INTERLUDIO 1
Le numerose tecniche di sopravvivenza dei superbatteri comprendono, oltre alla menzogna e al travisamento, anche fantasie mediageniche di ogni sorta. Ma la misteriosa utilità politica di questi messaggi forse non dipende tanto dal loro contenuto quanto dal loro persistente impiego.
In un summit del 2018, Donald Trump ha mostrato a Kim Jong-un un video in stile trailer cinematografico che ritraeva la Corea del Nord dopo un’ipotetica apertura ai mercati del mondo. Benché la stampa internazionale non riuscisse a darsi ragione dello styling hollywoodiano, in realtà quella offerta da Trump non era altro che la moneta comune del mercato immobiliare e commerciale globale contemporaneo. Quel trailer era solo uno delle centinaia di video simili prodotti dalle render farm su indicazione degli imperi immobiliari e infrastrutturali di tutto il mondo. In genere questi rendering pubblicizzano la formula urbana contagiosa delle zone franche: un superbug spaziale dell’urbanistica globale apparentemente invulnerabile.
Con la ripetitività e la monotonia tipiche della pornografia, questi cliché dell’urbanistica globale condensati in tre minuti si aprono in genere con un’immagine del cosmo, all’alba di una nuova era. A seguire, un’animazione a volo radente in stile Guerre stellari si insinua tra una distesa di grattacieli digitali che spuntano dal terreno per poi dirigersi verso aree industriali, terminal di container e resort turistici. Una voce narrante recita tutti i mantra neoliberali del libero commercio: esenzione fiscale, manodopera a basso costo, procedure doganali semplificate e deregulation delle norme di diritto del lavoro e ambientali. What a Feeling, colonna sonora di Flashdance, fa da sottofondo a un video che pubblicizza l’apparato logistico di una città. Una melodia in stile Yanni accompagna magniloquenti attestazioni di urbanità da città globale, mentre pallidi personaggi animati passeggiano ondeggianti lungo i viali oppure solcano i mari, con volto impassibile, a bordo dei loro motoscafi. Una serie di ville allineate appare sullo schermo mentre altri imponderabili personaggi animati si muovono con passo felpato tra i giardini lussureggianti che improvvisamente compaiono tutt’intorno. Una veduta aerea sorvola campi da golf con prati rasati a forma di panda e distese di ville identiche dai colori pastello. Nel solenne finale, in un crescendo di note tratte da Titanic, coriandoli, tramonti incandescenti e cuoricini fanno da preludio all’ultima inquadratura che allontanandosi da fuochi d’artificio e satelliti in orbita ritorna alla stratosfera.
Prima del summit, anche la Repubblica Popolare Democratica di Corea aveva prodotto video estatici che mappavano zone economiche speciali, esistenti o future, riservate all’industria o al turismo sulla costa orientale o lungo i confini con Russia e Cina. Uno di questi, sottotitolato in inglese da Voice of Korea, dispiega il solito repertorio, dalle immagini della stratosfera ai fuochi d’artificio finali, accompagnandolo con una frenesia di temi musicali dal ritmo incalzante: arpe sintetizzate, polke suonate all’organo, marce patriottiche, gighe alla fisarmonica dai toni acuti, interludi di bongo, ninnenanne emozionali e walzer.
Il trailer della Casa Bianca seguiva alla lettera il modello dominante, tranne che per l’aggiunta di un dettaglio che ammiccava al mondo delle celebrities: l’annuncio degli “attori principali” Kim Jong-un e Donald J. Trump.
In tutti questi video, la retorica è dissociata dalla disposizione dell’organizzazione. La zona franca è sia un circuito chiuso sia un moltiplicatore. Lascia circolare soltanto gli elementi compatibili e contemporaneamente si espande in territori sempre più ampi, facendo da incubatore a un numero sempre crescente di prodotti spaziali ripetitivi. Ricalca tutti gli script sulla città “intelligente”, ma più si ingrandisce più diventa stupida. Nel nome della libertà, i nuovi sostenitori del nativismo chiedono di riportare le attività lavorative all’interno dei confini nazionali. Ma sempre nel nome della libertà, le grandi aziende sono impegnate da decenni nella costruzione a livello internazionale di questo ampio apparato fisico di zone franche grazie al quale possono avvalersi della manodopera più economica al mondo. E questo “libero mercato” in realtà è un mercato manipolato che privilegia soprattutto la libertà delle grandi aziende e della finanza offshore.
