Evoluzione culturale
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Evoluzione culturale

  1. 144 pagine
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Evoluzione culturale

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Uno dei punti di forza del lavoro di Luigi Luca Cavalli-Sforza, annoverato tra i più importanti genetisti a livello mondiale, è l'abbraccio multidisciplinare che ha innervato il suo approccio alla ricerca scientifica. Gli studi sull'evoluzione biologica di Homo sapiens e sulla genetica delle popolazioni, di cui è stato un pioniere, non avrebbero avuto la stessa dirompente carica innovativa se non fossero stati letteralmente nutriti dai fondamentali apporti dell'antropologia, della linguistica, dell'archeologia, della storia demografica.Questo sguardo trasversale trova compimento in una delle intuizioni più felici e raffinate di Cavalli-Sforza: il concetto di evoluzione culturale, una lettura dello sviluppo culturale degli ultimi 60.000 anni dell'uomo fatta con la lente della teoria dell'evoluzione darwiniana. Le pagine di Cavalli-Sforza, introdotte da Telmo Pievani, brillano per chiarezza espositiva, profondità del pensiero e curiosità intellettuale. Sono un inno all'uomo e alla sua storia.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2019
ISBN
9788812007684

GLI INTRECCI TRA BIOLOGIA E CULTURA, A PARTIRE DA LUIGI LUCA CAVALLI-SFORZA

di Telmo Pievani

Trent’anni fa, da Stanford un genetista italiano si apprestava a rinnovare la sua fama di pioniere. Negli anni Quaranta del Novecento aveva partecipato ai primi studi italiani sulla genetica del moscerino della frutta e poi alle prime scoperte sul sesso nei batteri, cioè lo scambio orizzontale di pacchetti di informazione genetica tra un batterio e l’altro, insieme a mostri sacri come Ronald A. Fisher, statistico e tra i fondatori della genetica delle popolazioni, e il microbiologo Joshua Lederberg, premio Nobel nel 1958 a soli trentatré anni. Poi era stato tra i primi a insegnare in Italia genetica umana, intuendo che i geni recano con sé non solo informazioni cruciali di valore medico, ma anche preziose tracce della storia umana profonda e degli antichi spostamenti di popolazioni.
Non contento, aveva gettato le basi tecniche delle analisi statistiche che oggi si usano in tutti i laboratori del mondo per ricostruire le filogenesi molecolari e computazionali degli esseri viventi. Insofferente tanto alle logiche quanto agli steccati accademici, aveva inaugurato un metodo di lavoro interdisciplinare che univa l’analisi dei gruppi sanguigni, la ricerca di marcatori genetici in popolazioni umane, i registri parrocchiali, la storia demografica, gli alberi genealogici, persino le distribuzioni di cognomi e toponomastiche. Dalla biologia alla cultura, appunto.
Nel 1971 aveva lasciato l’Italia per insegnare genetica delle popolazioni e delle migrazioni a Stanford, dove aveva assunto la guida di un programma di ricerca mondiale che mirava a ricostruire per via genetica l’albero genealogico dell’umanità. Oggi migliaia di studiosi lavorano sulle spalle di questo gigante. Le analisi sempre più raffinate sulla variabilità umana (prima sul Dna mitocondriale e sul cromosoma Y, poi sull’intero genoma) lo avevano portato a scoprire che la specie Homo sapiens ha avuto un’origine unica, africana e recente, confutando il vecchio modello che prevedeva centri multipli di origine graduale in differenti regioni. La sua idea, poi confermata e precisata, fu che una grande diaspora fuori dall’Africa aveva prodotto, circa 70-60.000 anni fa, il meraviglioso ventaglio delle popolazioni umane attuali e passate, diversificando i loro geni, ma anche le culture e le lingue del mondo. Siamo tutti parenti, tutti differenti, e tutti africani.
Di nuovo pioniere, alcuni anni prima, insieme al collega matematico e biologo di Stanford Marcus Feldman, aveva proposto e pubblicato per Princeton University Press anche l’originale teoria quantitativa della trasmissione culturale, alla quale la voce qui ripubblicata si ispira ampiamente. Fermiamoci. Cavalli-Sforza non avrebbe apprezzato un elenco dei suoi meriti come postfazione, ma avrebbe chiesto, mosso dall’insaziabile curiosità che lo pervadeva, di raccontargli che cosa era stato scoperto nei trent’anni che vennero dopo la sua voce enciclopedica. E così faremo.

