Il fantasma della memoria
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Il fantasma della memoria

Conversazioni con W.G. Sebald

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
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Il fantasma della memoria

Conversazioni con W.G. Sebald

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Informazioni sul libro

Autore di capolavori come Austerlitz, Gli anelli di Saturno e Vertigini, W.G. Sebald non ha mai indietreggiato dalla responsabilità di sentirsi parte di un popolo – quello tedesco – che egli riteneva avesse l'obbligo di farsi carico della memoria delle atrocità compiute. In questo testo Sebald racconta a chi sono ispirati i personaggi dei suoi libri, e ricorda l'infanzia trascorsa in Germania e la scelta di emigrare in Inghilterra. Attraverso una delicata raccolta di interviste e saggi, Lynne Sharon Schwartz ci propone uno sguardo attento e insieme affettuoso sulla profondità di uno dei maggiori scrittori della seconda metà del Novecento.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2019
ISBN
9788812007691

UNA CONVERSAZIONE CON W.G. SEBALD

di Joseph Cuomo
[Copyright © 2007 by Joseph Cuomo. Da un’intervista condotta il 13 marzo 2001, nel corso dei Queens College Evening Readings, poi successivamente trasmessa nel programma The Unblinking Eye, della Metro TV, e pubblicata con il titolo The Meaning of Coincidence: An Interview with Writer W.G. Sebald sull’edizione online del “New Yorker”. L’intervista viene qui pubblicata per la prima volta in versione integrale.]
JOSEPH CUOMO: A prima vista almeno, Gli anelli di Saturno è un viaggio percorso a piedi nella costa orientale inglese. Ma ogni tipo e specie di osservazioni e allusioni vanno e vengono dalla coscienza del narratore mentre cammina, o guarda il panorama dall’alto di una collina, o siede sul letto di una stanza d’albergo. E così insieme a lui andiamo incontro a una serie di cose del tutto diverse, dalle opere di sir Thomas Brown, a Joseph Conrad, a Borges, Swinburne, fino alla vita dell’Imperatrice Vedova. E questa potrebbe essere una descrizione accurata, tuttavia non restituisce affatto ciò che il libro è davvero, ciò che riesce a produrre. E credo che la difficoltà maggiore nel riuscire a spiegare che cosa sia questo testo stia nel fatto che lei qui sembra aver reinventato la forma narrativa. In effetti, il meccanismo narrativo del romanzo è virtualmente invisibile. Al punto che il lettore ne è del tutto inconsapevole mentre legge. Non pare esserci alcun meccanismo artificioso, nessun confine tra il lettore e l’esperienza della pagina. Un amico, ottimo scrittore, mi ha raccontato di come appena terminato di leggere Gli anelli di Saturno ha ricominciato da capo dalla prima pagina, perché ciò che gli era accaduto – insomma non aveva idea di come fosse potuto succedere. Mi stavo chiedendo come lei si fosse approcciato a questo aspetto durante la scrittura, all’idea cioè della forma narrativa. La struttura del libro è dovuta perlopiù alle sue libere associazioni inconsce? O è qualcosa che lei ha pianificato prima di iniziare a scrivere, e attuato in modo del tutto deliberato?
W.G. SEBALD: Non ricordo bene com’è andata. Avevo avuto l’idea stravagante di scrivere alcuni brevi saggi per gli inserti settimanali dei giornali tedeschi, in modo da potermi pagare le spese di un vagabondaggio di quindici giorni. Il piano era questo. Tuttavia, mentre camminavo continuavo a trovare cose. Credo sia uno dei vantaggi del camminare. È una delle ragioni per cui lo faccio così spesso. Si trovano oggetti abbandonati ai lati della strada, oppure una brochure in vendita in qualche minuscolo museo nel bel mezzo del nulla, scritto da qualche storico locale, che mai e poi mai avrei trovato a Londra. E lì scopri dettagli stravaganti che ti portano da qualche altra parte, e quindi è una forma di ricerca non sistematica, il che naturalmente per un accademico è ben poco ortodosso, perché si suppone che facciamo tutto ordinatamente. Neppure