Libertà
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Libertà

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Cosa significa la parola "libertà"? Cosa chiediamo davvero quando pretendiamo più libertà? Salvatore Veca definisce i contorni di un termine così quotidiano da apparire oggi quasi svuotato di senso, e restituisce al lettore una preziosa mappa di viaggio tra le teorie che attorno a questo concetto hanno dato forma a politiche e visioni sociali. John Stuart Mill, Isaiah Berlin, Norberto Bobbio, John Rawls; e ancora la differenza tra libertà negativa e libertà positiva, e il rapporto di priorità tra uguaglianza e libertà. Salvatore Veca firma un saggio filosofico rapido e chiaro, che offre gli strumenti e le coordinate necessarie per una comprensione piena del significato di uno dei temi più urgenti del dibattito politico e sociale contemporaneo.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2019
ISBN
9788812007707

GRAMMATICHE DELLA LIBERTÀ

Vorrei cominciare richiamando l’attenzione su un fatto ricorrente, che accompagna il destino di tutti i termini importanti dei nostri vocabolari di moralità e politica. Quei termini cui vale la pena di dedicare le voci di un possibile lessico civile, etico e politico. Il fatto è più o meno il seguente: termini come “libertà” o “democrazia”, “giustizia” o “tolleranza”, “tirannia”, “rispetto” o “laicità” si possono considerare al centro di un’essenziale varietà di discorsi che, nello spazio e nel tempo, hanno scopi, natura e interessi differenti e, a volte, confliggenti.1
Nel nostro caso: il fantasma della libertà ha il suo alone e il suo corteo variegato di discorsi e narrazioni. In parole povere: si parla, si è parlato e presumibilmente si continuerà a parlare di libertà in tanti sensi diversi, nello spazio e nel tempo. Se ci chiediamo com’è fatto un discorso a proposito della libertà, possiamo rispondere così: ogni discorso sulla libertà connette a suo modo la libertà con qualche altra cosa. Connette la libertà con l’uguaglianza, con l’efficienza, con la sicurezza, con la solidarietà, con la giustizia. Ogni discorso a proposito della libertà identifica un particolare concetto di libertà, distinguendolo da altri. Libertà positiva e negativa, libertà come autonomia e autorealizzazione delle persone, libertà dalla paura e dal bisogno, libertà come indipendenza individuale, e così via. Ogni discorso a proposito della libertà definisce in tal modo lo spazio delle relazioni e delle tensioni fra la libertà e altri termini che – nel nostro lessico civile, etico e politico – sono protagonisti nei nostri modi di pensare, descrivere, valutare, commentare, lodare o biasimare i mutevoli modi della convivenza, l’assetto delle istituzioni politiche di sfondo e la natura delle nostre pratiche sociali.
Provate a pensarci su: è come se ci avvalessimo, sia nei discorsi teorici sia nel nostro linguaggio di tutti i giorni, di più di una “grammatica” della libertà. Potremmo dire allora che l’insieme delle grammatiche che governano i differenti discorsi sulla libertà costituisce un campo di tensioni e di possibilità, la cui fisionomia e la cui geografia essenzialmente mutano nello spazio e nel tempo. E aggiungere due brevi commenti: in primo luogo, sappiamo che questo campo intricato ospita, come una sorta di opera aperta, il repertorio dei nostri mutevoli modi di descrivere, valutare e interpretare il fatto, il valore e il senso della libertà per noi. In secondo luogo, questo repertorio ha le sue radici nella storia. In una complicata gamma di vicende, alle nostre spalle.
Il secondo commento merita ancora una breve considerazione. Libertà e giustizia, democrazia e laicità, tolleranza e rispetto sono per noi “valori”, cose che contano. Cose che fanno la differenza per i nostri modi di convivere, di stare insieme nella durata. Più precisamente, questi termini indicano valori importanti che sono divenuti tali, nel corso del tempo. Valori che in vario modo sono stati riconosciuti come tali, in contrasto con altri valori. Siamo spesso indotti a considerare tali valori come vere e proprie conquiste, come passi avanti significativi, rispetto a un passato che ha perso e dissipato per noi le sue risorse di legittimità, e non appare più degno di fiducia e lealtà.

