Scienza e scelte politiche durante il Covid-19
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Scienza e scelte politiche durante il Covid-19

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Scienza e scelte politiche durante il Covid-19

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Treccani ha avuto la felice idea di convocare persone di diverse discipline per discutere del Covid e del dopo Covid, inviando loro un testo di Giorgio Agamben dal titolo, e dai contenuti, alquanto provocatori: La medicina come religione (disponibile in rete, sul sito della casa editrice Quodlibet: https://tinyurl.com/y5y5beue). È un testo su cui è difficile incontrare un consenso generale, ma è tuttavia adattissimo a porsi domande sul rapporto fra scienza e politica, sull'esistenza, e quindi sul fondamento, delle credenze collettive che attribuiscono alla scienza, e alla stessa medicina, doti sempre e necessariamente salvifiche, sul fascino, infine, che riescono per parte loro a esercitare le opposte tesi, secondo cui le risultanze scientifiche sono solo ideologie artefatte, usate dal potere per comprimere le libertà altrui.La provocazione ha funzionato e ha generato risposte, analisi e prospettive che, nonostante la necessaria brevità dei contributi, sono davvero a largo spettro. C'è la storia delle relazioni fra scienza e discipline umanistiche, con l'illuminismo di Diderot (e della sua Encyclopédie) che aveva cercato di metterle insieme, la frattura successiva fra positivismo e romanticismo, sino alla traumatica vicenda delle scorse settimane. In essa ci siamo accorti di quanto fosse ancora viva la diffidenza verso la scienza, ma anche, e soprattutto, quanto si fosse in realtà solidificata la certezza che scienza e medicina avessero in tasca la soluzione, cosicché il tonfo più grave è stato quello che ha rimesso al centro delle nostre relazioni umane la paura, la paura di un male inaspettatamente sconosciuto e quindi di un contagio contrastabile solo con il più antico dei rimedi, l'isolamento sociale.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2020
ISBN
9788812008896

Covid-19: il quarto shock

di Sebastiano Maffettone1
“Scienza” e “religione” sono termini complessi a monte di concetti dal significato non univoco. È difficile dire che cosa è scienza e che cosa non lo è, nonostante i tentativi di “demarcazione” proposti da tanti filosofi della scienza a cominciare da Karl Popper. Inoltre, non è facile definire scienze allo stesso modo la storia e la fisica. Analoghe difficoltà si possono incontrare nella definizione di religione. Anche in questo caso, infatti, non è semplice integrare nell’ambito del religioso l’elemento di spiritualità che sicuramente ne fa parte con quegli aspetti che riguardano più direttamente la prassi, il culto e la costituzione di una comunità di fedeli. Ciò per non parlare del fatto che il significato di scienza e religione cambia nel tempo e attraverso le culture. Mi limiterò perciò in questo scritto a sostenere quello che pensiamo tutti di solito, e cioè che scienza e religione sono cose diverse coprendo ognuna a maniera sua necessità differenti dell’essere umano. Anche in questo caso, sia chiaro, non è ovvio dire in che cosa consistano tali differenze, se non rimandano all’antica distinzione per cui le scienze si occupano del mondo naturale mentre le religioni includono anche il soprannaturale. Per fare un solo esempio, mentre i nostri stati mentali possono, dal punto di vista religioso, essere giustificati con riferimento a un’anima immateriale, di solito gli scienziati li spiegano in termini di stati e funzioni del cervello. Sotto questa premessa, è plausibile che la relazione tra scienza e filosofia preveda tre opzioni del tipo delle seguenti:
non c’è sovrapposizione tra i due domini che sono reciprocamente indipendenti;
esiste un’interazione complessa tra scienza e religione, che può prendere diverse forme dal dialogo al conflitto;
scienza e religione non sono separabili in maniera concettualmente chiara e in ultima analisi coprono il medesimo ambito.