la mia tesi di dottorato è stata fatta sistematicamente. È andata costruendosi a caso, in modo del tutto fortuito. E più andavo avanti più mi rendevo conto che è solo così che si trova qualcosa, nello stesso modo, per dire, di un cane che passa in rassegna un prato. Se si osserva un cane che segue le informazioni del suo naso, si capisce che attraversa un pezzo di terra in modo del tutto erratico. E invariabilmente trova ciò che cerca. Credo di aver imparato da loro come si fa, perché ho sempre avuto un cane. (Il pubblico ride.) E così ora hai un po’ di materiale a disposizione, poco, ma pian piano va crescendo; una cosa porta a un’altra, e alla fine da tutto il materiale raccolto a casaccio nasce qualcosa. Ma siccome le cose sono andate componendosi a caso, serve uno sforzo di immaginazione dell’autore per creare una connessione tra esse. Se vai alla ricerca di cose che hai già trovato in precedenza è chiaro che sarà facile metterle insieme. Ma si uniranno in un modo ovvio, il che, in termini di scrittura, non presenta nulla di nuovo, o di molto produttivo. Quindi bisogna prendere materiali eterogenei per costringere il cervello a creare cose che non ha mai fatto prima. L’ho pensata così. Poi, naturalmente, la curiosità prende il sopravvento. Per esempio, tutta la faccenda dell’atroce guerra civile cinese nel XIX secolo, di cui sappiamo così poco in Occidente, e io personalmente non ne sapevo proprio nulla, l’ho trovata in un accenno su un opuscolo scritto, se ricordo bene, nel 1848. Era ancora in vendita lì, in quel posto sperduto, e raccontava di come quel minuscolo treno che attraversava la regione (sul fiume Blyth, in Inghilterra) era stato originariamente pensato per la corte dell’imperatore cinese, il che era un fatto alquanto bizzarro, del tutto erratico. E poi naturalmente uno si chiede quale imperatore, e si va a cercare sull’Enciclopedia Britannica, nell’edizione del 1911, e da lì si comincia a vagabondare per libri, insomma è così che si va avanti. Ed è la parte più piacevole del lavoro, scopri cose diverse, e ti sposti da un fatto straordinario a un altro. La scrittura vera e propria, naturalmente, è tutta un’altra storia. È tutto fuorché un’occupazione piacevole. (Il pubblico ride.)
JC: Il processo di scoperta, il cane nel prato, capita anche mentre lei sta scrivendo? Lei ha tracciato una distinzione tra le due cose, tra la ricerca e la scrittura…
WGS: Ogni tanto. Credo che quando scrivi, o fai altre cose del genere, c’è un momento in cui sai per certo di essere sulla buona strada. Non ci credi fino in fondo, ma sei più ottimista su ciò che stai facendo rispetto ad altre volte, e penso che sia meglio quando questa sensazione proviene dai lati, mentre sei lì seduto, a cercare di raddrizzare una pagina. E quando sta venendo bene, allora immagini e citazioni a cui non hai mai pensato da diciotto anni ti si offrono da sole, all’improvviso. E ho sempre visto che funziona in gran parte proprio così, che una volta messe in moto le ruote puoi star tranquillo che anche durante il processo di scrittura accadranno delle cose. Per esempio, l’ultima parte di questo libro (Gli anelli di Saturno) parla della seta, e quella sezione, a sua volta, termina con un certo numero di pagine dedicate alla cultura del lutto. E il giorno stesso in cui ho terminato di scrivere ho letto il “Times”, il quotidiano, e lì c’erano tutti gli eventi di cui avevo bisogno. Cose come l’elenco di ciò che era accaduto un certo giorno di 130 anni fa, o 220 anni fa. Ed erano perfetti per il testo, come se avessi scritto in attesa di arrivare proprio in quel punto. È stato abbastanza straordinario, ma succede proprio così alle volte, ed è molto gratificante quando accade.
JC: Il processo che lei descrive somiglia molto ai suoi romanzi: qualcosa di inspiegabile accade; non sappiamo davvero come o perché, ma sentiamo che quell’evento porta in sé un enorme significato.
