Pomeriggio
Salvo Serra apparve alla fine della mattinata, mentre il maresciallo Gargiulo stava facendo il punto della situazione con Veneruso sul terrazzo di villa Grettau.
Serra si sedette in un angolo sotto il pergolato e guardò il suo capo con l’aria del peccatore pentito: perdonatemi, commissa’.
«Per carità, io faccio solo quello che mi dite di fare...» stava dicendo Gargiulo. «Ordinate e io eseguo!»
«Questa notte, allora, qualcuno deve dormire in casa delle signore Cimmino.» Veneruso guardò Serra. «Non il mio agente, né io: o voi, maresciallo, o il vostro attendente.»
«Possiamo farlo entrambi: io dentro, su una poltrona, e Peppe Caiazzo fuori, come vedetta. Che ne dite?»
«Dico solo che avremmo dovuto farlo già questa notte» sussurrò Veneruso. «Forse Camilla si sarebbe salvata.»
Gargiulo allargò le braccia, come per giustificarsi.
Nessuno dei due parlò per qualche istante.
Il commissario girò la testa verso il panorama. Nel cielo le nubi grigie vorticavano intorno a quelle bianche in una strana danza tra nembi.
«E avete novità da villa Serdàn?» chiese all’improvviso.
«Il mio attendente è andato a vedere, ma la casa è chiusa.»
«Nessuno apre?»
«No.»
«E non potete sfondare?»
«La porta della villa del conte Serdàn?» Il maresciallo lo guardò turbato. «Si vede che non lo conoscete.»
«No, non lo conosco: chi è?»
«È un nobile francese, di Parigi: un suo avo è stato amante di Maria Antonietta...»
Veneruso lo guardò impassibile: Maria Antonietta? E chi cazz’era?
«Il nonno fondò le acciaierie più importanti di Francia, commissa’» continuò Gargiulo, come per fargli capire che la cosa era grossa. «E da qualche anno si è trasferito qui sull’isola: ha fatto costruire villa Serdàn e vive nel lusso e nella pace.»
«E quindi?»
«E quindi è più ricco di tutti gli abitanti di Capri sommati assieme e moltiplicati per due o per tre.»
«E per questo non possiamo sfondare la porta?»
«Non senza un valido motivo, commissa’...»
«Io lì, ieri, ho visto il Famigliuolo, e il Famigliuolo, per me, è un valido motivo, maresciallo!»
Veneruso era esterrefatto: non che a Napoli le indagini fossero sempre perfette... Però lì sembrava quasi che la cattura dell’assassino potesse compiersi per autodeterminazione, senza l’aiuto umano.
«Andrò a vedere io stesso, oggi, in villa Serdàn.» Gargiulo fece un frettoloso saluto militare e si allontanò di qualche passo, portandosi dietro il profumo di fiori che lo avvolgeva costantemente. «Ma non fatemi sfondare niente...»
Veneruso non gli rispose: però c’era qualcosa di strano anche nell’atteggiamento del carabiniere. Perché non concentrava le energie sulla ricerca di Augusto Famigliuolo?
«Capri» sussurrò, come se quel nome potesse giustificare ogni cosa.
Il carabiniere scese la scalinata che conduceva al giardino e scomparve tra i cespugli oltre la strada.
Il commissario si girò finalmente verso Serra, che aspettava preoccupato e immobile nell’angolo più remoto del terrazzo.
«Da dove spunti fuori, tu?» La rabbia era passata: adesso quasi gli faceva piacere trovarselo di fronte. Si sedette sulla sdraio e lo fissò. «Tu non stai bene, Serra: hai il sangue infettato dalla perversione...»
«Perdonatemi, commissario.» Alzò entrambe le mani. «Ma non ho resistito: era bella e pure disponibile...»
«E che siamo, animali? Bestie? Asini?»
Serra non disse nulla, forse avrebbe voluto assentire, Sì: asini, bestie e animali.
«Che poliziotto sei?» Veneruso alzò la voce. «La schifezza della schifezza dei poliziotti?»
«Lo so, commissa’: me lo ripetete sempre...»
«Sei una ciofeca di poliziotto, Salvo Serra!»
L’urlo roco del commissario echeggiò tra le piante che circondavano la villa, ma senza energia, stanco e già sfiduciato: doveroso più che incazzato.
«Ho incontrato una persona, commissa’» disse dopo un attimo l’agente. «Una donna...»
«Che fai, vuoi cambiare argomento?» Veneruso scosse la testa. «Mi prendi pure pe’ scemo?»
«Tanto poi la collera vi passa, commissa’.» Serra cercò di essere ragionevole. «Passa sempre: io vi conosco...»