Nel mio ultimo libro sulla pandemia da Covid-19 – intitolato Il quarto shock, per quel che ne so il primo libro filosofico sul tema – ho fatto mia una versione dialogica della tesi dell’interazione. Più precisamente, nel libro ho proposto una forma di integrazione tra scienza e spiritualità, quest’ultima vista kantianamente nella prospettiva dell’etica. Il presente scritto, alla luce di quanto finora affermato, è diviso in due parti: nella prima presento la visione filosofica in nuce che è implicita nelle tesi sostenute ne Il quarto shock; nella seconda cerco di esporre criticamente il contenuto del libro stesso.
1. In questa prima parte, vorrei parlare – come detto – della filosofia implicita nel libro. Sotto l’onda dell’emozione, atterriti dalla morte, scioccati da un evento inatteso e devastante siamo costretti a riflettere. In effetti, la cultura, l’arte e le scienze si trovano oggi al cospetto di una sfida epocale. La pandemia da Covid-19 non è una crisi come le altre. Rappresenta piuttosto l’apice di una curva che indica un cambio di civiltà. In altre parole, la pandemia ha avuto come effetto un vero e proprio cambiamento di paradigma. Da questo punto di vista, vorrei sottolineare tre aspetti filosofici che caratterizzano tale cambio di paradigma nella mia interpretazione:
da un lato, penso che al centro del nuovo paradigma ci sia la riscoperta della complessità;
in secondo luogo, ritengo che la filosofia possa giocare un ruolo rilevante nell’ottica del nuovo paradigma basato sulla complessità per la sua capacità di essere “inter-lineare” e critica;
in terzo luogo, credo che si debba riflettere sul ruolo che l’idea di valore e la normatività giocano nel paradigma come da me presentato.
Volendo cominciare a chiarire che cosa intendo con questi tre assunti, si può dire quanto segue. Il passato conta anche per l’evoluzione culturale, come ci insegnano gli storici, ma in maniera diversa da quanto succede nell’evoluzione naturale. In ambito culturale, i cambiamenti sono molto più rapidi. Sono nato cattolico, e se volessi potrei diventare buddista senza dovere aspettare i tempi lunghissimi dell’evoluzione. L’evoluzione biologica richiede un’enorme pressione dall’ambiente per avere luogo. Il cambiamento culturale molto meno. Tradizionalmente, si pensava che l’evoluzione biologica avvenisse del tutto a caso. Nell’ultimo periodo, in base a visioni più sistemiche, si comincia a pensare che forse cambiamenti epigenetici possono influenzarla al mutare del contesto ambientale. Si potrebbe azzardare che – a maggiore ragione – qualcosa di simile dovrebbe valere per l’evoluzione culturale. La pandemia da Covid-19 potrebbe convincerci a rimodernare la nostra casa, sarebbe a dire la nostra nicchia ecologica. Il ruolo della filosofia in ciò consiste nell’imparare a tenere in maggiore considerazione la complessità sistemica del contesto entro il quale operiamo. Complessità sistemica che ci impone da un lato di pensare e operare in termini di intelligenza collettiva, dall’altro lato di favorire una robusta resilienza della natura.
Intelligenza collettiva vuol dire che i grandi problemi di oggi non si risolvono in solitario. Se il caso volesse fare nascere un altro Leonardo da Vinci, non sarebbe con ogni probabilità una persona ma un gruppo. E un gruppo interdisciplinare e multitasking. La tradizionale – e tutto sommato sana – abitudine accademica alla specializzazione non funziona più. Nel senso che non è più in grado di risolvere i grandi problemi che ci stanno di fronte, dall’ambiente alla finanza, dalla povertà alle epidemie. Questo, per intenderci, non vuol dire che dobbiamo abbandonare le competenze individuali, ma semplicemente che dobbiamo integrarle. Perciò parliamo di intelligenza collettiva. La pandemia da Covid-19 ci rende evidente tutto questo. Il problema sanitario è la punta di un iceberg. Sotto si celano i problemi ecologici, economici, politici, di comportamento. Solo il lavoro di squadra permette di entrare nel merito di un insieme così intricato. Oggi abbiamo diffuse potenzialità di processare big data. Quello che ancora in parte manca e possiamo contribuire a costruire è la capacità culturale collettiva di interpretarli.
