Paesaggi
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Una storia contemporanea

  1. 382 pagine
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Una storia contemporanea

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Nell'età dell'"onnipaesaggio" e della "babele paesaggistica", il percorso indicato da Emma Giammattei delinea con chiarezza l'evoluzione, dal primo Novecento a oggi, del concetto di paesaggio nelle rappresentazioni e nella legislazione, come nelle contiguità dei saperi e nelle opinioni della comunità nazionale: antidoto alla verbosa tematizzazione e all'uso mediatico di un'immagine perennemente illustrata e problematizzata. Il discorso sul paesaggio ormai fa da sfondo, di fatto, agli attentati all'ambiente, alla situazione climatica, alla crisi della Natura e di tutti gli spazi abitati da uomini, piante e animali. Nella stagione delle «cose quasi-ultime» – secondo una definizione pessimistica del presente – il libro si rivolge quindi a quei lettori attivi in cerca non già di ulteriori teorie, apologetiche o apocalittiche, ma di aggiornamenti concreti e di un approccio dialogico, al fine di ripensare insieme con nuova consapevolezza il da-fare comune che ci attende.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2020
ISBN
9788812007721
Categoria
Sociology

PARTE I

NATURA E ARTE

PAESAGGIO

Rosanna Tozzi
Arduino Colasanti
Luigi Parpagliolo
Da “Enciclopedia Italiana”, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1935.
Si chiama “paesaggio” in arte un dipinto che ha per oggetto gli aspetti campestri, la natura. Come tale si può dire che l’arte antica, fino all’età ellenistica, non abbia conosciuto il paesaggio: se infatti tanto l’arte egizia come l’assira, e in minor misura la greca arcaica e classica, hanno assai spesso rappresentato, talora diffusamente e con precisione di particolari, talora schematicamente con pochi elementi di carattere più indicativo che realistico, il luogo ove questa o quella scena si svolgeva, tale rappresentazione ha costituito normalmente un accessorio del quadro, non ha formato l’oggetto principale di questo. Vi sono casi tuttavia in cui questa rappresentazione è così ampia, e rivela un così acuto spirito di osservazione della natura che ben si può dire di avere qui i primi esempi di paesaggio: tali sono alcuni rilievi di Tell el-Amarna e alcune tavolette dipinte di Tebe, tali alcuni rilievi assiri provenienti dal palazzo di Sennacherib.
Un vivo senso della natura si palesa in alcuni frammenti di pittura cretese-micenea, rappresentanti piante e animali: ma il limitato orizzonte in cui sembra chiudersi la rappresentazione e la trasformazione che assai spesso la fantasia dell’artista fa subire alla realtà, vietano di porre queste fra le vere pitture di paesaggio. Nell’arte greca arcaica e classica l’elemento paesaggio ha un’importanza assolutamente secondaria, né è raro il caso che gli stessi luoghi in cui la scena si svolge vengano indicati anziché con la rappresentazione naturale e realistica di essi con la loro personificazione sotto figura umana o animale.
È l’arte ellenistica che per prima conosce il paesaggio: ma occorre subito dire che essa ha sempre considerato questo non come vera opera d’arte, ma come elemento di decorazione. La tradizione letteraria ci dà il nome di due pittori di paesaggio di quest’età, Demetrio e Serapione, e la testimonianza di Vitruvio c’induce a porre precisamente in essa l’origine di questo genere di pittura: una diretta derivazione di Paesaggi ellenistici, e tra i migliori esempi di essi, dobbiamo considerare le pitture della casa romana dell’Esquilino con scene dell’Odissea, ora conservate nella Biblioteca Vaticana. Sono quadri con ampie vedute di marine, in cui l’episodio mitico sembra avere un’importanza secondaria rispetto agli sfondi. Il paesaggio ellenistico è sempre un paesaggio lieto, sereno, idilliaco; vi si uniscono sovente elementi architettonici: tempietti, tombe, esedre ecc. Esso passa nella pittura decorativa romana, nella quale tuttavia vi si aggiunge la rappresentazione, di carattere più realistico, della villa in campagna o sul mare, o della città; sembra che a questa introduzione debba riferirsi il passo di Plinio relativo al pittore romano di età augustea Ludio. Infatti le vedute di ville e di città, che mancano nel secondo stile, si fanno invece frequenti nel terzo e nel quarto stile: con quest’ultimo prende gran voga, per il suo carattere esotico e pittoresco, il paesaggio egizio.
