La mente apocalittica
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La mente apocalittica

Conversazioni su Dante

  1. 144 pagine
  2. Italian
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La mente apocalittica

Conversazioni su Dante

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L'avventuroso viaggio della Commedia, lo straordinario laboratorio linguistico, la politica vissuta e patita tra Firenze e l'esilio sono alcuni nodi esistenziali e teorici che quattro studiosi (Carlo Ossola, Giacomo Marramao, Andrea Mazzucchi, Gennaro Sasso) affrontano in queste conversazioni su Dante con Antonio Gnoli. Ne viene fuori un "ribelle" che va ben oltre l'erudizione nella quale è stato a lungo confinato. Restituito alla suadimensione profetica, Dante rompe gli schemi dell'età medievale, rivoluziona il pensiero scolastico e si affaccia da eretico sulla soglia della modernità. La insidia e la corrode, mostrando la storia di un'Italia condannata, da allora, a essere terra di conquista e di fazioni. Questo è un libro insolito che, a settecento anni dalla morte del poeta, esplora il lato notturno - onirico e allucinato - di un genio tanto popolare quanto misterioso.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2021
ISBN
9788812009336

DANTE, L’ULTIMA APOCALISSE

CONVERSAZIONE CON GENNARO SASSO

C’è la necessità di separare Dante dal dantismo, ossia da quel mare magnum di letture che ne hanno fatto di volta in volta il padre della patria, il fuggiasco permanentemente in esilio, il profeta della modernità, l’artefice della lingua italiana. Ogni aspetto che qui si è semplicemente elencato si ritrova in lui, ma senza che ne definisca per intero la qualità, per la quale occorre guardare al lato meno evidente, ossia al suo pensiero che per essere tale non può che richiamarsi alla complessità dei concetti che la sua opera esprime. Ed è proprio questa la strada che Gennaro Sasso ha percorso separando in modo netto il lato poetico da quello concettuale. Dalla lettura che ne offre, e che ritrovo in molti suoi contributi, viene fuori un autore impervio, letto, per così dire, in controtendenza rispetto al consenso, anche tra le generazioni più giovani, che in questo anno di celebrazioni è cresciuto intorno alla figura del poeta.
SASSONon so se la mia sia una lettura in controtendenza, né sono in grado di misurare ciò che davvero i giovani sanno di Dante, che è un autore difficile sia per il modo in cui usa la lingua, sia per i concetti che esprime per il suo tramite. La lingua con la quale è scritta la Commedia non è quella che si parla oggi ma era difficile anche per lettori a lui assai più vicini, per cultura e cronologia, di quanto non siano e non possano essere quelli di oggi. Il grado di difficoltà che essa presenta temo scoraggerebbe parecchi di loro, se affrontassero sul serio i testi e lo leggessero integralmente e non, come si usa nelle scuole, a brani. Come ogni autore di cui si intenda capire il pensiero, Dante va letto per intero. Questo dovrebbe essere ovvio, e al riguardo c’è poco da aggiungere: con un’avvertenza, tuttavia, che credo indispensabile. Non giova alla comprensione del suo pensiero la tendenza, che appartiene alla tradizione, a fare di lui un giudice super partes, appassionato ma equo e in perfetta sintonia con la logica della storia, che egli giudica dall’alto di una superiore consapevolezza. Dante è in primo luogo parte di un dramma storico che va al di là della sua persona e, per certi aspetti, anche del pensiero con il quale ho provato ad analizzarlo. Si capisce poco di lui se non si legge con questa disposizione di animo e di mente la sua prosa politica (intendo il quarto trattato del Convivio e la Monarchia). E non si percepisce niente della sua straordinaria capacità di rappresentare le passioni politiche e gli odi comunali se non si vede in lui uno che parteggia. Faccio un solo esempio: Filippo Argenti.
GNOLIL’iroso Filippo Argenti che Dante incontra nell’ottavo canto dell’Inferno ben spiega l’odio che avvelena la Firenze del Duecento. Un odio che è reso vivido dai modi in cui Dante lo rappresenta nell’Inferno. Nonostante la suggestione che questa cantica ancora ci trasmette, sembra quasi che tu voglia insinuare il dubbio che Dante non abbia poi così molto da dire a noi contemporanei.
