1. L’ideologia dell’infosfera
1. Un «massive information process»
L’immagine più diffusa con la quale il mondo tendeva a concepire se stesso prima della pandemia, e attraverso la quale verosimilmente tornerà a pensarsi ancor di più superata la pandemia, è quella che può sintetizzarsi nel brutto termine di infosfera. L’infosfera è la concezione del mondo come scambio e messa in rete continua di informazioni, più precisamente come un luogo unificato e globalizzato da un processo permanente di accumulazione, calcolo e trasmissione di informazioni.
Tale rappresentazione per la quale il mondo fisico, naturale, materiale viene a essere sempre più attraversato, abitato e dominato da una cosiddetta «società della conoscenza», trova ovviamente il suo fondamento nella diffusione gigantesca delle macchine informatiche, dei computer, e della crescita esponenziale del loro potere computazionale, della loro capacità cioè di immagazzinare, confrontare, elaborare e calcolare informazioni. Tale capacità enorme di «processare», resa ormai esterna e indipendente dalla mente umana (inaugurata e messa in opera dalla geniale macchina di Turing), concluderebbe, si afferma, una dimensione antropologica del conoscere, fondata sulla centralità della mente umana, per inaugurare un tipo di sapere che dipenderà sempre più da dispositivi automatici, da intelligenze e memorie artificiali, in grado di produrre metodologie di ricerca e interpretazioni di ogni aspetto del mondo e della vita.
Un autore che, civettando con Hegel, ha scritto che ci muoviamo in uno spazio-tempo in cui è sempre più vero dire che «ciò che è reale è informazionale e che ciò che è informazionale è reale» ha potuto coniare anche il termine di iperstoria per descrivere l’ingresso dell’umanità in una forma di vita in cui la maggior parte dei beni e della ricchezza economica sarà costituita da beni intangibili, prodotti attraverso l’accumulazione e l’uso di informazioni, di contro ai beni materiali, esiti di processi di lavoro agricoli o manifatturieri, che hanno caratterizzato il lungo percorso della storia del genere umano dalla sua uscita dalla preistoria fino a oggi.
Per altro va detto che solo una inammissibile cecità potrebbe negare la profondità della trasformazione che l’intera umanità sta vivendo oggi con il nuovo sistema di codificazione e di trasmissione delle informazioni legato al digitale, ossia un sistema di matematizzazione che consente di tradurre i linguaggi storico-naturali in segni di formalizzazione matematica, calcolabili a una velocità enorme rispetto alle capacità delle mente umana.
La potenza civilizzatrice delle tecniche di grafia e di comunicazione linguistica è sempre stata fondamentale e imprescindibile nella storia dell’umanità. Si pensi al peso dell’invenzione della scrittura alfabetica e alla possibilità di tradurre la varietà numerosissima delle immagini pittografiche, che rappresentavano direttamente l’oggetto e non il suono, nei pochissimi segni dell’alfabeto: con la conseguenza di un sapere che cessava di essere monopolio dei pochi, anzi dei pochissimi, per essere invece oggetto di una tecnica di codificazione e di trasmissione accessibile a un numero assai più ampio. In tale prospettiva si pensi anche all’invenzione della stampa e al passaggio da una scrittura amanuense a una scrittura a caratteri mobili con l’enorme diffusione del libro che ne è derivata.
Oggi, con la tecnica digitale e i nuovi linguaggi alfanumerici, siamo in una condizione tendenziale per cui l’intera umanità potrebbe comunicare con se medesima e con la propria memoria, in uno scambio sempre più globale e accelerato di informazioni. Per dire insomma che, ben lungi dal cadere in improponibili arcaismi e regressioni culturali, dobbiamo tutti essere all’altezza della problematica civilizzatrice che le nuove tecniche informatiche ci aprono e delle progressive ed emancipative possibilità di uso che i nuovi strumenti ci offrono.
Ma questa possibilità di una unificazione del genere umano va accolta come un’idea, nel senso peculiare di idea-limite affidato da Kant a questo termine, cioè un’immagine utopica e terminale della storia: non già realtà del nostro presente, ma valore verso cui mirare e tendere in un infinito approssimarsi a esso. Perché la visione effettiva del nostro presente offre un panorama di ...