WGS: Sì, credo che sia tutta questa faccenda delle coincidenze a essere così prominente nei miei romanzi. Spero non sia intrusiva. Ma, come sa, viene fuori nel mio primo libro, Vertigini, con una certa prominenza. Non prendo in seria considerazione le spiegazioni parapsicologiche, di qualsiasi genere e tipo, né credo alle teorie junghiane sull’argomento. Le trovo piuttosto tediose. Tuttavia, mi sembrano un’istanza che illustra come noi sentiamo il bisogno di dare un significato alla nostra esistenza senza senso. E così incontri qualcuno che ha la stessa data di nascita, le probabilità sono una su 365, non proprio una cosa impossibile. Ma se quella persona ti piace, allora quell’evento assume un significato più grande. (Il pubblico ride.) Ed è così che costruiamo. Penso a tutti i sistemi filosofici, alle credenze, alle nostre strutture, anche quelle tecnologiche, e tutte sono costruite allo stesso modo, nel tentativo di dare un senso, un significato alla nostra vita, che, come sappiamo, non ne ha nessuno. (Il pubblico ride.)
JC: Una cosa particolarmente significativa dei suoi libri è che lei non tenta mai di portare queste coincidenze verso uno scopo, il che è un po’ ciò che sta spiegando ora; i lettori non hanno mai la sensazione che queste coincidenze vengano artatamente manipolate per convogliare una certa idea di mondo, intendo dire che in molti romanzi pop contemporanei c’è un momento in cui si intuisce che «oh, siccome i nostri compleanni cadono nello stesso giorno, significa che dobbiamo restare per sempre insieme». O qualcosa del genere. C’è la tendenza a ridurre il mondo a un tema che diventa poi la prova evidente di sé. Ed è incredibile che lei abbia resistito a questa tentazione, romanzo dopo romanzo.
WGS: Be’, sì, renderebbe il mio lavoro molto comune. Tuttavia, un significato c’è. La prima sezione di Vertigini parla di Stendhal, e il capitolo, piuttosto breve, finisce con la morte di Stendhal in una certa strada di Parigi, strada che oggi si chiama rue Danielle Casanova. Non sapevo chi fosse Danielle Casanova, tranne che il nome Casanova aveva un suo ruolo all’interno del libro, ma non Danielle Casanova. L’estate successiva sono andato in Corsica, a camminare in montagna, e sono arrivato fino al villaggio costiero di Piana, e lì c’era una casa con una piccola targa, una targa in memoria di Danielle Casanova, uccisa dai miei compatrioti ad Auschwitz. Era una dentista, comunista, attiva nella resistenza francese. Sono passato davanti a quella casa tre o quattro volte, e sembrava sempre chiusa. Poi una volta ho fatto il giro completo, e sul retro della casa c’era sua sorella. E poi, insomma, ho parlato con lei per tutta la settimana. (Il pubblico ride.) Queste cose accadono davvero. Adesso ho tutti i suoi scritti, e non so bene cosa dovrei farne, ma… è una specie di legame. E se cose del genere capitano, allora possiamo credere che forse non si tratta di cose futili. Ci dà un senso di consolazione passeggero, a volte.
JC: Poco fa, dietro le quinte, parlavamo del suo primo libro scritto in tedesco, Secondo natura, che non è ancora stato pubblicato in inglese, e lei mi raccontava delle circostanze grazie a cui è uscito. Si è detto, citando lei come fonte, che è stato (il pittore del XVI secolo Matthias) Grünewald a indurla a scrivere, tuttavia oggi lei mi ha rivelato che in realtà è stato (Georg Wilhelm) Steller, che compare nella seconda parte del libro, a ispirarla, e che tutto è iniziato da una nota a piè di pagina.
WGS: Sì. Potrebbe essere di qualche interesse sapere come sono entrato in questa strana faccenda dello scrivere libri di questo tipo. Voglio dire, non ho mai avuto qualsivoglia ambizione di diventare uno scrittore. Ma verso la metà della mia vita mi sono sentito soffocato dal lavoro all’università, dalle necessità di fare tutte le altre cose che la vita ti richiede a una certa età, e sentivo il bisogno di una via di fuga. E questo sentimento ha coinciso all’epoca con la lettura di un libro di un autore tedesco semisconosciuto, Konrad Bayer, uno dei giovani surrealisti del dopoguerra che è stato oscurato dal celebre Gruppo 47, e che di