SULLA LIBERTÀ COME VALORE

Le riflessioni che ora vi propongo si basano, al tempo stesso, sulla consapevolezza della storia dei nostri valori, che è la storia delle ragioni per cui abbiamo imparato per prove ed errori a riconoscerli e a onorarli come valori fondamentali dell’arte della convivenza, e sulla consapevolezza della persistente possibilità del rischio della loro perdita e dissipazione, nel quadro di sfondo del mondo che ci è contemporaneo. Come dire: nessun valore è immunizzato, una volta per tutte, rispetto all’eventualità desolante del suo collasso e della sua erosione.
Anche i valori che più contano per noi possono a un certo punto, in una varietà di circostanze, essere messi “in saldo” sul mercato delle idee, delle credenze e delle convinzioni. Si osservi, inoltre, che i valori che più contano per noi sono, come abbiamo detto, cose che fanno la differenza per i nostri modi di convivere, ma che essi la fanno in quanto non si riferiscono meramente al modo in cui noi abbiamo appreso o preferiamo vivere, quanto al modo in cui siamo convinti e convinte chiunque dovrebbe preferire vivere e convivere.
I valori non sono gusti e non esemplificano preferenze personali, che riguardano solo chi accade abbia quelle preferenze, ma riguardano e chiamano in causa le nostre preferenze impersonali e mirano a una sorta di condivisione e adesione universalistica. Come vedremo, i valori si addicono alla comune umanità. E ciò suggerisce una riflessione elementare su una connessione essenziale fra libertà e uguaglianza.
Una connessione che ha a che vedere, come osserveremo più avanti, con la dimensione etica della libertà. Così, sostenere che la libertà delle persone è per noi un valore equivale a sostenere che essa è o dovrebbe essere un valore i) per chiunque abbia una vita, come noi, da vivere e ii) ovunque gli o le accada di avere una vita, come noi, da vivere. I confini che perimetrano e definiscono un qualche noi contingente e situato non contano e non devono contare, quando sia in gioco qualcosa come il valore della libertà per le persone.
In un mondo sempre più interdipendente e sempre più diviso, in cui sembrano ossessivamente assumere spicco muri e confini presidiati fra un qualche noi e gli altri, la consapevolezza del valore universalistico della libertà per le persone non dovrebbe venir meno perché essa è il promemoria di una comune umanità che condivide, sino a prova contraria, un solo pianeta. Questa consapevolezza non dovrebbe proprio venire meno. Tuttavia, essa potrebbe venire meno. Come vedremo nelle battute conclusive, il venire meno di questa consapevolezza implica una severa perdita in termini di “comune umanità” e apre la strada alle cupe pratiche del “disumano”.

SULLE GRAMMATICHE DELLA LIBERTÀ

Torniamo ora alla faccenda delle grammatiche della libertà. Alla natura complicata dei nostri discorsi a proposito di questo termine così importante nel nostro lessico civile, etico e politico. Come ho sostenuto alle pp. 9-12, la libertà può essere messa a fuoco come fatto, come valore e come senso. Abbiamo detto che, quando abbiamo in mente il fatto della libertà, noi usiamo una grammatica che genera asserzioni a proposito della libertà. In parole povere, descrizioni a proposito dell’esservi libertà, dell’esservi più o meno libertà. Frasi che vertono su chi è libero, su che cosa uno è libero di fare o essere, su ciò da cui o rispetto a cui siamo liberi o non liberi. E questo è, grosso modo, lo spazio dei discorsi miranti a descrizioni della libertà. Sappiamo anche che, quando ci impegniamo nell’uso linguistico di asserzioni, noi vogliamo semplicemente dire “come stanno le cose”.
Tuttavia, il valore della libertà chiama in causa un altro tipo di grammatica: quella che genera valutazioni o prescrizioni a proposito della libertà. Sono questioni che riguardano la natura del valore della libertà per noi. È un valore intrinseco o un valore strumentale? È negoziabile con altri valori o no? E se sì, in quali circostanze? Vale di per sé, oppure vale perché ci permette di conseguire e realizzare qualche altro valore? E poi: quale spazio la libertà deve avere rispetto ad altri valori? E ancora: è possibile un ordinamento o un qualche criterio di priorità, che fissi il posto che la libertà deve avere nella gerarchia dei valori sociali, quali per esempio l’equità o la sicurezza o l’efficienza? E questo è, grosso modo, lo spazio dei discorsi miranti a prescrizioni a proposito della libertà. Sappiamo che, quando ci impegniamo nell’uso linguistico di prescrizioni, noi vogliamo semplicemente dire “come le cose dovrebbero stare”.
Infine, due parole sul senso della libertà. Esso evoca la grammatica che è alla base dei tentativi di definirne il significato e la sua importanza per noi. Questi tentativi chiamano in causa questioni di interpretazione. Questioni che sorgono naturalmente, quando ci chiediamo che cosa voglia dire per noi essere liberi o libere, che cosa si provi e che effetto ci faccia lo stato del sentirsi liberi o libere. E quest’ultimo, alla fine, è lo spazio dei discorsi miranti a interpretazioni della libertà. Pensate alle mille storie, grandi e piccole, di liberazione, di emancipazione dalle catene, di riscatto dall’asservimento dai molti volti, subdoli, urbani o barbarici e crudeli. Sappiamo che, quando ci impegniamo in questo terzo tipo di discorsi, noi vogliamo semplicemente dire che cosa le cose variamente significano e che importanza – in determinate circostanze – esse hanno o possono avere per noi. Vogliamo semplicemente dire “che senso hanno le cose”, per noi.
Naturalmente, come ho precisato, è bene tener presente che la nostra tripartizione elementare ci serve solo a mettere un po’ in ordine i nostri modi di parlare. Un po’ come suggeriva la vecchia e cara massima del buon giornalismo d’un tempo: i fatti da una parte, le opinioni e i commenti dall’altra. Sappiamo in realtà che, nella maggior parte dei casi, i discorsi più importanti a proposito della libertà, sia nell’ambito della teoria sia nell’ambito del linguaggio di tutti i giorni, sono l’esito della contaminazione o dell’intersezione, dell’intreccio fra i tipi puri della descrizione, della valutazione e dell’interpretazione. Come spesso accade, i discorsi più importanti sulla libertà hanno carattere misto e sono, per così dire, discorsi anomali rispetto alle etichette analitiche e alle norme del bon ton accademico e disciplinare. Anche il mio discorso sulla libertà, che ora vuole proporvi un’interpretazione della natura della libertà democratica per eccellenza, è certamente un discorso anomalo.
Pensiamo, per restare alla recente tradizione della modernità, a tre casi che possiamo considerare canonici: la celebre orazione di Benjamin Constant tenuta all’Ateneo reale di Parigi nel 1819 sulla libertà degli antichi e dei moderni; l’eloquente saggio sulla libertà di John Stuart Mill, pubblicato nel 1859; e la lezione del 1958, destinata a duratura influenza nel secolo breve, di Isaiah Berlin sui due concetti di libertà. Vi confesso che a me piace pensare anche alla lezione di un maestro come Giorgio Gaber, quando ci invitava a riflettere sul fatto che «libertà non è star sopra un albero… libertà è partecipazione». Ma su ciò torneremo più avanti.

