Netley Cottage, Biddington, Dorsetshire, 1818
«Non hai intenzione di sposarmi?» ripeté incredula Miss Talbot.
«Temo di no» rispose Mr Charles Linfield, con espressione sostenuta, come una specie di smorfia di scuse, del genere che si usa per confessare di non poter partecipare alla festa di compleanno di un amico, più che di voler mettere fine a un fidanzamento di due anni.
Kitty lo fissava, senza capire. Katherine Talbot – Kitty per la famiglia e i conoscenti più stretti – non era abituata a non capire. Al contrario, era nota in famiglia, e in generale a Biddington, per la sua mente acuta e il suo spiccato senso pratico. In quel momento, però, si sentiva alquanto interdetta. Lei e Charles dovevano sposarsi. Lo sapeva da anni, e adesso non sarebbe successo? Che cosa avrebbe dovuto dire, che cosa avrebbe dovuto provare di fronte a una notizia del genere? Era cambiato tutto. Eppure Charles appariva sempre lo stesso, portava gli abiti che lei gli aveva visto già migliaia di volte, con quello stile un po’ trasandato che è consentito solo alle persone facoltose: un panciotto dal ricamo elaborato abbottonato male, una cravatta sgargiante che sembrava appallottolata più che annodata. Almeno si sarebbe potuto vestire per l’occasione, pensò fissando l’orribile cravatta con un crescente senso di indignazione.
Un po’ della collera doveva essere affiorata sul suo viso, perché tutto a un tratto Charles sostituì quella insopportabile aria di dispiaciuta condiscendenza con il broncio di uno scolaretto.
«Senti, non c’è bisogno di guardarmi così» sbottò. «In fondo non eravamo mai stati ufficialmente promessi l’uno all’altra.»
«Ufficialmente promessi?» Lo spirito battagliero di Kitty tornò con impeto e lei si rese conto di essere davvero furibonda. Che razza di incorreggibile farabutto. «Negli ultimi due anni abbiamo parlato continuamente di matrimonio. Se abbiamo ritardato così tanto è stato a causa della morte di mia madre e delle cattive condizioni di salute di mio padre! Me lo avevi promesso... Mi hai promesso tante cose.»
«Erano solo promesse infantili» tentò di difendersi lui, per poi aggiungere testardo: «e non potevo certo tirarmi indietro quando tuo padre era tra la vita e la morte. Non sarebbe stato affatto appropriato».
«Oh, invece adesso che è morto – e sepolto da meno di un mese – suppongo che tu ritenga adeguato mollarmi. Credi davvero che faccia tutta questa differenza?» esclamò piena di collera.
Lui si passò una mano tra i capelli, gettando un’occhiata furtiva verso la porta.
«Senti, non ha senso discutere quando sei in questo stato» dichiarò, assumendo il tono di un uomo profondamente esasperato giunto al limite della pazienza. «Forse dovrei andarmene.»
«Andartene? Non ti permetto di fare un annuncio del genere senza dare spiegazioni. Ci siamo visti giusto la settimana scorsa e abbiamo parlato di sposarci a maggio, ovvero tra meno di tre mesi.»
«Forse avrei fatto meglio a scriverti una lettera» disse tra sé, lanciando un’altra occhiata anelante alla porta. «Mary diceva che questo sarebbe stato il modo migliore per farlo, ma continuo a ritenere che una lettera sarebbe stata più semplice. Non riesco a pensare lucidamente se mi urli addosso.»
Kitty archiviò per un momento le molte contrarietà e, con l’infallibile fiuto di una vera cacciatrice, si concentrò soltanto sull’informazione saliente.
«Mary?» chiese aspra. «Mary Spencer? Santo cielo, che cosa c’entra con tutto questo Miss Spencer? Non sapevo che fosse tornata a Biddington.»
«Ah, sì, sì, ecco, in effetti è tornata» balbettò confuso Mr Linfield, mentre la fronte gli si imperlava di sudore. «Mia madre l’ha invitata a stare da noi per qualche tempo. Alle mie sorelle fa tanto piacere stringere altre conoscenze femminili.»
«E hai parlato con Miss Spencer della fine del nostro fidanzamento?»
«Ehm, sì, ecco, si è mostrata così comprensiva riguardo alla situazione – alla situazione di entrambi – e devo ammettere che mi ha fatto bene poterne... parlare con qualcuno.»
Un attimo di silenzio. E poi, quasi casualmente: «Mr Linfield, avete intenzione di chiedere la mano di Miss Spencer?».
«No! Ecco, volevo dire... abbiamo già... allora ho pensato che fosse meglio... venire qui...»
«Capisco» disse Miss Talbot, ed era la verità. «Molto bene, suppongo di dovervi ringraziare per la vostra sincerità, Mr Linfield. È proprio un comportamento encomiabile, chiedere la mano a una donna mentre si è già fidanzati con un’altra. I miei complimenti, davvero.»
