Progettare il disordine
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Idee per la città del XXI secolo

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Idee per la città del XXI secolo

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Urbanisti, privatizzazioni e sistemi di sorveglianza stanno assediando gli spazi pubblici urbani. Le nostre strade stanno diventando sempre più simili tra loro mentre la vita, il carattere e la diversità vengono espulsi dalle città. Che fare? È possibile concepire la sfera pubblica come uno spazio flessibile che si adatta ai tempi? Si può progettare il disordine. Cinquant'anni fa Richard Sennett scrisse la sua opera rivoluzionaria, Usi del disordine, in cui sosteneva che l'ideale di una città pianificata e ordinata fosse imperfetto, producendo un ambiente urbano fragile e restrittivo. Oggi torna sulla stessa idea e, insieme all'attivista e architetto Pablo Sendra, immagina il design e l'etica della "città aperta", alternativa: una proposta provocatoria per una riorganizzazione del modo in cui pensiamo e progettiamo la vita nei contesti urbani. Quelle che gli autori chiamano "infrastrutture per il disordine" combinano architettura, politica, urbanistica e attivismo al fine di creare luoghi che alimentano piuttosto che soffocare, uniscono piuttosto che dividere, sono disposti al cambiamento piuttosto che bloccati nell'immobilismo. Questo testo è un manifesto radicale e trasformativo per il futuro delle città del XXI secolo.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2022
ISBN
9788812009237