Simile argomento si potrebbe adoperare per quella che ho chiamato resilienza della natura. Quella natura che noi abbiamo violentato e offeso in nome del successo economico e del progresso tecnologico. Si può, come ho tentato di fare nel libro, legare il discorso sulla salute pubblica con quello sulla tutela della natura. Non sono la stessa cosa, ma più andiamo avanti più si scopre l’interdipendenza tra di loro. Non ha più senso continuare a lavorare contro il contesto ambientale nell’ottica miope di un guadagno immediato. Il tempo in cui si poteva farlo, ammesso che sia mai esistito, oggi è finito. Durante il lockdown abbiamo visto qua e là riaffiorare presenze dimenticate di flora e fauna. Lo hanno fatto quasi profittando della nostra parziale assenza. Animali e piante sono ricomparsi sul palcoscenico del mondo senza di noi. La tesi basata sulla resilienza della natura è che invece devono farlo non senza, ma con noi. In una più armoniosa ontologia del vivente la cultura deve accompagnarci anche in questo percorso alla ricerca di una nuova sostenibilità sistemica.
Con un po’ di fantasia, possiamo immaginare così che si applichi l’arte dell’ermeneutica, una techne da filologi romanzi, all’interpretazione dei big data. Che si possa rafforzare la resilienza della natura usando la biologia con le lenti dello storico (come faceva Darwin). Che gli economisti basino le loro previsioni non solo su formule ma anche sulla lettura dei classici della letteratura. Che i giovani continuino a guardare il mondo sugli schermi ma filtrandolo attraverso le arti visuali. Con un fiorire di derive trasversali, percorsi psicogeografici, strumenti linguistici alternativi, visualità sonore, poemi concreti. E così via…
Nel Quarto shock, ho sostenuto che se vogliamo capire noi stessi e quello che facciamo, dobbiamo fare attenzione a due scissioni profondamente fuorvianti: la prima riguarda il dominio della pratica e la seconda quello della teoria. Nel primo caso, la domanda che ci poniamo insiste sulla possibilità di concepire un io diviso in due parti: una puramente razionale e massimizzatrice dei propri interessi, l’altra affettiva ed empatica. Abbiamo fatto corrispondere tale visione, a nostro avviso implausibile, al modo in cui (di solito) rispettivamente economisti ed eticisti concepiscono i fondamenti delle nostre scelte.
Nel secondo caso, la scissione verte invece su due aspetti della conoscenza. In che senso – questa è la domanda che ci poniamo nell’occasione – la conoscenza oggettiva comporta una trasformazione anche del soggetto conoscente? È una domanda antica, che si ripropone di continuo e a cui noi abbiamo cercato di rispondere prendendo le mosse dalla “cura di sé” di cui ha parlato Foucault, in polemica con la tradizione cartesiana del pensiero moderno. La nostra tesi, come abbiamo anticipato, è che queste due scissioni sono superabili nell’ottica di una teoria del valore. Tale teoria vedrà continuità dell’io nelle scelte pratiche e trasformazione del sé come c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Giuliano Amato
  4. Covid-19: il quarto shock di Sebastiano Maffettone
  5. Tra verità e incertezza: la cultura scientifica in Italia di Silvia Onesti
  6. La scienza e le contraddizioni dell’uomo contemporaneo di Vincenzo Paglia
  7. Il tempo pandemico: la paura del contagio e la responsabilità della politica di Giorgio Scichilone
  8. Scienza, tecnica e politica nell’era di Covid-19 di Paolo Vineis