Rari sono gli esempi d’ispirazione classica nelle catacombe. Nel Medioevo, nell’arte bizantina subentra all’ideale naturalistico dell’arte ellenistica una concezione sempre più trascendentale; il paesaggio non scompare, ma, meno diffuso, risponde a nuovi principi di astrazione, come si vede nel mosaico absidale di Sant’Apollinare in Classe.
Fuori dalle astrazioni a intento simbolico e decorativo medievale il paesaggio ebbe nel Trecento aspetti di travisamento altamente lirico: semplice, austero in Giotto; elemento di suggestione fantastica decorativa-lineare nel Guido Riccio da Fogliano di Simone Martini; di efficacia narrativa negli Effetti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, inteso attraverso scomposizioni e intersezioni di piani e astrazioni lineari, che trovano rispondenza nei Paesaggi cinesi. La corrente internazionale della pittura gotica sulla fine del XIV secolo e al principio del XV diede nuovo sviluppo specialmente con i De Limbourg (Très riches heures di Chantilly), e preparò le visioni paesistiche dei Van Eyck, ampie e acute anche se analitiche.
Vi aderirono in Italia Gentile da Fabriano e il Pisanello. Poi, indipendentemente da quella corrente, in tutta la pittura italiana del Quattrocento – e prima nella fiorentina – il paesaggio ebbe importanza grandissima anche se studiato come sfondo di composizioni sacre e allegoriche: era parte essenziale della nuova concezione di spazio che informò la pittura italiana del XV secolo.
Effetti magici d’interpretazione del tutto moderna si trovano a Siena nel Sassetta, e di ancor più ardita stilizzazione in Giovanni di Paolo. A Firenze di volta in volta i paesi assumono interpretazione altamente lirica ed emotiva in Masaccio, prospetticamente cromatica in Paolo Uccello; spaziale e atmosferica in Piero della Francesca, lineare e astratta nel Botticelli, luminosa nel Pollaiolo, idilliaca in Piero di Cosimo. Nell’Umbria il paesaggio partecipa del carattere contemplativo mistico della composizione col Perugino, mentre è più studiato nei particolari dal Pinturicchio.
Nell’Italia settentrionale il Mantegna si compiace di visioni vulcaniche con monti scheggiati e colline ondulose, ma specialmente nella pittura veneta il paesaggio acquista importanza col Carpaccio, con Cima da Conegliano, e soprattutto con Giovanni Bellini, sia per le sue qualità emotive sia perché diventa base di sinfonie cromatiche ricche e morbide, nella nuova visione tonale.
Nei Paesi Bassi nei secoli XV e XVI, prima che altrove, il paesaggio fu coltivato come genere d’arte a sé e primi su tutti i fratelli Van Eyck; Gérard David e Hans Memling furono fra i loro migliori seguaci. Nel XVI secolo fiorirono Jan Mostaert, Joachim Patenier, Henri de Bles, Pieter Bruegel, Matteo e Paolo Bril, sentirono il bisogno di venire a studiare in Italia, i primi due senza perdere la vivacità del loro stile nazionale; il terzo intese maggiormente la spiritualizzazione dell’arte straniera che s’imponeva sulla realtà oggettiva del mondo sensibile.
La Germania alla fine del XV secolo è sotto l’influenza dei Fiamminghi, ma Albrecht Dürer conferì alla pittura di paese un’importanza eccezionale per la sua sensibilità, per il suo alto sentimento poetico, per l’ampiezza di vedute quasi moderne. Albrecht Altdorfer, Matthias Grünewald, i pittori della scuola del Danubio trasfigurarono fantasticamente il paese. In Italia nel XVI secolo il paesaggio raggiunge un nuovo grado di sviluppo in una visione nuova della natura organizzata e sintetica. Leonardo fu uno dei più degni interpreti della natura. Mediante il chiaroscuro staccò la presenza immediata degli oggetti da un fondo più vago nel quale le forme si dissolvono nei vapori atmosferici, suscitando impressioni di magiche irrealtà. I suoi seguaci, il Boltraffio, Cesare da Sesto, il Solario ristamparono le sue creazioni paesistiche togliendone l’essenza vitale; il Luini e il Sodoma furono dei piacevoli narratori. Non bene definita ancora l’opera paesistica del Bernazzano. Raffaello conferì un’intensità mai più raggiunta alla purezza atmosferica, alle profondità spaziali.