PARTE SECONDA

Infrastrutture per il disordine

di Pablo Sendra

3

Dalla carta al progetto

Ho letto per la prima volta Usi del disordine quando avevo venticinque anni, la stessa età di Richard Sennett quando l’ha scritto. Era l’inizio del 2009, anno in cui la crisi del capitalismo e la recessione economica stavano aprendo un periodo di incertezza e un’opportunità per i movimenti sociali, come avremmo visto nel 2011 con il movimento 15-M in Spagna, detto anche degli indignados, e il movimento Occupy negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri paesi. Usi del disordine fu pubblicato nel 1970, influenzato dalla nuova sinistra e dalla controcultura degli anni Sessanta, come riconosce l’autore nella prefazione all’edizione del 20081.
Il modo in cui la situazione socio-politica ha influenzato Sennett ne differenzia la posizione rispetto ad altre reazioni al design urbano modernista, come quella di Jane Jacobs2. La contestazione delle norme sociali ha portato Richard a concentrarsi sull’identità personale e su come questa venga influenzata dalla vita in città. In tale contesto vede l’esperienza urbana, la sua complessità e la sua incertezza come necessarie per sviluppare un’identità adulta che prepari le persone ad affrontare situazioni inaspettate e a rapportarsi con la differenza. In questo senso, la posizione di Richard differisce dall’appello di Jacobs a ripristinare le «piccole, intime relazioni tra vicini nella vita cittadina»3 caratteristiche di un tempo. Anziché aspirare a un revival romantico della vita di quartiere del passato, Richard propone di individuare nuove condizioni di vita urbana per il futuro, in cui le persone imparino ad accettare il disordine attraverso l’esperienza urbana. Secondo Richard, inoltre, a causa dell’iperdeterminazione delle funzioni attraverso la pianificazione, questi incontri imprevedibili stavano venendo meno, con il risultato di ostacolare l’interazione sociale.
Cinquant’anni dopo Usi del disordine, i progetti di recupero cercano ancora di eliminare i comportamenti indesiderati e tendono ad addomesticare l’informalità. La validità delle argomentazioni del libro a cinquant’anni dalla sua uscita mi ha portato a domandarmi: architetti e urbanisti possono progettare il disordine?
Negli anni Sessanta, le restrizioni della vita cittadina messe a fuoco da Richard si inquadravano in un contesto politico molto particolare, con l’imposizione di determinate norme sociali, e venivano introdotte attraverso grandi progetti di rinnovamento urbano che includevano la costruzione su vasta scala di abitazioni e autostrade urbane, oltre al movimento verso le periferie dove andavano a rifugiarsi le comunità benestanti. Oggi il contesto socio-politico è cambiato, ma l’imposizione dell’ordine attraverso l’urbanistica e la progettazione rimane.
Sia gli anni Sessanta sia gli anni Dieci di questo nuovo millennio sono stati caratterizzati da contestazione e attivismo contro l’ordine imposto, il controllo sociale e i progetti urbani che esasperano le disuguaglianze e producono alienazione. Per capire di quali tipi di disordine hanno bisogno le città oggi, dobbiamo prendere atto delle varie forme di ordine imposto e di come vengono contestate.
I tipi di disordine di cui parliamo non sono progetti rigidi, né implicano forme urbane e architettoniche disordinate, come ha cercato di fare il postmodernismo in risposta al modernismo. Al contrario, intendiamo il disordine come contestazione dell’ordine imposto. Poiché queste imposizioni del controllo sociale attraverso l’urbanistica e la progettazione cambiano, il disordine non è stabile, bensì dinamico, e si modifica per sfidare il sistema e proporre alternative.
Quando Sennett scrisse Usi del disordine alla fine degli anni Sessanta, gli Stati Uniti vivevano in clima di guerra fredda ed era in corso la guerra del Vietnam. C’era stato un aumento dell’attivismo e, come riflette Richard nella prefazione all’edizione del 2008, i giovani credevano di aver raggiunto «l’apice del cambiamento rivoluzionario»4 e che il capitalismo stesse per implodere. Questa sensazione di vivere un’epoca di grande slancio, un momento in cui si presentava l’opportunità di sfidare un sistema che aveva fallito, è molto simile a quanto è accaduto ai giovani indignados spagnoli del movimento 15-M e in occasione delle successive iniziative attivistiche e politiche emerse da esso.
La crisi finanziaria del 2008 ha colto la Spagna alla sprovvista. La crisi economica, gli alti livelli di disoccupazione, il fatto che molte famiglie venissero sfrattate dalle loro case perché non riuscivano a pagare il mutuo e il malcontento verso un sistema che privilegia i potenti hanno portato a diffuse tensioni sociali e, il 15 maggio 2011, all’occupazione di una piazza centrale in ogni città della Spagna. Il movimento 15-M è nato a Madrid e si è rapidamente diffuso in tutte le città del paese, con persone che protestavano e immaginavano futuri alternativi durante il giorno e si accampavano di notte. Una generazione che si era comodamente adattata allo status quo si è risvegliata quel giorno contestando un sistema ingiusto che, in un momento di crisi, aveva privilegiato le banche e i poteri forti. Il movimento è stato trasversale alle generazioni, e anche se le persone più o meno della mia età costituivano un’alta percentuale dei manifestanti, ha ricevuto un sostegno molto ampio.
FIGURA 3.1 Dimostrazione del movimento degli indignados in Plaza de la Encarnación, nota come “Las Setas” (I funghi), Siviglia, maggio 2011.
FIGURA 3.1 Dimostrazione del movimento degli indignados in Plaza de la Encarnación, nota come “Las Setas” (I funghi), Siviglia, maggio 2011.
Foto di Pablo F.J. (Flickr). CC BY 2.0.