SASSONon è questo il punto. La sua passione politica è straordinaria, anzi unica, spesso avvolta dalle suggestioni poetiche e da un’invenzione linguistica strabiliante. Non si può restarne indifferenti, e molte volte, moltissime volte, ci si chiede come abbia fatto a scrivere in quel modo. Ma qualunque considerazione si intenda muovere, ci obbliga a considerare la distanza che intercorre tra noi e alcuni aspetti essenziali del suo mondo. Restano le suggestioni per alcuni momenti poetici e politici. E fisse, come stelle, alcune figure straordinarie che disegna. Ci può far riflettere, l’ho già accennato, la violenza che egli descrive come elemento essenziale del mondo comunale: quell’odio che divide l’Italia in fazioni e che ancora oggi sembra essere un tratto che ci trasciniamo dietro, quella difficoltà che è della nostra storia a ritrovare o, semplicemente, a trovare il filo che consenta di tessere la tela dell’unità. E poi, questione non trascurabile, che cosa sappiamo della vita di Dante? Che cosa ci hanno consegnato quei biografi che hanno tentato di restituirne la pienezza del profilo? Per quanti sforzi si siano compiuti non si è ancora riusciti a ricostruire il filo unitario della sua vita. Troppo frammentaria e incerta, anche a causa dell’esilio che dovette patire, la documentazione. Malgrado l’assenza di fonti precise, alla sobrietà biografica si è spesso preferito l’uso disinvolto della congettura. Fondato su cosa? Boccaccio fu tra i primi a consegnarci una vita di Dante. La sua ricostruzione, per quanto importante, concede troppo alla fantasia, e talvolta, debbo confessarlo, si prova un senso di frustrazione. Si vorrebbe sapere, e si tende a dar ragione a Leonardo Bruni.
GNOLIIl quale prova a rettificare nella sua Vita di Dante la biografia di Boccaccio. Nonostante questo, il quadro dantesco che componi si arricchisce di molti tuoi dubbi. Provi a scavare tra le contraddizioni concettuali di Dante. Essendo tu un filosofo che gli ha dedicato una notevole quantità di scritti, mi incuriosisce sapere quando hai cominciato a occupartene.
SASSOPer me Dante è stato una specie di fiume carsico. Cominciai a leggerlo alla prima liceo, durante il terribile inverno del 1943-44. Mi trovai davanti a un autore aspro, difficile, a tratti incomprensibile. Ebbi l’impressione che non sarei mai arrivato a capirlo nemmeno se gli avessi dedicato la mia intera vita. Ma ne rimasi affascinato nel profondo. Scontento di quel che sentivo dire a scuola, andai, quando era ancora al liceo, ma a liberazione avvenuta, alla Fondazione Besso ad ascoltare Luigi Pietrobono, che lì allora teneva la cattedra dantesca. Era un grande dantista, ma non riuscii a entrare in sintonia, certo per mia colpa, con il suo modo di leggere che, per un verso, era semplice, piano, accattivante, ma, cercando di andare oltre le parole, alludeva a qualcosa che non riuscivo a capire. Lessi allora gran parte di quel che sulla Commedia è stato scritto da De Sanctis, a partire dai famosi saggi su Francesca e Farinata. Ne rimasi affascinato, ma con la convinzione che a quel grado di comprensione non sarei mai arrivato. Nel corso degli anni venni perciò via via convincendomi che avrei continuato a leggere Dante, ma senza prendere l’impegno di studiarlo e di assumere le relative responsabilità. Presto si formò in me la convinzione che o si è capaci di dare a Dante tutte, o quasi, le ore della giornata, e si è come Barbi e Parodi, o è meglio lasciar perdere. Solo molto tempo dopo mi decisi a scrivere un saggio su uno dei più tormentati canti della Commedia, il X dell’Inferno, e per la parte che riguarda Guido Cavalcanti. Ero stato invitato a scrivere qualcosa per una miscellanea di studi da dedicare a Gilmo Arnaldi. Non potevo e non volevo dire di no. Ma era una miscellanea di studi medievali quella a cui dovevo dare un contributo. Da quel momento Dante è stato variamente al centro dei miei interessi (debbo dire che da allora quel saggio ha subìto innumerevoli correzioni