I fiorentini si mantennero più ligi alla tradizione quattrocentesca degli sfondi, ma qualcuno, come fra Bartolomeo e Andrea del Sarto, conferì a essi una più diretta importanza. Il Correggio fu il solo che s’innalzasse all’altezza della pittura veneta per un’assoluta pienezza di vita. Non vanno dimenticati il Parmigianino, Dosso Dossi, il Barocci, Lelio Orsi.
Nell’ampio sviluppo paesistico cinquecentesco il posto dominante spetta ai Veneti. Per il predominio della massa sulla linea, per la luce e l’ombra che regolano i fattori cromatici, per l’azione unificatrice affidata all’atmosfera, Giorgione porta ad altra intensità la visione iniziata dal Bellini. Nella Tempesta dell’Accademia di Venezia c’è il prevalere del paese sulla figura, in uno dei suoi aspetti più fantastici colto ed eternato da una natura contemplativa e vibrante. Tutti i pittori veneti, dai belliniani ai grandi del Cinquecento che si occupano di paese, sono in vario grado sotto l’influenza di Giorgione. Massimo fra tutti Tiziano, che amò e studiò la natura in tutti gli aspetti con un’universalità, una foga e un’ispirazione non più raggiunte. Iacopo Palma fu più prossimo a Giorgione che a Tiziano, con un diverso senso del pittoresco e una minuzia nordica nei vasti scenari. Il paese del San Gerolamo del Louvre di Lorenzo Lotto va direttamente riportato per la sua importanza alla pittura moderna, alla quale richiama anche il Tintoretto, che nei paesi trovò più facile mezzo ai suoi ideali pittorici col prevalere della luce che diviene potente elemento di trasfigurazione fantastica. A questa cerchia di artisti precorritori di forme e concezioni moderne appartiene anche Paolo Veronese per gl’intenti e le tendenze impressionistiche delle ariose vedute di campagna nella villa Barbaro a Maser. Iacopo Bassano ebbe qualità eccezionali nel paesaggio ed esercitò una vasta influenza all’estero specie nella pittura francese del XVII secolo. Bonifazio, Andrea Meldolla, il Cariani, Domenico Brusasorci furono rari paesisti. Gl’incisori Giulio Domenico Campagnola, Nicolò Boldrini, Girolamo Muziano, traducendo i disegni di Tiziano, diffusero il taglio paesistico d’ampio respiro dei Veneziani dando inizio a quella numerosa schiera d’incisori che sceglieranno appunto la pittura di paese a soggetto delle loro composizioni.
La tradizione veneziana fruttifica a Roma ed è tramandata in forme nuove al Seicento da Annibale Carracci, dal Domenichino, dall’Albani, nel paesaggio classico, che con i francesi Nicolas Poussin, Claude Gellée detto il Lorenese, Gaspard Dughet, tutti operosi a Roma, ebbe sviluppo e fu diffuso all’estero.
I Bolognesi, e Annibale Carracci in specie, fusero il gusto decorativo dell’arte toscana con il colorismo veneto, con l’esperienza fiamminga generando il paesaggio più complesso e decorativo che fino allora fosse esistito. Oltre al Domenichino e all’Albani, il Guercino, Francesco Grimaldi, Giambattista Viola, Adam Elsheimer sono i principali esponenti di questo movimento. Agostino Tassi, scolaro di Paolo Bril, fu il legame diretto fra questi e i paesisti italiani del Seicento e a sua volta maestro del Lorenese.
Salvator Rosa, che impersonò la pittura di paese napoletana, amò ritrarre gli aspetti più orridi e sconvolti della natura, introducendo lo stile romantico in contrapposizione alla serenità della visione classica. La novità della sua interpretazione esaltò i contemporanei e infirmò in parte il giudizio dei critici posteriori nei riguardi di un’arte troppo manierata e non sufficientemente sincera. Il movimento paesistico del XVII secolo coinvolge tutto il resto d’Italia e troppo lungo sarebbe ricordare i nomi dei numerosi artisti che vi parteciparono.