«Chi?» Veneruso gli fece un gesto frettoloso con la mano. «Avanti, chi hai incontrato?»
«Una signora austriaca: bella, bionda ed elegante. Mi ha chiesto di voi.»
«Di me?»
«Dice di avervi incontrato sul piroscafo, si chiama Caterina Sofia Von Qualcosa...»
«Ah, sì, forse ho capito di chi parli» disse Veneruso. Se la ricordava perfettamente, eccome. «E allora? Quando l’hai vista?»
«In piazza: mi ha riconosciuto come vostro assistente» continuò Serra. «E mi ha chiesto di voi.»
«E tu?»
«E io le ho detto che voi eravate molto impegnato.»
«E lei?»
«E lei ha detto che vi voleva parlare.»
«E tu?»
«E io le ho detto che avrei riferito...»
«E lei?»
«Vi aspetta stasera, al Quisisana.»
«Questa sera?»
«Così ha detto, commissa’.» Serra stava per fargli quasi l’occhiolino. «Bella donna: di classe e moderna, e senza tanti pentimenti. Voi che ne pensate?»
«Ma fammi il piacere!» Veneruso fece un gesto altezzoso col braccio: Ne devi fare di strada, Serra... «Non ci ho il tempo di incontrare le signore straniere, io!»
E poi perché incontrarla? Possibile che una donna così raffinata fosse interessata proprio a lui? A lui? Con tutta la gente che c’era sull’isola? Certo che no... Eppure da due giorni lo cercava e lo guardava, lo seguiva, lo incontrava, gli mandava messaggi, gli dava appuntamento... Probabilmente aveva solo bisogno di aiuto.
«Hai scoperto qualcosa durante la notte, almeno?» chiese all’improvviso a Serra.
«In che senso?»
«La Mascolo ti ha dato qualche informazione utile?»
«Nulla, commissa’: non abbiamo parlato tanto. Questa mattina però mi sono sentito assai male.» Serra lo guardò con aria sconsolata. «Me ne sono andato in riva al mare, alla marina piccola, e ho pensato che era tutta colpa mia...»
Il commissario non disse nulla, anche lui si sentiva in colpa per non aver fatto nulla.
Per non pensare guardò il panorama, il cielo: le nuvole iniziavano a diradarsi lentamente. Forse domani sarebbe riapparso l’azzurro del sacrosanto firmamento. Sporgendosi un po’ sulla destra riusciva a distinguere un monticello e dietro un ampio arco fatto di roccia naturale, e colline, sentieri, scalinate, caverne, sassi e vegetazione, e infine il panorama: il mare, il Vesuvio e Napoli.
C’era da impazzire, pensò Veneruso.
«Vi piace, commissa’?»
«Che?»
«L’isola.»
«Affatto» rispose, poi chiuse gli occhi.
Prima era stata ammazzata Fortunata, dopo aver litigato con la sorella Camilla per questioni di natura sessuale. Per tutto il giorno precedente Famigliuolo, il marito della sorella Teresa, non si era visto in casa, però lui lo aveva notato vicino a villa Serdàn. Poi era stata ammazzata anche Camilla, alla stessa maniera: nessuno aveva visto o sentito nulla. Dormivano tutti, compreso lui e il suo agente Serra.
Cos’altro aveva? Niente: strani rapporti familiari, strane abitudini del padrone di casa, un maggiordomo ambiguo, una cameriera zoccola, e poi?
Niente.
Un’isola stravagante piena di gente balorda, due carabinieri inesperti, un medico viscido, un torinese pieno di cicatrici e tanti forestieri ricchi e viziati che venivano a Capri come se Capri fosse il polo magnetico della libertà europea.
«Libertà!» borbottò guardando i terrazzamenti illuminati dalla luce bianca del tardo mattino. «Fa rima con stupidità...»
Certe volte.
«Io me ne sono andato in giro per l’isola, commissa’» disse poi l’agente Serra. «Dalla spiaggia di marina piccola ho fatto un lungo sentiero in salita che mi ha portato fin qui, e mi sono guardato in giro: ho visto anche il maggiordomo di casa, quell’Acitillo Gennaro.»
«Che faceva?»
«Era seduto su un muro a strapiombo e guardava il mare, e piangeva.»
«Piangeva?»
«Ho avuto perfino paura che volesse buttarsi giù.»
«Non si è buttato.»
«No. Piangeva, però, e leggeva, commissa’.»
«Leggeva?»
Veneruso non attese la risposta: si sollevò in piedi.
Di fronte a lui stava avanzando Cosimo Zapatano, l’ex brigante, lo scopo principale della sua missione sull’isola.
Se l’era quasi dimenticato.