Le adunate che hanno cominciato a svolgersi regolarmente quando la gente ha smesso di accamparsi nelle piazze provavano a immaginare futuri alternativi lontani dal capitalismo. Tre anni dopo, il partito politico Podemos, nato dagli ideali del movimento, ha usato l’espressione “prendere d’assalto il cielo”, già adottata da Marx per descrivere la Comune di Parigi del 18715. Il partito ha fatto appello all’unità dei movimenti sociali e trasmesso l’idea che ci trovassimo in un momento unico per sfidare il sistema ed eleggere un governo scelto dalla base. In una conversazione con la filosofa politica belga Chantal Mouffe, uno dei fondatori del partito, Íñigo Errejón, spiega che il fallimento del sistema apre una finestra di opportunità che presto verrà di nuovo chiusa dai potenti6.
Questa sensazione di trovarsi a vivere un momento di opportunità per proporre cambiamenti al sistema era presente anche nelle cerchie degli intellettuali. Mi trovavo da alcuni mesi all’Università di Cambridge quando nell’ottobre del 2011 prese piede il movimento Occupy. Manuel Castells venne a tenere alcune conferenze e a presentare le proprie ricerche sul ruolo della tecnologia nei movimenti sociali come la Primavera araba e gli indignados, mentre Sennett tenne conferenze sia a Cambridge sia al Serpentine Gallery Pavilion di Londra sulle interazioni sociali ai tempi del movimento Occupy a New York.
Tuttavia, se da una parte Errejón parlava di questa crisi del sistema come di un’opportunità a breve termine che non bisognava lasciarsi sfuggire, dall’altra ha spiegato anche che dobbiamo intraprendere un compito a più lungo termine, ossia ricostruire una società frammentata dal neoliberismo.
Anche Usi del disordine ha analizzato questo mutamento a lungo termine cinquant’anni fa. Per realizzarlo, non basta cambiare i leader politici; dobbiamo per forza pensare a che cosa succederà dopo la rivoluzione. Nel contesto delle rivolte alla fine degli anni Sessanta, Sennett sostenne un “nuovo anarchismo”, in cui le persone imparano ad accettare il disordine nella loro vita come benefico. A suo modo di vedere, questa accettazione del disordine doveva avvenire in città eterogenee e affollate; sosteneva la necessità di trasformare «grandi apparati burocratici con solide fondamenta nelle città in modo tale da migliorare le condizioni di vita della comunità»7. Il nuovo anarchismo non solo rifiutava il sistema attuale, ma offriva anche una valida alternativa che ricostituiva il potere burocratico metropolitano.
Questo nuovo sistema unisce decentramento e localismo – devolvendo il potere e fornendo risorse economiche alle comunità – con un potere centralizzato circoscritto che consiste nel distribuire beni e gestire determinati servizi. Con il decentramento, Sennett proponeva di coinvolgere un numero di persone molto maggiore nella progettazione delle città.
Si può trovare un esempio del nuovo anarchismo degli anni Settanta nel movimento londinese degli squatter. Come illustra Alexander Vasudevan, nel 1968 vi fu a Londra una nuova ondata di occupazioni abusive8. L’autore spiega come il successo di alcune di esse ne abbia prodotte innumerevoli altre a livello locale in molti quartieri diversi, con iniziative coordinate in tutta la città. Spiega anche che queste azioni dimostrative non erano soltanto una questione di lotta per la casa, ma proponevano nuovi modi di vivere in comunità, come descritto da Richard nel libro. Vasudevan chiarisce i legami tra i gruppi e le campagne degli squatter e altri movimenti come l’Internazionale situazionista, gli anarchici e altri gruppi di sinistra, oltre ai collettivi femministi e LGBTQ+9.
Prendiamo, per esempio, il caso di Frestonia, un gruppo eterogeneo che aveva occupato abusivamente alcune abitazioni abbandonate di proprietà del Greater London Council in Freston Road, nella zona Ovest della città. Gli artisti e attivisti membri del gruppo misero in atto una risposta creativa all’annuncio della demolizione delle case. Collettivamente, decisero di adottare il cognome “Bramley” e dichiararono l’indipendenza dalla Gran Bretagna. La strategia del cognome era una risposta a una politica del Greater London Council secondo la quale i membri di una famiglia dovevano essere ricollocati tutti insieme.
Successivamente, l’attore David Rappaport-Bramley, ministro degli Esteri di Frestonia, scrisse una lettera alle Nazioni unite per informare l’organizzazione della loro autodeterminazione e presentò istanza di adesione all’Onu per la Libera Repubblica Indipendente di Frestonia. Nel documento, si avvertiva l’Onu della possibilità «di un’invasione della Frestonia e di uno sfratto da parte della Greater London Authority e di altri organi del governo britannico»10. Dal momento dell’indipendenza, i visitatori di Frestonia ricevettero un timbro sul passaporto e un visto d’ingresso illimitato. Pur non avendo mai ricevuto risposta dall’Onu, tale richiesta attirò grande attenzione da parte dei media e la Greater London Authority dovette infine trattare con gli squatter, che costituirono la Bramleys Housing Co-op ed edificarono nuove case in collaborazione con il Notting Hill Housing Trust11.
A partire dalla fine degli anni Settanta, il Greater London Council ha facilitato la trasformazione degli edifici occupati abusivamente in cooperative edilizie. Come spiega Vasudevan, si assicurava così la locazione a molte delle persone che occupavano abusivamente, ma in una qualche misura si neutralizzava anche il fenomeno dello squatting a Londra12....

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INTRODUZIONE
  5. PARTE PRIMA. La società civile
  6. PARTE SECONDA. Infrastrutture per il disordine
  7. PARTE TERZA. Disfare e fare
  8. RINGRAZIAMENTI
  9. Infrastrutture per il disordine