GENI, LINGUE E CULTURE

Per apprezzare appieno l’attualità culturale e metodologica di questo testo del 1989, partiamo da un esempio specifico tratto da ricerche consolidatesi almeno vent’anni dopo la sua stesura. Uno dei momenti più emozionanti della vita scientifica è quando uno schema esplicativo, fondato su evidenze indipendenti di una certa disciplina, combacia con un altro, ottenuto da prove del tutto diverse in un differente campo. Sarà una semplice coincidenza fra due regolarità o il segno dell’esistenza di una struttura più profonda che non avevamo visto? Luigi Luca Cavalli-Sforza era un maestro in queste domande di ricerca e nei ragionamenti interdisciplinari conseguenti. Il caso in questione riguarda l’evoluzione linguistica come modello di evoluzione culturale.
Proprio grazie al suo lavoro apripista oggi sappiamo che gli alberi di parentela tra le popolazioni umane, ricostruiti attraverso le comparazioni genetiche, corrispondono abbastanza bene alle affinità tra le principali famiglie linguistiche, benché i due processi siano molto diversi.1 Gli idiomi non evolvono come le popolazioni biologiche, perché le innovazioni sono più rapide e i fattori socio-culturali (quando per esempio una lingua e una cultura di dominatori vengono imposte con la forza ai sottomessi, cioè da pochi a molti o da uno a molti) sono determinanti. Inoltre, la presunta maggiore o minore complessità di una lingua (ammesso che la si possa definire e quantificare) non ci dice quanto sia “primitiva”, perché i diversi gradi di articolazione pur esistenti sono legati a storie singolari delle lingue e non a gerarchie qualitative.
Ma se i meccanismi evolutivi sono così diversi perché i due alberi, uno genetico e l’altro culturale, sono tanto simili? Difficile stabilirlo, dato che le testimonianze scritte non vanno più indietro di poche migliaia di anni, ma possiamo ipotizzare che alcuni fattori comuni, fra i quali l’isolamento geografico, siano alla base delle corrispondenze. Memori di mai sopite diatribe, i genetisti ora si spingono raramente a ipotizzare una monogenesi delle lingue, benché qualsiasi modello ad albero genealogico dovrebbe prevedere il convergere, nel passato, verso uno o pochi antenati comuni. Molti linguisti restano perplessi su questo isomorfismo dei due alberi, ma proprio perché si tratta di processi così differenti è tanto più sorprendente che tale corrispondenza vi sia, come Cavalli-Sforza per primo mostrò.
In un articolo apparso su “Science” nell’aprile 2011, il biologo e statistico Quentin D. Atkinson dell’Università di Auckland in Nuova Zelanda riaccese la controversia mostrando che esisterebbe una corrispondenza tra il calo della diversità genetica che si riscontra nelle popolazioni umane allontanandosi dall’Africa (a riprova del fatto che tutti gli esseri umani attuali discendono da un ristretto manipolo di pionieri africani che poi, di piccolo gruppo in piccolo gruppo, si sono sparsi ovunque)2 e il calo della diversità dei fonemi nelle lingue parlate oggi in tutto il mondo.3 Anche il numero di fonemi diminuisce allontanandosi dall’Africa, in particolare dal Sudafrica, come se le lingue di quei piccoli gruppi si fossero diversificate nello stesso modo.
Secondo Atkinson il numero dei fonemi usati nelle lingue di tutto il mondo declina quindi progressivamente mano a mano che ci si allontana dal Sudafrica. Il biologo basa il suo approccio sull’ipotesi che la quantità dei fonemi – le unità di suono fondamentali che differenziano le parole – aumenti all’aumentare della popolazione di coloro che parlano una certa lingua, e viceversa.4 È prevedibile, quindi, che una piccola popolazione che si separa dal suo ceppo d’origine avrà una perdita di fonemi. Immerse in culture e relazioni di potere, le lingue mutano però rapidamente, acquisendo nuove varianti utili o scambiandole in orizzontale con altre lingue. Non si pensava dunque di trovare una regolarità geografica globale, e così antica. E invece, su un campione di 504 lingue, la diversità di fonemi è massima in Africa sudoccidentale e va declinando con gradualità allontanandosi, fino agli estremi opposti dell’Australia e delle Americhe. Si nota persino una diminuzione regolare tra Nord e Sud America.
Questo tipo di distribuzione ha oggi una spiegazione nota, che prende il nome di “effetto del fondatore in serie”: succede quando una popolazione si espande attraverso una sequenza di spostamenti di piccoli gruppi di pionieri, che giungono in un territorio, crescono demograficamente e poi irradiano nuovi manipoli di “esploratori”. Il fatto sorprendente è che questo pattern corrisponde a quanto avviene per la diversità genetica umana, che è massima nella stessa zona del continente africano e poi va scemando in modo proporzionale alla distanza percorsa da quell’area.5 E qui entra in scena il genetista italiano.