Tutto questo però è risaputo, e non turba affatto Trump, Kim, o la zona stessa. Questi tre superbatteri sono avanti anni luce. Sanno che l’urbanistica contemporanea è guidata in larga misura da flussi di reddito sotto false spoglie. L’allestimento di spazi al di fuori della legge si presta perfettamente alle ambizioni del settore immobiliare, dei regimi totalitari e dei prevaricatori politici.
Personaggi come Trump e Kim sono la dimostrazione dell’esistenza di molti mercati di persuasione e di molte fonti di violenza che non rientrano tra i nemici atavici identificati nelle battaglie ideologiche tra destra e sinistra. Le loro favole totemiche non sono anomalie precapitaliste ma costanti culturali, legate al capitale soltanto in maniera sporadica e marginale.
I superbatteri non si affiderebbero mai esclusivamente a soluzioni, dichiarazioni razionali o programmi ideologici coerenti. Per dirla alla loro maniera, sarebbe come presentarsi a una sparatoria con un coltello. Le soluzioni sono troppo deboli. Le idee legate al libero mercato, al capitalismo, al liberalismo economico o al comunismo non hanno alcun senso se non quello di mobilitare le persone facendo leva su lealtà residue. I due leader sono solo capaci di valutare se l’attenzione e il potere si consolidano intorno a loro oppure no. Sono queste le disposizioni, i potenziali e i temperamenti che i superbatteri riescono bene a interpretare.
Indifferente di fronte a prove sempre più schiaccianti, ed evitando dichiarazioni sincere, il superbug sa come creare atmosfere caotiche prive di significato e di informazioni. La superficie ruvida e dentellata della pelle di squalo crea una microturbolenza sufficiente a conferire aerodinamicità ai movimenti dell’animale nell’acqua. Allo stesso modo, i racconti volubili e le dicerie contagiose dei superbatteri isolano e lubrificano il suo passaggio nel panorama politico. La stupidità disinformata e irrazionale a cui altri cercano invano di rimediare è lo zucchero che gli dà energia.
Nel 2020, nel corso di un briefing alla stampa sulla Coronavirus Task Force, Trump ha definito il virus «geniale», attributo che in genere riserva a sé stesso. Parlando della pandemia del 1917 e della capacità dei virus di riemergere, Trump ha dichiarato: «Uno legge del 1917 e di eventi del genere e pensa che nell’epoca moderna una cosa così non possa mai succedere. E invece ritorna. È geniale». È come se Trump, che continua indefesso a riscrivere la sua storia, avesse visto qualcosa di sé in un virus che continua a mutare per sopravvivere.
Mentre le turbolenze e le trasformazioni che si accompagnano ai voltafaccia ideologici possono anche essere effimere, i superbatteri politici riescono a legittimare superbatteri biologici realmente esistenti e a favorire cambiamenti fisici, territoriali e atmosferici duraturi. Ma gli stessi potenziali, presenti in territori improbabili e attivati dall’interazione, possono rivelarsi antidoti efficaci.
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SAPPIAMO PIÙ DI QUANTO SAPPIAMO DIRE
Per renderci conto di come spesso le organizzazioni raccontino cose diverse da quelle che fanno, torniamo a quel punto cieco proprio di fronte a noi, alla terra incognita in cui siamo già stati. Al di là delle etichette, delle espressioni lessicali o di altre dichiarazioni, il cuoco, il genitore, il cane, l’urbanista o il giocatore di biliardo citati nella prefazione e nell’introduzione valutano il loro ambiente gestendo le attività e i potenziali relativi tra gli oggetti nel corso del tempo: reazioni chimiche, ricette, o temperamenti.
La cultura può anche trattare queste attività latenti come fugaci, elusive o lontane da una realtà registrabile, ma considerare gli eventi distinti e le dichiarazioni un riflesso del mondo è pericoloso tanto quanto ignorare i potenziali incendiari degli esplosivi. Come potrebbero confermarvi un chimico, o un cuoco, un genitore o un urbanista, le reazioni più pragmatiche prendono in considerazione attività e potenziali. E queste disposizioni – come la propensione a esplodere di alcune sostanze chimiche, o la tendenza culturale a creare circuiti chiusi e dicotomie – esercitano spesso l’influsso maggiore.