e integrazioni), ma ferma è rimasta in me la convinzione che egli sia indomabile. La Commedia è davvero un’opera inesauribile, al punto che la si può leggere e giungere alla frustrante conclusione che non la si potrà mai comprendere del tutto. Ogni volta che l’affronto, anche nei passi famosi, nelle scene più celebri, scopro dettagli che non avevo notato nella lettura precedente. È questo che mi imprigiona, che mi lega al testo. Potrei godere della sua poesia, che sovente è grandiosa, e accontentarmi di un’analisi estetica. La verità è che non mi sono mai occupato di critica letteraria. E temo che non avrei molto da dire sulla poesia. La grande poesia di Dante è separabile da quella che Croce chiamò la struttura. Ebbene, credo che per capire il senso della Commedia è a questa che ci si debba rivolgere, alla struttura. La poesia interviene quando interviene. E certo, quando compare la luce assume altra intensità. Ma resta il problema del senso della Commedia, del suo significato. E per capirlo è alla struttura, ossia al pensiero o ai pensieri, che lo sguardo deve essere diretto. Propongo una lettura dualistica? No. Ma se qualcuno vuol credere che sia così, faccia pure. La Commedia è opera poetica. Ma, in primo luogo (e non certo perché la poesia non sia importante) è opera concettuale.
GNOLICon “opera concettuale” intendi riferirti al suo aspetto filosofico?
SASSONon nel senso usuale, poiché ritengo che non si possa affrontare la Commedia come fosse La critica della ragion pura di Kant o La scienza della logica di Hegel. Bruno Nardi, uno dei grandi interpreti del pensiero di Dante, ha scritto saggi fondamentali sulla filosofia di Dante e lo stesso seppe fare Étienne Gilson. Ma lo hanno studiato e interpretato con lo stesso spirito sistematico con cui si accostarono a Tommaso d’Aquino o a Sigieri di Brabante. In realtà la Commedia è un’opera molteplice che intreccia vari registri e offre al lettore numerosi significati. Essenziale per me è stato vedere dove questi registri, soprattutto concettuali, stridevano o dove si integravano in un disegno più generale. Nell’attraversare questo territorio impervio mi sono reso conto che la poesia, in quanto tale, non poteva soccorrermi. Essa costituisce un piano del tutto diverso che si può frequentare e amare, si può percepire e indicare ma non si può né conoscere né spiegare in modo esauriente. Che cosa si può dire di veramente sensato della Passione secondo Matteo di Bach, della sua vertiginosa grandezza? Se ne dovessi parlare in senso proprio, proverei soprattutto imbarazzo. È chiaro che la poesia si può analizzare in tanti modi, sul piano stilistico, e perfino contenutistico. Ma dal punto di vista essenziale della verità temo non ci sia modo di capire come nasca. Nasce improvvisamente e questo è quanto. Il dramma della poesia è che non la si può indagare in maniera concettuale. Non metto in dubbio i grandi momenti poetici della Commedia, quei passaggi sublimi davanti ai quali non si può restare indifferenti, perché ci commuovono e ci esaltano. Ne percepisco la potenza, senza poterla tuttavia fissare, definire, contenere. Affermare, perciò, che Dante è un grandissimo poeta equivale a esprimere un’ovvietà. Meno scontato è invece osservare che accanto alla straordinaria vena poetica c’è una lingua complessa che sbalordisce per il modo mirabile con cui egli la governa e che va persino oltre la seduzione potente del verso.
GNOLIL’accenno che tu fai alla lingua ci riconduce soprattutto al Convivio, un testo che si può leggere come ausilio alla Commedia.
SASSONel Convivio Dante crea effettivamente la lingua italiana colta. Il testo avrebbe dovuto comporsi di quattordici trattati, ma ne furono scritti solo quattro. Sufficienti tuttavia per farci comprendere come, passando dal latino al volgare, la prosa filosofica di Dante si riveli un’operazione linguistica straordinaria. Un unicum letterario talmente essenziale e ricco di significati teologici, filosofici, politici da innervare la struttura della Commedia. Che cosa sia quest’opera non è facile da fissare. Il confronto spesso aspro e paradossale con la fede e la ragione segna, ai miei occhi, l’idea del viaggio ultramondano che Dante intraprende come esperienza eccezionale e consente di definire la Commedia il poema dell’apocalisse e della redenzione dell’umanità.
