FILOSOFIA
E
MEDIA Cap. 1
FILOSOFIA E DEIEZIONE IN TV
Slavoj Žižek
Se Slavoj Žižek, da Fazio, fosse partito - con l'aiuto della Treccani - dall'etimologia del termine “deiezióne” avrebbe potuto:
- fare un exursus che dal latino “deiectio-onis”, der. di “deicĕre” «gettare giù o fuori», comp. di “de” e “iacĕre” «gettare» che lo avrebbe portato ad esempio:
- al “Verfallenheit” che per Heidegger è il modo di essere inautentico dell’uomo in quanto «è gettato» nel mondo
- oppure, più in generale, alla “condizione e sentimento di decadenza, di abiezione, o di abbattimento morale”
- oppure a parlarci del Manzoni col Don Ferrante che “sapeva parlare a proposito, e come dalla cattedra, delle dodici case del cielo, de’ circoli massimi, ... d’esaltazione e di deiezione, di transiti e rivoluzioni”
- oppure a fare un'escursione in geologia con “l'insieme di materiali trasportati da acque e depositati”; in vulcanologia con “ la fuoriuscita più o meno violenta di prodotti piroclastici dal cratere dei vulcani” o in astrologia con la condizione di minore influenza di un astro, per essere in opposizione ad altro che ne contrasta l’effetto, o per trovarsi in segno opposto a quello nel quale è maggiore il suo influsso
- oppure parlare, se proprio necessario, di espulsione-evacuazione
- oppure rifarsi al linguaggio infantile con “popò”
Macché neanche per sogno, Slavoj Žižek ha detto - e più volte- proprio “merda” con Fazio beato e ridente: come meravigliarsi se poi le telecamere de “Le Iene” si sono fatte spiegare da D'Alema le varie fasi della digestione del suo cane nei giardini e di come il bene pubblico si salvaguarda raccogliendo il prodotto canino.
E a questo punto una ravvicinata inquadratura sul sacchettino blu e la voce del leader Maximo che, con sagacia e dettagliata descrizione, chiudeva il servizio (è il caso di dirlo) mentre con mossa felina (o canina?) rinchiudeva rivoltando, senza sporcarsi, il contenitore e voilà: se la cultura può aspettare, la filosofia dov'è finita se pochi o nessuno ne ha parlato o si è sentito rivoltare per come sono trattati, nei contenitori tv, i telespettatori?
Non si può più dire “da cani”: chè maltrattare un animale si viene puniti.
Cosa che non accade in tv.
Cap. 2
FILOSOFIA DELL'OSCENO TELEVISIVO. PRATICHE DELL'ODIO CONTRO LA TV DEL NULLA
Carmine Castoro
Dai Barbarers (D’Urso) ai Leosiners (Leosini, M.me Morgue) si va con goduria: giornalisti e politici per non essere da meno, e rischiare l’oblio, sgomitano con successo per far sentire il loro eloquio conforme a masscult e midcult e teso al kitsch, nell’impero della post-verità e del trash.
Gli abitanti delle tv divorano efferatezze di ogni genere e gongolano “gusti” da vero e proprio abisso mentre si consumano impuniti i delitti dell'intelligenza che non sempre diventano la pena dello spettatore: tutt’altro.
Lo vedono partecipe, infatti.
Si era partiti con la grazia del “Portobello” di Tortora e già si virava con “Carramba che sorpresa” per raggiungere l’apoteosi di “Amici” e de “Il Grande Fratello”.
Ma era ancora poco, infatti Carmine Castoro, nel suo saggio “Filosofia dell'osceno televisivo. Pratiche dell'odio contro la TV del nulla”, passa in rassegna il profluvio di imbonitori di spot.
• Il luccicchio ed il clicclabile
Si va dal materasso, al divano, ad improbabili cinture per dimagrire o marchingegni per la casa, maschere che diventano ormai del tutto innocenti a confronto di tv via cavo, streaming, dirette facebook, su device di ogni sorta luccicanti e performanti ogni ultimo modello più del penultimo.
“Abbonati e te lo cambiamo così non ne perdi uno, dai vieni presto a fare la fila dalla sera alla mattina, devi essere il primo all’apertura e ti garantiamo la passerella e gli applausi mentre andrai in tv ed in rete e se ti va bene diventi virale”: il cliccabile come meta e ragione di vita, ovvio.
• Il compulsivo e la pornografia
Il compulsivo è già pornografia, è già raccapriccio: se è una tragedia, non è greca e non intende raggiungerne (non può) le vette ma solo la degradazione nell’abisso dei selfie nei luoghi dell’orrore e che fa impallidire il pulp quentiniano.
• Lo storytelling
Il frame, la cornice narrativa, lo storytelling rischiano di diventare il nuovo oppio di massa, se non si smaschera il meccanismo che sovrintende la rappresentazione e per farlo niente di meglio di un filosofo della comunicazione e giornalista come Carmine Castoro con una più che decennale dedizione ad intendere e sviscerare il Tele-Capitalismo, la messa-in scena dell’osceno da “Filosofia dell’odio televisivo”, “Clinica della tv”, “I dieci virus del Tele-Capitalismo”, “Il sangue e lo schermo” e “Lo spettacolo dei delitti e del terrore”.