Nel XV secolo in Francia erano prevalse le concezioni gotiche fiamminghe. Si cominciò poi a riguardare all’Italia, come in Fiandra e in Olanda, e nel XVII secolo saranno tali i contatti che è impossibile separare i due sviluppi artistici. Il Poussin riconobbe in Tiziano la fonte più viva d’ogni ispirazione e i doni suoi particolari gli assicurarono un’inesausta vena quantunque riguardando agli effetti della sua arte si sia non ingiustamente parlato di accademismo. Il Lorenese ne superò ben presto la fama per una delicatezza di tinte, una trasparenza di atmosfera, una profondità di orizzonti tutta particolare. Poi un decadimento avvenne con Jan Glauber e Jean-François Millet, loro imitatori, e più ancora con Patel le Jeune, Étienne Allegrain, Jacques Courtois, Joseph Parrocel, copisti di questi imitatori che finirono col provocare una legittima reazione.
Nel XVII secolo, i Paesi Bassi si staccano dall’Olanda fino allora a essi strettamente congiunta, e non partecipano al suo risveglio per insistere negli schemi dei primitivi. Solo il Rubens allargò e semplificò, per il vasto impulso che veniva a dare alla pittura fiamminga, anche i paesi, ai quali impresse quel carattere esteriore e tutto decorativo che sarà mantenuto dai suoi successori, fra i quali i due Huysmans non esenti da influenze olandesi, mentre Jan Siberechts, il più originale dopo Rubens, è un isolato per il realismo che lo avvicina al sentimento moderno della pittura. Al contrario dei Fiamminghi, gli Olandesi si trovano all’avanguardia; dopo essere venuti a studiare in Italia, dipingono semplicemente quanto la loro terra offre allo sguardo e al sentimento sulla guida di Pieter Molyn e Esaias Van de Velde. Con Jan Van Goyen, scolaro di quest’ultimo, e uno dei maggiori, scompaiono gli ultimi legami fra scuola olandese e fiamminga. Egli predilige i tenui valori cromatici equilibrati e fusi in un insieme quasi monocromo, e a lui si collega Salomon Van Ruysdael, la cui gamma diverrà in seguito più calda e intensa. Jacob Van Ruysdael, suo nipote, giunge a dare della natura impressioni più penetranti di ogni altro, e a lui si collegano Frans de Hulst, Roelof de Vries, Cornelis Decker, per non parlare di Meindert Hobbema. Questi, meno fecondo di Jacob Van Ruysdael, lo supera nella freschezza e spontaneità dell’ispirazione, mentre i successori genereranno vani compromessi tra stile e natura adattando i soggetti al gusto degli amatori. Rembrandt occupa un posto a sé anche nel paesaggio al quale conferì l’impronta del suo genio, talora lasciandosi trasportare dalla fantasia in pitture nelle quali la lotta fra la luce e l’ombra è il vero tema compositivo, talora soffermandosi a fissare immagini tratte dalla natura nelle acqueforti.
Nel XVIII secolo in Italia sono ancora i Veneti a dare un’elaborazione definitiva del paesaggio. Caposcuola Marco Ricci, alla cui formazione contribuì il romantico Alessandro Magnasco. Il Ricci risalì anzi fino al Rosa e al Tempesta con un paesismo però più sereno, con fantasia meno sbrigliata, ed ebbe pure tendenze scenografiche che preludiano al Piranesi. I rapporti con l’arte francese e inglese ne raffinarono il tocco. Giuseppe Zais si collega talora a lui, ma più spesso a Francesco Zuccarelli. Questi, di origine toscana, fu un veneto di elezione e quantunque avesse subito il contatto della pittura europea non perdette nulla della spontaneità, dell’emozione idilliaca sua propria. Antonio Diziani, Michele Marieschi s’ispirarono al Ricci e allo Zuccarelli. Il Canaletto e il Bellotto, considerati più propriamente come vedutisti, ebbero un senso squisito del colore e della luce; Francesco Guardi, se per il capriccio dei motivi deriva dal Magnasco come il Ricci, al quale appunto è di preferenza attratto a riguardare per i paesi, possiede una sensibilità tutta sua, una raffinatezza tale di sensazioni atmosferiche, da essere il vero precursore del pleinairisme francese e del paesaggio inglese di Joseph Mallord William Turner, Richard Bonington, John Constable. Da lui Giambattista Piranesi derivò il capriccio delle sue fantasie. Altri paesisti italiani furono appunto: il Magnasco, nei cui paesi la ricerca dell’effetto scenico diviene quasi febbrile, mentre il “rovinista” Giovanni Paolo Pannini ha un equilibrio tutto classico, il fiorentino Domenico Tempesta, Paolo Anesi maestro dello Zuccarelli, Luigi Garzi, Carlo Antonio Tavella, il cremonese Francesco Bassi ecc.