GNOLIÈ un Dante diverso quello che prospetti, una figura che è immersa nel tempo storico e che riflette sulla sua fine, cioè sul senso stesso dell’apocalisse. Da dove Dante ricava tutto questo?
SASSOFarei una premessa, che consente di comprendere il senso del mio lavoro e i limiti della tesi: Dante compie un nuovo viaggio cristologico, perché durante il primo avvento del Cristo non si realizzarono quegli eventi che avrebbero dovuto portare alla fine del mondo, cioè alla compiutezza dei tempi. La rinnovata presenza del Cristo è dunque per Dante in stretta connessione con la fine del tempo storico. Le sue fonti sono gli autori cristiani, come Remigio dei Girolami, che operano nel solco della tradizione medievale. Sostenere che la Commedia sia fondamentalmente una profezia non è una novità interpretativa. Di profezia parlò per esempio Nardi, in senso diverso ne aveva parlato Buonaiuti. Nuova è la convinzione dantesca di pensare la profezia come esito apocalittico. Egli scrive la Commedia come se davvero fosse alla fine del tempo storico. Come se realmente i tempi della storia si fossero conclusi, o stessero per concludersi, di modo che Chiesa e Impero – le due grandi realtà storiche con le quali Dante si è confrontato – non sono più situazioni semplicemente orizzontali, cioè incluse nel processo lineare dei tempi e indagabili come altrettanti momenti storici, bensì strutture ripensate verticalmente, così da poterne cogliere l’autentica spiritualità.
GNOLITu parli di una presenza rinnovata del Cristo. Ma è chiaro che nel momento in cui Dante scrive la Commedia non c’è traccia del ritorno del Cristo. Questa nuova Parusia ha tratti abbastanza insoliti.
SASSODante non fa che riprendere i dubbi della comunità cristiana dopo la prima Parusia, per cui all’avvento del Cristo sarebbe dovuta seguire la fine del mondo. Che non avvenne, ma fu differita, dando così luogo all’attesa. In questo tempo del rinvio si rafforzò la necessità di pensare a una seconda Parusia del Cristo, che avrebbe realizzato quel che prima non aveva potuto, completandola e rivelandone l’autentico senso finale.
GNOLIMa come poteva Cristo aver fallito la prima volta?
SASSOIn effetti non era semplice poter sostenere che la prima Parusia fosse stata in sé difettiva. Per aggirare la difficoltà si ricorse all’idea che il tempo messianico – cioè il tempo apocalittico – si fosse scisso in un “già” e in un “non ancora”, in modo tale che quello scarto temporale, quel compimento da realizzare, fosse scandito dal tempo dell’attesa. È chiaro che la difficoltà non era risolta ma solo spostata su un piano concettuale, per cui se il tempo messianico era unico come avrebbe potuto scindersi in due? Come avrebbe potuto una parte essere già avvenuta e una parte essere ancora da realizzare? Ebbene, rispetto a una così evidente paradossalità, Dante accoglie – e da cristiano non poteva non farlo – l’idea del viaggio ultraterreno come scandito da un solo tempo, quello appunto dell’apocalisse.
GNOLIMa questa prospettiva apocalittica che rapporto ha con la storia reale nella quale Dante è comunque immerso?
SASSOÈ una storia che si svolge nel tempo e però viene totalmente trascesa. Tutti i valori della storia umana, che per così dire erano stati considerati vitali, a cominciare dalla Chiesa distinta dall’Impero, non hanno più il significato che avrebbero potuto avere se si fosse rimasti all’interno della storia. D’altro canto, è anche vero che Dante è senza alcun dubbio un critico del presente politico, che considera giunto al momento della sua massima crisi. Cioè è un uomo ancora immerso in una storia di cui avverte ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INTRODUZIONE NELL’ESILIO DI DANTE di Antonio Gnoli
  5. DANTE E MACHIAVELLI CONVERSAZIONE CON GIACOMO MARRAMAO
  6. IL VIAGGIO DI DANTE CONVERSAZIONE CON CARLO OSSOLA
  7. L’ITALIA DI DANTE CONVERSAZIONE CON ANDREA MAZZUCCHI
  8. DANTE, L’ULTIMA APOCALISSE CONVERSAZIONE CON GENNARO SASSO