Quella ineluttabile oscillazione tra circuiti chiusi e contrapposizioni binarie può perfino generare le proprie condizioni meteorologiche per oscurare i dati sul clima reale: l’accelerazione del cambiamento climatico, la crescita tentacolare delle periferie urbane, l’iniquità dei mercati delle zone franche, gli approcci stupidi alle tecnologie intelligenti o le leggi contraddittorie sull’immigrazione descritti nell’introduzione. Indipendentemente dalla sostanza di questi problemi, la costante e comprovata tendenza della cultura a cercare entità globali che si auto-rinforzano o a dichiarare battaglia spalanca le porte ai superbatteri politici, abilissimi nel manipolare quei circuiti e quelle dicotomie per rinforzare il proprio potere.
Pur essendo tacite, molte attività importanti possono essere progettate o modulate deliberatamente. Le forme di progettazione delle attività e del potenziale sono magari meno note delle forme di progettazione degli oggetti. Magari non consistono tanto nel determinare una forma quanto nell’orchestrare un’interazione. Ma per ragioni che appariranno sempre più evidenti, potrebbero comunque riuscire a influire su quegli spazi incontrollati di sviluppo globale che creano sconcerto tra i progettisti, i teorici e gli specialisti di qualsiasi disciplina.
La costellazione di medium thinkers qui riuniti – urbanisti, filosofi, scienziati, teorici della politica e dei media, psicologi, fisici, artisti, progettisti ecc. – dà vita a una “staffetta” di idee. Le diverse espressioni da loro adottate per definire l’attività nelle organizzazioni – performance, agency, disposizione, propensione, affordance, proprietà e tendenza – sono termini di uso comune che ricorreranno più volte nel libro. La speranza è che siano ampiamente comprensibili e che non richiedano perciò definizioni terminologiche autoritarie e superflue. Questi pensatori distolgono continuamente l’attenzione dalle tendenze nomenclatrici e dichiarative e mettono da parte la mente moderna per ridare centralità ad atteggiamenti pragmatici dettati dal buonsenso che potrebbero passare inosservati.
Per quanto la nostra “staffetta” costituisca una mappa per esplorare a fondo i punti di vista dei singoli studiosi, l’obiettivo di fondo è rendere più tangibili le attività o le disposizioni latenti e raccogliere suggerimenti utili su come progettare le interazioni nello spazio. L’ordine pressoché cronologico in cui vengono introdotti i diversi pensatori potrebbe non essere rilevante visto che la tradizione – se di tradizione si può parlare – è spesso discontinua. Nessuno è stato escluso in quanto non appartenente a una scuola di pensiero o a uno schieramento politico. Alcuni sposano teorie simili senza fare riferimento a chi li ha preceduti, mentre altri cercano di sintetizzare in maniera più solida questo approccio proprio perché è comune e vago allo stesso tempo. Il lettore è invitato a trovare rimandi tra questi e altri pensatori, menzionati nei capitoli seguenti, a mano a mano che la nostra rassegna prosegue e diventa sempre più interconnessa.
Sapere come/Disposizione
Gilbert Ryle, filosofo del linguaggio ordinario, ha già dato un contributo alla nostra analisi con la sua distinzione tra il “sapere che” e il “sapere come”: la differenza tra conoscere la risposta giusta e sapere in che modo fare qualcosa. Al pari del biliardo, il “sapere come” richiede la capacità di reagire a una sequenza mutevole di segnali avvalendosi di competenze pratiche nel corso del tempo. Ai fini pratici è più utile “sapere come” navigare in un paesaggio fluviale mutevole che non affermare di sapere tutto sulle variazioni degli argini e delle secche di quel fiume. Si può solo “sapere come” dare un bacio, raccontare una barzelletta o far atterrare un aereo in condizioni di vento forte. Ancora una volta, la praticità si fonda sull’indeterminatezza.
Il concetto di mente (The Concept of Mind, 1949) di Ryle offre una vivace analisi della disposizione nell’ambito di...