In Francia ricorderemo Joseph Vernet, Antoine Watteau, Hubert Robert, Louis-Gabriel Moreau che dipinge dal vero quando non si apprezzavano che le composizioni storiche.
Contemporaneamente, nelle Fiandre si nota una generale decadenza, mentre l’Inghilterra giunge a occupare il primo posto nel movimento europeo, dapprima con gli stessi pregiudizi classici che avevano rivolto all’Italia il Poussin e il Lorenese, ben presto con uno studio diretto della campagna inglese per opera di Richard Wilson, seguito da Samuel Scott, Thomas Barker, George Barret, che non possono paragonarsi a Old Crome il quale assimilò le migliori qualità olandesi ed ebbe una percezione esatta della natura.
***
Durante il XIX secolo e agli inizi del XX il paesaggio è il genere più coltivato; esso è la scoperta della terra, la sorgente di una poesia che allarga smisuratamente il cuore dell’uomo, la più potente forza rigeneratrice di un’epoca e porta in sé, fino dal principio, tutto l’avvenire della pittura moderna. Contribuirono a un così grande successo diverse cagioni. L’uomo moderno, soffocato dal peso della cultura, divorato dalla febbre di una vita tumultuosa, corre a ritemprarsi nella solitudine, fugge verso il mare, verso la campagna, verso la montagna, per trovarvi il colore, la libertà, la varietà, l’energia, cioè la gioia. Egli ama la natura per se stessa. A differenza dell’arte antica, che generalmente anteponeva la bellezza alla verità e per lo più quella ricercava a spese di questa, lo spirito moderno aspira soprattutto alla verità. Le indagini sulla composizione della luce, sulla rifrazione dei colori, sull’effetto dei corpi nell’atmosfera, portarono alla conquista dei mezzi più adatti a rendere la realtà fisica, incoraggiando la pittura all’aria aperta, e hanno enormemente diffuso il gusto del paesaggio.
Nei primi decenni del XIX secolo i pittori di storia adattano ancora intorno ai loro personaggi una natura determinata linearmente, costruita nelle sue masse come un’architettura; in tal modo nel quadro storico il paesaggio è ancora un accompagnamento della scena umana, di cui prolunga l’espressione in risonanze lontane. Ma presto il romanticismo, liberando la sensibilità, rinnova il modo di sentire la natura, e nello stesso tempo, offrendo nuovi mezzi alla tecnica pittorica, permette di fissarne diversamente il volto. L’anima umana dinnanzi alla natura prova una commozione ingenua, profonda, quasi religiosa; ne deriva un vero panteismo naturalistico. Si vuole la verità, ma non basta che essa sia soltanto osservata, deve essere anche sentita. Allora nasce il paesaggio-sensazione, che disperde come un vento fresco il vecchio intellettualismo; il paesaggio diventa uno stato dell’anima; per riuscire espressivo esso ha bisogno di essere patetico, cerca i valori più eloquenti per la sua sensibilità raffinata, preferisce le ore crepuscolari perché più ricche di espressione. Non più, dunque, l’ampia architettura della terra, ciò che è solido, ciò che è permanente, come avevano insegnato i classici, ma ciò che avvolge, che è, nelle sue apparenze, effimero: il cielo vivente e perpetuamente mutevole da cui piove il chiarore, l’aria stessa, la luce, tutte le cose più fuggevoli e sottili. L’uomo non è che uno degl’infiniti elementi dell’universo, e, quando non abbiamo dinnanzi a noi la natura nella sua solitudine assoluta, egli vi appare come una emanazione del paesaggio stesso.
La pittura romantica di paese, che trovò la sua più alta espressione in Francia, intorno al 1830, col gruppo di Barbizon (Camille Corot, Henri Rousseau, Charles-François Daubigny, Jules Dupré, Constant Troyon, Narcisse Virgilio Díaz, Jean-François Millet), ebbe larghe ripercussioni europee, dagli italiani Antonio Fontanesi e Vitto...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INTRODUZIONE di Emma Giammattei
  5. PARTE I. NATURA E ARTE
  6. PARTE II. IL PAESAGGIO COME SPAZIO E COME PROCESSO
  7. PARTE III. LA SVOLTA ECOLOGICA
  8. PARTE IV. IL PAESAGGIO QUASI-ULTIMO