva tutti i giorni orvietano, per paura di venire avvelenato, ed esser certo che a quella sola precauzione egli doveva d’essere ancora in vita; ma che temeva di venir pugnalato a motivo ch’ella gli aveva detto il suo segreto circa l’avvelenamento; che bisognava avvertire la signorina d’Aubray che si voleva avvelenarla; che si avevano simili disegni sopra l’aio dei figli del signor di Brinvilliers,
"Aggiunse Maria di Villeray, che due giorni dopo la morte del deputato mentre Lachaussée era nella stanza da letto della Brinvilliers, essendo stato annunziato Cousté, segretario del fu Procuratore generale, ella fece nascondere Lachaussée sotto il letto. Lachaussée portava alla Marchesa una lettera di Santa-Croce".
Francesco Desgrais, commissario di polizia, testimoniò:
"Che, essendo incaricato per ordine del Re, egli arrestò a Liegi la signora di Brinvilliers: trovò sotto il letto di lei una cassetta, che sigillò. La detta signora gli chiese una carta che vi si trovava, e ch’era la sua confessione, ma ch’egli gliela rifiutò. Che per le strade che percorrevano insieme per venire a Parigi, la Brinvilliers gli disse che credeva fosse Glazer, che preparava i veleni a Santa-Croce; che questi, avendole dato un giorno appuntamento al crocevia Sant’Onorato, le mostrò quattro boccettine, e le disse:
"– Ecco ciò che mi ha mandato Glazer. Ella gliene chiese una; ma Santa-Croce rispose preferir di morire anziché dargliela.
"Aggiunge che Antonio Barbier gli aveva consegnate tre lettere, che la signora di Brinvilliers scriveva a Therias.
"Che nella prima, ella lo pregava di venire in fretta a trarla dalle mani dei soldati che la scortavano.
"Che nella seconda, gli diceva la scorta non comporsi se non di otto persone sole, cui cinque uomini potrebbe...

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