«Ecco, questo è il tuo solito modo di fare!» si lamentò Mr Linfield, dando finalmente mostra di un pizzico di coraggio. «Rigiri le cose fino a confonderle del tutto. Non hai pensato che forse volevo salvaguardare i tuoi sentimenti? Che non volevo essere costretto a dirti la verità? Se voglio fare carriera in politica non posso certo sposare una come te.»
Il suo tono sarcastico la ferì. «E questo che cosa starebbe a significare?» chiese.
Lui allargò le braccia come se volesse invitarla a guardarsi intorno. Kitty non lo fece. Sapeva quello che avrebbe visto, perché conosceva quella stanza da una vita: le poltrone logore raccolte intorno al camino in cerca di calore, il tappeto in origine elegante e adesso liso e tarmato, le mensole un tempo piene di libri e ora vuote.
«Anche se abitiamo nella stessa città, proveniamo da mondi diversi.» Agitò di nuovo le mani intorno a sé. «Io sono il figlio del possidente locale! E la mamma e Miss Spencer mi hanno aiutato a capire che non posso permettermi una mésalliance se voglio farmi un nome.»
Kitty non aveva mai sentito tanto chiaramente il battito del proprio cuore, che le tambureggiava assordante nelle orecchie. Lui la considerava una mésalliance?
«Mr Linfield» disse pacata ma con determinazione, «vorrei che non ci fossero bugie tra di noi. Non avevate alcuna perplessità riguardo al nostro fidanzamento finché non avete incontrato di nuovo la graziosa Miss Spencer. E vi definite il figlio del possidente locale. Ma fatemi il favore! Non mi sarei mai aspettata dalla vostra famiglia che tollerasse una condotta così poco aristocratica. Forse dovrei rallegrarmi del fatto che avete manifestato fino in fondo quanto siete disonorevole prima che fosse troppo tardi.»
Assestò ogni colpo con la precisione e la forza dei pugni di Gentleman Jackson, e Charles, ora e per sempre Mr Linfield, barcollò all’indietro.
«Come puoi dire una cosa del genere?» chiese attonito. «Non sono affatto disonorevole. Hai frainteso tutto, sei in preda all’isteria.» Mr Linfield sudava copiosamente e si agitava a disagio. «Io desidero continuare a essere tuo amico, ma devi capire, Kit...»
«Miss Talbot» lo corresse lei con gelida educazione. Sentiva risuonare dentro di sé un urlo di rabbia, ma lo trattenne e indicò con un gesto brusco la porta. «Mi perdonerete, se vi chiedo di andarvene, Mr Linfield.»
Dopo un fugace inchino, lui fuggì più che volentieri, senza voltarsi indietro.
Kitty rimase immobile per qualche momento, trattenendo il fiato come se volesse impedire a quella disgrazia di espandersi oltre. Poi andò alla finestra, che era inondata dal sole del mattino, appoggiò la fronte contro il vetro e soffiò fuori l’aria lentamente. Da lì si godeva una vista ininterrotta sul giardino: i primi narcisi in boccio, la parte destinata all’orto, ancora piena di erbacce, e le galline che razzolavano libere alla ricerca di larve. La vita fuori continuava mentre, da questo lato del vetro, la devastazione era totale.
Erano sole. Completamente sole, adesso, senza nessuno a cui rivolgersi. Mamma e papà se n’erano andati e in quell’ora di estremo bisogno, quando avrebbe desiderato più che mai chiedere loro consiglio, non poteva farlo. Non era rimasto nessuno a cui appoggiarsi. Il panico iniziò a impossessarsi di lei. Che cosa avrebbe dovuto fare adesso?
Sarebbe rimasta in quella posizione per ore, se non fosse stata interrotta dalla più piccola delle sue sorelle, Jane, di dieci anni, che pochi minuti dopo piombò nella stanza con l’aria solenne di un messaggero reale.
«Kitty, dov’è il libro di Cecily?» chiese in tono d’accusa.
«Ieri era in cucina» rispose Kitty senza distogliere lo sguardo dal giardino. Quel pomeriggio avrebbero dovuto strappare le erbacce dall’aiuola dei carciofi, era quasi arrivato il momento di piantarli di nuovo. Sentì distrattamente Jane riferire a gran voce il messaggio a Cecily.
«Lo abbiamo cercato lì» fu la risposta.
«Allora cercatelo di nuovo.» Kitty la congedò con un cenno impaziente della mano.
La porta si aprì e si richiuse con un tonfo. «Dice che non c’è e che se lo hai venduto si arrabbierà molto, perché era un regalo del vicario.»
«Oh, per amor del cielo» sbottò Kitty, «puoi dire a Cecily che non ho tempo di cercare il suo stupido libro del vicario perché sono stata appena piantata e ho bisogno di qualche istante per riprendermi, se non è chiedere troppo!»
Appena Jane ebbe riferito questo insolito messaggio a Cecily, tutti gli abitanti della casa – le quattro sorelle di Kitty e il cane Bramble – si affollarono nel salottino riempiendolo all’istante con il loro vociare.
«Kitty, cos’è questa storia che Mr Linfield ti ha lasciata? L’ha fatto davvero?»