conseguenza si è poi suicidato. Ha scritto soltanto un certo numero di opere piuttosto brevi, tra cui un libro dal titolo La testa di Vitus Bering, e lì, in una nota a piè di pagina, c’era un riferimento a un botanico e zoologo tedesco del XVIII secolo, Georg Wilhelm Steller, che per un caso fortuito ha le stesse mie iniziali (il pubblico ride), e che è nato in un luogo che mia madre ha visitato mentre era incinta, nel 1943, nel momento in cui stava andando da Bamberga, nel nord della Baviera, verso le Alpi, dove i suoi genitori si erano rifugiati a causa dei bombardamenti sempre più feroci. Non poteva passare da Norimberga, che sarebbe la via più breve, perché la città era stata attaccata quella stessa notte, ed era in fiamme. E così ha dovuto fare un giro più largo, e fermarsi a Windsheim, così si chiama quel posto, dove un suo amico possedeva una casa.
JC: Che è presente nel libro.
WGS: Sì, se ne fa menzione. Questa preoccupazione di creare qualcosa dal nulla, che è, in fondo, l’essenza della scrittura, mi ha portato fin qui. E quello che più mi piace di questo modo di scrivere è che cambiando la natura della scrittura, dalla monografia accademica a qualcosa di più indefinito, allora si può godere di una libertà completa, totale; mentre, come sappiamo, in veste di accademico tutti continuano a dirti: «No, non è corretto ciò che hai messo qui o lì. Non è preciso». Invece, così non ha nessuna importanza.
JC: C’è un tema nel suo lavoro che sembra sempre presente, da Secondo natura in poi. Lei dice:
Viviamo sul filo tra il mondo naturale da cui siamo spinti fuori, o da cui ci stiamo spingendo fuori da soli, e quell’altro mondo generato dalle nostre cellule cerebrali. E dunque chiaramente il confine dell’orrore corre attraverso un mascheramento fisico ed emotivo. Probabilmente nel punto in cui queste piattaforme tettoniche sfregano l’una contro l’altra, lì ha origine il dolore. […] E credo non ci sia modo di sfuggirle. […] E non ho, in effetti, questo grande desiderio di essere sollevato da quel peso.
Sembra che anche in Secondo natura, in particolare nel dipinto di Grünewald La Crocifissione, questo tema sia palpabile:
Quel collo torto nel terrore
che, onnipresente nelle figure
dipinte da Grünewald,
lascia scoperta la gola, e il volto
consegna spesso a una luce abbacinante,
è l’estrema risposta dei corpi
a una natura ignara d’equilibri,
che cieca compie, l’uno dopo l’altro,
esperimenti privi di costrutto
e, come insano bricoleur, ecco
distrugge quanto appena creato.1
Questa idea, questo tema, è qualcosa che le è venuto in mente mentre scriveva Secondo natura?
WGS: No, è una cosa a cui pensavo da molto tempo. E non so bene spiegarne il motivo. Ma credo che se lei fosse cresciuto come me, in un piccolo villaggio nelle Alpi, negli anni del dopoguerra, dove non c’erano auto, né macchinari di alcun genere che si possano definire tali, allora saprebbe ancora che cos’è il silenzio, vivere in una casa dove i suoni sono emessi dalla casa stessa che si contrae o si espande per il freddo, o il caldo. Non può sapere cosa vuol dire ascoltare il frigorifero che si accende e si spegne tutto il tempo, o sentire la televisione nell’altra stanza, o il riscaldamento che va avanti per i fatti suoi. Se si riprendesse tutto questo con una telecamera a circuito chiuso in una casa qui, nel Queens, be’, si potrebbe ben capire che poi uno ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prefazione. Un dialogo con un fantasma e l’apparizione dell’inconsapevole oca di Filippo Tuena
  5. Introduzione
  6. Il cacciatore di Tim Parks
  7. Cacciatore di fantasmi di Eleanor Wachtel
  8. Chi è W.G. Sebald? di Carole Angier
  9. Poema su un soggetto invisibile di Michael Silverblatt
  10. Una gelida stravaganza di Michael Hofmann
  11. Una conversazione con W.G. Sebald di Joseph Cuomo
  12. Anelli di fumo di Ruth Franklin
  13. La cospirazione del silenzio di Charles Simic
  14. Attraversare i confini di Arthur Lubow
  15. Ringraziamenti
  16. Gli autori
  17. Bibliografia essenziale