Biblioteca
  1. 192 pagine
  2. Italian
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Esiste un luogo che condensa magicamente il sapere universale incutendo timore e soggezione ma allo stesso tempo suscitando come nessun altro stupore e senso di pace: siamo in biblioteca. Da quelle dell'antico Oriente alle greche preellenistiche, dalla famosa, storica alessandrina a quelle di Roma e del mondo romano, dalle cristiane alle medievali, dalle rinascimentali fino a quelle moderne, spettacolari, di Parigi, Londra, del Vaticano, questo libro è un viaggio nel tempo e nello spazio alla scoperta dei modi in cui popoli ed età diverse hanno conservato lo scibile e tramandato ai posteri l'eredità culturale del passato. Da considerare che in un'età nella quale la stampa non era ancora stata inventata una biblioteca non era soltanto raccolta, ma anche officina di manoscritti, dove i rotoli venivano sì acquistati, ma anche copiati.Non è solo la storia a essere raccontata in queste pagine, che ricostruiscono anche i diversi criteri di ordinamento e archiviazione, le varie scelte architettoniche, di distribuzione interna degli spazi, di estetica, di illuminazione, per offrirci lo spettacolo dei luoghi della conoscenza nella sua interezza.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2022
ISBN
9788812009398

1

Storia delle biblioteche

Antichità

Biblioteche dell’antico Oriente

La maggior parte della letteratura babilonese a noi conservata proviene da un’unica biblioteca, quella del re assiro Assurbanipal (668-626 a.C.), che fu scoperta a Ninive (Quyūngiq) verso la metà del secolo passato. Il nome di biblioteca non pare a prima giunta convenire a un ammasso di tavolette d’argilla cotta; ma la raccolta di Assurbanipal lo merita sia per la ricchezza sia per l’ordinamento. Essa contiene specialmente scritture letterarie, poemi epici e miti, ma anche testi liturgici e magici (salmi, scongiuri, raccolte di auguri, formularirituali); inoltre liste cronologiche, e relazioni di re, capitani, impiegati, privati su avvenimenti guerreschi, pagamenti di tributi, lavori pubblici, atti amministrativi dei governatori delle province ecc.; poi osservazioni e calcoli astronomici, tabelle di pesi e misure, emerologi; poi ancora testi didattici: elenchi di caratteri cuneiformi, liste di parole, e così via. Ogni tavola ha la propria segnatura, in primo luogo una nota di appartenenza, impressa con una stampiglia, per così dire l’ex libris (proprietà di Assurbanipal, re del mondo, re di Assiria); talvolta anche indicazioni sull’esemplare da cui il libro fu copiato e il luogo dove esso si conservava: così quest’antichissima biblioteca getta luce anche su precedenti, perite (nel santuario di Marduk a Babele, Assur, Kutha, Agada, Nippur); qualche volta è citato quale proprietario dell’esemplare un privato. Tavolette che appartengono a opere in continuazione, sono numerate; non manca mai la “custodia”, cioè l’ultima riga della tavoletta precedente è ripetuta al principio della seguente. Spesso, come nei manoscritti del nostro Medioevo, si promettono benedizioni a chi conserverà bene l’opera, si maledice chi la distruggerà o le recherà danno. Già presso gli antichi babilonesi il concetto di biblioteca implicava quello di catalogo: sono conservati almeno cataloghi parziali delle formule di scongiuro, delle raccolte augurali, della grande opera astrologica.
Nell’Egitto pretolemaico già esistevano, oltre alle raccolte di iscrizioni monumentali, biblioteche di papiri; in una tavoletta di maiolica trovata a Tell-Amarna ci è conservato una specie di ex libris: il nome del re Amenofi III e della sua sposa e il titolo: Il libro del dolce sicomoro. La tavoletta era probabilmente destinata a star sopra alla cassetta che conteneva, in più rotoli di papiro, l’opera. Così certe tavolette di alabastro trovate in scavi sembra che servissero di coperchio ad altri repositori di libri.