• Identità fantasmatiche e l'algoritmo
Il salto antropologico attuato dall’algoritmo è compiuto dal conseguente dominio dell’info: dalla sfera dell’informazione all’intrattenimento ed al profluvio di big data che travolgono il sentimento nel sentiment.
L’individuo, preso in rete, è annichilito e mentre si ritiene protagonista e faber si offre nelle mani dell’algoritmo, viene agito ed agitato come i pupi dall’intelligenza artificiale nel trionfo dell’”internet of things”: è la consegna totale alla reificazione.
La comunità tutto è fuorché avere qualcosa in comune: è ostentazione, narcisismo e diventa solitudine, costruzione di identità virtuali fittizie e fantasmatiche.
• Il “carosello” e la radio
Se nel “carosello”, l’uomo non aveva bisogno di chiedere, qui l’uomo non deve pensare né chiedere: è l’algoritmo che si sostituisce alla sua mente e pensa per lui nel trionfo della merce propinata coi banner sollecitati dalle ricerche del navigante stesso.
La radio se si ascoltava ora si vede anche nelle dirette televisive e nei siti delle emittenti: un tripudio di visi, prima sconosciuti e, immaginati, sognati e creati dall’ascoltatore, ora si offrono e si espongono allo sguardo rutilante e laccato come un’anatra.
• Il tramonto dei media
Un addio dell’umanesimo giunto al tramonto con l’occidente?
Se c’era la “Piovra” ad incollarci alla tv, ora tv-radio-rete-device mobili e fissi ci imprigionano fino a toglierci il respiro, a negarci le pause - di cui si nutre il pensiero - mentre ci mostriamo alla rete.
Ah il Leopardi del “mira ed è mirata” ora è solo narcisismo esausto, il passero è solatio nella folla ma non più agli occhi conosciuti e riconoscibili del natio borgo selvaggio: ora è il mucchio, indistinto divoratore e divorato dall’apparire, a prevalere.
• Il “panopticon” della tecnica
Oltre Orwell ed Odissea nello spazio: collocati in un “panopticon” , ormai anche virtuale , non sappiamo dominare le forze da noi evocate e non vogliamo né possiamo lasciarlo.
Se “téchne” era arte ovvero perizia, ora è solo tecnica, tecnologia: produzione e surplus di prodotti: merci e poi merci in un processo che si autodetermina implacabile e l’individuo è una di esse.
Se Heidegger, che è stato il profeta del dominio della “téchne” e segnalava il pericolo della “chiacchiera”, ora avrebbe orrore del dominio di questo “sguardo” che non vede e nasconde il reale.
• Il delirio delle competenze
Nel mondo dell’educazione: dalla scuola all’università si assiste impotenti all’invasione di competenze-obiettivi-performance e la formazione dell’individuo è per i pochi eletti che possono garantirsi luoghi implacabilmente vietati alla maggioranza: luoghi-fucina di selezioni feroci e di destini sociali.
• Coco Chanel e Carmine Castoro
Se Coco Chanel ha rivoluzionato la donna ed il suo ruolo, Carmine Castoro che ne ha in comune le iniziali (vedi, a volte…) è pervicacemente teso e non demorde, statene certi, a denudare l’innominabile: i fondamentali che si celano nello spettacolo: vero e proprio φάρμακον che ha in sé il rimedio e non solo il veleno: basta saperlo vedere: Carmine lo vede e ce lo mostra.
Cap. 3
FILOSOFIA E GIOCO
http://www.popsophia.it/it/blog/art/591-la-filosofia-del-calcio-se-la-filosofia-d-un-calcio-in-paradiso-un-articolo-di-pietro-gibellini/
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LA FILOSOFIA DEL CALCIO: “Se la filosofia dà un calcio in paradiso”, un articolo di Pietro Gibellini
Data pubblicazione: 14/04/2013
Riportiamo, a mo' di riflessione aggiuntiva e preparativa dell'incontro di martedì prossimo al teatro dei Dioscuri a Roma, un articolo di Pietro Gibellini pubblicato l'8 luglio del 2010 su Avvenire e intitolato “Se la filosofia dà un calcio in paradiso”.
Si tratta di una attenta riflessione critica sul saggio “La filosofia del calcio” del filosofo Bernhard Werte. Buona lettura.
Commenti dei lettori
1 commenti presenti
• gpdimonderose https://frame-frames.blogspot.com
29-06-2013 08:33 - #1
gpdimonderose https://frame-frames.blogspot.com
L'essere-corpo-animato non si presenta mai al pensiero quale ente sussumibile nella razionalità perché c'è sempre un dispiegamento, quasi un “chaos” abissale ove è indeterminata ogni capacità di logica, razionalità.
C'è il dispiegarsi di un essere-corpo che non potrà mai essere compreso dal pensiero metafisico.
E' necessario pensare quell'essere ancora nascosto all'interno dell'essere-animato: questo quasi fosse un “chaos”, non ha trovato forme stabili di rappresentazione di ordine simbolico giacché essa non può essere mai formalizzata né simbologizzata, essa è sempre caotica, imprevedibile, in conflitto con sé e con il mondo.
Una differente visione dell'essere-corpo, è rimasta occultata ed appare sul terreno del gioco.
L'agonismo sembra voglia svelare una dimensione dell'essere che è rimasta occultata.
Forse all'interno dell'ontologia del gioco è presente un quid che ha prodotto due paradigmi differenti: quella prevalente, fuori del gioco: ove è essenziale distruggere l'e...