L’EFFETTO DEL FONDATORE IN SERIE

Una delle ultime intuizioni scientifiche di Cavalli-Sforza, risalente a una decina di anni fa, fu di rara eleganza. Scoprì che il processo di campionamento casuale della variabilità genetica, noto come “deriva genetica”, aveva lasciato una traccia limpida in tutti i genomi del pianeta, nonostante la bassissima variabilità genetica umana media (circa l’uno per mille del Dna).6 Tale variabilità, ancorché bassa, decresce appunto in modo progressivo mano a mano che ci si allontana geograficamente dall’Africa meridionale, probabile punto di partenza dell’ultima espansione globale che portò alla diffusione delle popolazioni di Homo sapiens attuali. La migrazione avveniva per tramite di piccoli gruppi umani che si staccavano dalla popolazione madre e fondavano un nuovo insediamento un po’ più lontano dall’Africa. Ogni volta l’effetto del fondatore lasciava un segno, diminuendo la variabilità genetica e sbilanciandola verso certe varianti a scapito di altre. Il risultato complessivo è che la riduzione di variabilità genetica e la distanza geografica dall’Africa, in virtù dell’effetto del fondatore in serie, si correlano fortemente. Tale risultato piaceva molto a Cavalli-Sforza, perché sul piano evoluzionistico mostrava come fenomeni casuali, quali la deriva genetica, potessero dare origine a schemi statisticamente molto eleganti e prevedibili.
Dunque sappiamo che tutti gli esseri umani attuali discendono da un ristretto gruppo africano iniziale e si diffusero poi nel Vecchio Mondo, in Australia e nelle Americhe per mezzo di piccole popolazioni che colonizzavano rapidamente nuovi spazi, perdendo ogni volta un po’ della loro diversità genetica a causa degli effetti di deriva genetica.7 Il picco di maggiore variabilità genetica umana si riscontra nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori khoi-san dell’Africa meridionale.8 Si presume che abbiano quindi avuto più tempo di tutti gli altri per accumularla. Sono loro i candidati a essere i discendenti diretti degli esseri umani che lasciarono l’Africa e diedero origine all’umanità attuale.
Gli alberi delle parentele genetiche e linguistiche hanno molti punti in comune: Atkinson, nel 2011, spinse il parallelo più in là, sostenendo che si tratta di un’evidenza quantitativa dell’origine del linguaggio umano moderno in Africa meridionale. Alcune lingue khoi-san, quelle con i cosiddetti “click” sul palato, hanno più di 100 fonemi. L’inglese ne ha 43-44. Alle Hawaii, una delle ultime propaggini del popolamento umano, sono 13.
Il risultato è interessante, ma prima di poter affermare che è stato scoperto l’equivalente scientifico della Torre di Babele ne corre, sia perché la monogenesi del linguaggio richiede prove assai più circostanziate, sia perché restano dubbi sulla scelta della varietà standard dell’inventario fonologico come base di calcolo (essa infatti cambia molto all’interno delle singole lingue). I fonemi non sembrano una buona base statistica per questi calcoli e altri gruppi di ricerca stanno intraprendendo strade diverse per verificare se la corrispondenza di Atkinson regge. Vi sono poi dubbi sul fatto che i fonemi siano entità discrete e numerabili, e che sussista una relazione così diretta tra la ricchezza fonologica di una lingua e le dimensioni della popolazione che la parla (esistono controesempi in tal senso). Ciò indebolirebbe l’assunto di partenza di Atkinson, e cioè che l’effetto del fondatore in serie produca gli stessi tracciati di impoverimento sia sulla dinamica genetica sia sulla dinamica fonetica.
Al netto di queste critiche, è importante rimarcare che la corrispondenza geni-fonemi non implica necessariamente, per essere spiegata, una relazione causale diretta e forte tra codifica genetica e lingue storiche. È una richiesta troppo esigente rispetto al significato della scoperta. La corrispondenza potrebbe essere dovuta, più debolmente e più semplicemente, a un’analogia nei meccanismi di diversificazione geografica, come Cavalli-Sforza proponeva appunto in questa voce enciclopedica del 1989. Il parallelo tra i due pattern dei geni e dei fonemi non è, quindi, una vuota analogia infalsificabile, perché si configura in partenza come una confutazione di ciò che ci aspetteremmo se le trasformazioni delle lingue fossero meramente casuali e se i due processi evolutivi, dei geni e delle lingue, fossero del tutto impermeabili. Pertanto, o i due pattern appaiati sono sbagliati per ragioni statistiche o si tratta di un’improbabile coincidenza fortuita oppure, se saranno confermati da altre indagini indipendenti, rivelano la probabile esistenza di una relazione tra i due processi storici. Per esempio, a parità di distanza geografica, le differenze linguistiche contribuiscono alla differenziazione genetica.9
Va precisato che non è detto che i cacciatori-raccoglitori sudafricani siano portatori solo delle varietà genetiche e linguistiche più antiche, come isolati relitti di un te...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. DEFINIZIONI DI CULTURA
  5. LA CULTURA TRA GLI ANIMALI
  6. MECCANISMI DELLA TRASMISSIONE CULTURALE
  7. CINETICA DELL’EVOLUZIONE CULTURALE
  8. FATTORI DI EVOLUZIONE CULTURALE
  9. DISTINZIONE FRA TRASMISSIONE GENETICA E TRASMISSIONE CULTURALE
  10. ESEMPI DI TRASMISSIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE NELL’UOMO
  11. INTERAZIONI FRA GENETICA E CULTURA
  12. BIBLIOGRAFIA
  13. GLI INTRECCI TRA BIOLOGIA E CULTURA, A PARTIRE DA LUIGI LUCA CAVALLI-SFORZA di Telmo Pievani