ANCORA SU LIBERTÀ NEGATIVA E POSITIVA

Riconsideriamo ora la famosa distinzione, introdotta da Isaiah Berlin, fra due concetti di libertà. Quando alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso Berlin lesse a Oxford la sua celebre prolusione, incentrata sulla differenza fra un concetto di libertà negativa e un concetto di libertà positiva, l’interesse che guidava il suo discorso era connesso allo sfondo di un mondo diviso. Il mondo della guerra fredda e del bipolarismo imperiale, con cui avremmo convissuto per qualche decennio nel secolo breve, sino alla caduta del Muro di Berlino. Un mondo in cui differenti sistemi ideologici e di devozione politica si contendevano il campo e cercavano di corroborare le credenze dei seguaci e di convertire, se possibile, nuovi adepti. Era dopo tutto inevitabile che il corpo a corpo fra le élites intellettuali leali alle democrazie liberali e le élites intellettuali leali ai sistemi socialisti autocratici vertesse sulla più plausibile interpretazione di che cosa volesse dire libertà, di quale fosse la vera libertà, di quale sistema di istituzioni e di quale regime politico promettesse di onorare al meglio la promessa contenuta nella migliore definizione di libertà.
Berlin identificava nel concetto di libertà negativa il migliore candidato a sostenere la più coerente descrizione della libertà per le persone. Ma Berlin aveva essenzialmente un interesse per il giudizio politico e morale su istituzioni politiche e pratiche sociali, e il giudizio doveva avvalersi, come accade nella migliore teoria politica, di una comparazione fra alternative. E a questo serviva in realtà introdurre la distinzione fra due concetti di libertà.
Ma chiediamoci di nuovo: che cosa vuol dire l’espressione “libertà negativa”? Possiamo rispondere così: la libertà negativa è l’assenza di impedimenti o vincoli o interferenze nello spazio di scelta individuale, punto e basta. Come sappiamo, la domanda pertinente, in proposito, resta semplicemente questa: qual è l’area entro la quale una persona è o dovrebbe essere lasciata fare o essere ciò che aspira a fare o essere, senza interferenze da parte di altre persone? È rispondendo a questa domanda che noi possiamo riconoscere se e quanto le persone sono libere di essere o fare ciò che accade aspirino a essere o fare. Questa, e non altro, è la famosa “libertà da”.
D’altra parte, il senso positivo del termine “libertà” deriva dal desiderio da parte dell’individuo di essere padrone di se stesso. «Voglio che la mia vita e le mie decisioni dipendano da me stesso e non da forze esterne di qualsiasi tipo. Voglio essere strumento dei miei stessi atti di volontà e non di quelli di altri.»2 E questa è la famosa “libertà di”. Una libertà che chiama in causa direttamente il diritto di chiunque di partecipare alla produzione di scelte collettive, alla definizione dei termini del contratto sociale: in una parola, un ingrediente fondamentale della forma di vita democratica.
Uno potrebbe osservare che, se restiamo al discorso che mira a descrivere stati di libertà, è difficile cogliere dove stia la differenza fra i due fondamentali concetti di libertà cui deve non sorprendentemente la sua fortun...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INTRODUZIONE
  5. LIBERTÀ NEGATIVA E LIBERTÀ POSITIVA
  6. LA DEFINIZIONE TRIADICA DI LIBERTÀ
  7. SFERE DI LIBERTÀ E STORIA DEL CONCETTO
  8. LA LIBERTÀ E LE LIBERTÀ
  9. VERITÀ, PROPRIETÀ E POTERE: TRE CASI DI LIBERTÀ MODERNE
  10. LIBERTÀ E TEORIE DELLA GIUSTIZIA
  11. BIBLIOGRAFIA
  12. GRAMMATICHE DELLA LIBERTÀ
  13. BIBLIOGRAFIA