«A me non è mai piaciuto, mi accarezzava sulla testa come se fossi una bambina piccola.»
«Il mio libro non è in cucina.»
Kitty riferì in maniera succinta quanto accaduto, senza staccare la fronte dalla finestra. Le sue parole furono seguite dal silenzio, mentre le sue sorelle si scambiavano occhiate incerte. Dopo qualche istante Jane, che si stava annoiando, andò a sedersi al decrepito pianoforte e riempì il silenzio strimpellando un’allegra melodia. Non aveva mai preso lezioni, ma compensava la mancanza di talento musicale con il fervore e il volume.
«È terribile» disse infine sconvolta Beatrice che, a diciannove anni, era la sorella più vicina a Kitty per temperamento e per età. «Kitty cara, quanto mi dispiace. Avrai il cuore spezzato.»
Kitty girò la testa di scatto. «Il cuore spezzato? Beatrice, non è questo il punto. Senza il matrimonio con Mr Linfield siamo rovinate. Anche se ci hanno lasciato la casa, papà e mamma hanno lasciato anche una mole esorbitante di debiti. Contavo sulla ricchezza di Linfield per tirarci fuori dai guai.»
«Volevi sposare Mr Linfield per la sua fortuna?» chiese Cecily con una nota di rimprovero nella voce. A diciott’anni era l’intellettuale della famiglia e le sorelle ritenevano che avesse un senso della morale esageratamente sviluppato.
«Be’, di certo non era per la sua integrità o il suo onore di gentiluomo» rispose amareggiata Kitty. «Rimpiango soltanto di non essermene accorta prima. Non avremmo dovuto rimandare il matrimonio dopo la morte della mamma; sapevo che prolungare il fidanzamento significava attirarsi dei guai. E pensare che papà riteneva che fosse sconveniente!»
«Come stanno veramente le cose?» chiese Beatrice. Kitty la guardò in silenzio per qualche istante. Come fare a dirglielo? Come spiegare ciò che stava per succedere?
«La situazione è... grave» rispose cauta. «Papà aveva acceso un’altra ipoteca sulla casa con gente poco raccomandabile. Con il ricavato da ciò che ho venduto – i nostri libri, l’argenteria, una parte dei gioielli della mamma – sono riuscita a tenerli a bada per un po’, ma il primo giugno torneranno qui. Mancano meno di quattro mesi. E se non avremo i soldi necessari, o una prova che siamo in grado di pagarli, allora...»
«... ce ne dovremo andare? Ma questa è casa nostra.» Il labbro di Harriet iniziò a tremare. Era la più giovane dopo Jane, ma era rimasta più infantile della sorella, che se non altro aveva smesso di suonare e stava seduta in silenzio sullo sgabello a osservare la scena.
Kitty non se la sentì di dire loro che non si trattava solo di lasciare la casa. Sarebbe stato molto peggio. La vendita di Netley Cottage sarebbe bastata giusto per estinguere il debito, lasciandole senza mezzi di sostentamento. Non avendo un posto dove andare e nessuna fonte di guadagno, il futuro per loro si presentava quanto mai cupo. L’unica soluzione, ovviamente, sarebbe stata separarsi. Lei e Beatrice avrebbero potuto trovare un impiego a Salisbury, o in una delle città dei dintorni, magari come domestiche – o cameriere, a essere fortunate. Quanto a Cecily, Kitty non riusciva proprio a immaginare che accettasse o fosse in grado di lavorare per qualcuno, ma con la sua istruzione avrebbe forse potuto provare in una scuola. Harriet – oh, Harriet era così giovane – avrebbe dovuto fare lo stesso. In un modo o nell’altro avrebbe ottenuto vitto e alloggio. E Jane... Mrs Palmer, che abitava in città, nonostante il suo caratteraccio, aveva sempre nutrito una specie di attaccamento per Jane. Forse l’avrebbero convinta a prenderla con sé finché non fosse stata abbastanza grande da trovare a sua volta un lavoro.
Kitty provò a immaginare tutte loro, le sue sorelle, separate e disperse ai quattro angoli del mondo. Sarebbero mai tornate tutte insieme come adesso? E se le cose fossero andate addirittura peggio di quella già catastrofica previsione? Le si affacciarono alla mente le immagini di ciascuna di loro, sole, affamate e disperate. Kitty non aveva ancora versato nemmeno una lacrima per Mr Linfield – non valeva la pena sprecarle per lui –, ma adesso si sentì salire un doloroso groppo in gola. Avevano già perso così tanto. Era toccato a Kitty spiegare alle altre che la mamma non sarebbe guarita. Era stata lei a informarle della dipartita del padre. Come avrebbe fatto adesso a dire loro che il peggio doveva ancora arrivare? Non sapeva dove trovare le parole. Kitty non era come sua madre, che riusciva a creare sicurezze dal nulla come per magia, né come suo padre, che era sempre capace di sostenere, con incrollabile fiducia, che le cose andavano bene. No, Kitty era quella che trovava soluzioni ai ...