Biblioteche greche preellenistiche

La tradizione secondo la quale Policrate di Samo avrebbe già posseduto una biblioteca, e Pisistrato avrebbe persino ammesso alla propria il pubblico, appare non degna di fede. Se tali biblioteche fossero già esistite prima delle guerre persiane, se ne scorgerebbero gli effetti nella storia della cultura greca; né del resto si vede che cosa esse avrebbero potuto contenere, tranne qualche poema epico. Nella Grecia di quel tempo mancano, per quel che sappiamo, corporazioni di scribi; manca il commercio librario sino a tutto, si può dire, il secolo V. La menzione forse più antica di questo è in un passo delle Rane di Aristofane (405 a.C.); poi le testimonianze divengono, almeno per Atene, man mano più fitte. Ma sino a tutto il secolo V mancavano le condizioni indispensabili perché biblioteche si formassero.
Non è al tutto improbabile la notizia che un uomo così dotto e così curioso come Euripide possedesse qualche rotolo di più dei suoi contemporanei; ma una grande biblioteca non sarà stata nemmeno la sua, se ancora il Socrate dei Memorabili senofontei considera singolare che un giovane ricco e desideroso di cultura, Eutidemo, che si era dato intorno per mettere insieme testi di poeti e di sofisti, possedesse esemplari completi dei poemi omerici! Ma durante il secolo IV le condizioni mutano, per quanto lentamente; né si può negare che il tiranno di Eraclea Pontica, Clearco, ch’era stato scolaro di Isocrate, possedesse una biblioteca più grande di quella di altri principi.
La prima grande raccolta di libri fu, secondo una fonte autorevole, Strabone (XIII, 608-609), quella che Aristotele trasmise a Teofrasto e che questi poi aumentò, seppure i fati posteriori di quella biblioteca, come ci sono narrati, sentono alquanto del romanzesco. Ma è naturale che la prima “università” nel senso moderno, cioè il primo istituto nel quale l’insegnamento era congiunto con la ricerca scientifica, il peripato, considerasse una biblioteca quale strumento di lavoro indispensabile, almeno quanto, per esempio, un museo di oggetti naturali: un’opera sistematica quale le Costituzioni di Aristotele non sarebbe pensabile senza una biblioteca ben fornita. Che Aristotele, come in questa sua attività di descrittore sistematico di fenomeni naturali e sociali prosegue l’attività di Platone nei suoi ultimi anni, così abbia già trovato una biblioteca nell’Accademia, non si può dimostrare.

Biblioteca alessandrina

Strabone asserisce, nel passo già citato, che Aristotele insegnò ai re d’Egitto a raccoglier biblioteche. E quel che sappiamo degli influssi del peripato sulla cultura alessandrina ci conforterebbe già ad assentire a questo giudizio; anche se una tradizione diffusa in parecchi rami non attestasse che colui che ispirò a Tolomeo I, militare, politico e uomo d’ingegno, ma tutt’altro che letterato, il grandioso pensiero di raccogliere e serbare ai posteri tutta la produzione letteraria del passato, fu Demetrio di Falero, cioè un grande uomo di Stato ateniese, ma anche uno scolaro di Aristotele. Può sembrare strano che la maggiore biblioteca greca sia sorta in Egitto, cioè in un paese coloniale dove fino allora di libri greci ce ne saranno stati pochi o punti, dove gli indigeni non sapevano di greco e la maggior parte dei coloni erano contadini insieme e soldati. Ma conviene anche riflettere, prima di tutto, che il bisogno di una biblioteca si fece appunto sentire forte nel momento nel quale si volle attuare in una terra nuova l’ideale greco della “cultura”, com’era stato formulato dai filosofi, nel quale, quindi, la continuità con il passato divenne un problema; in secondo luogo che l’Egitto era il paese della carta antica, il papiro, e quindi il posto dove più facilmente manoscritti comprati o ottenuti in prestito poterono essere riprodotti, copiati.
L’origine peripatetica della biblioteca alessandrina si paleserà ancor più chiaramente, se non si considera la sua fondazione isolatamente, ma in connessione con quella del museo, cioè di un istituto di ricerca scientifica, università e accademia insieme, al quale i Tolomei fin dal Sotero cercarono di attirare i maggiori tra i filologi del tempo (che voleva dire per lo più anche i maggiori poeti). La biblioteca era pensata come il campo di lavoro dei dotti del museo, i quali dovevano proseguire così in certo senso l’opera di Aristotele. E infatti, per poco che noi sappiamo della biblioteca (anche gli scavi non hanno dato risultati sicuri), par certo che essa fosse, almeno da Tolomeo II Filadelfo in giù, divisa in due sezioni, e che la maggiore e più antica (una testimonianza la chiama Biblioteca madre, altre Biblioteca interna) fosse collocata nel quartiere stesso della reggia, il Bruchion, in vicinanza immediata nel museo. La Biblioteca minore (esterna o figlia), nel serapeo, diventa importante solo nel periodo romano.
La biblioteca alessandrina esercitò sin da principio sulla cultura un influsso molto maggiore che non, per esempio, le raccolte di Parigi, di Londra, del Vaticano in tempi molto più recenti. Non conviene dimenticare che in un’età nella quale la stampa non era ancora inventata, una biblioteca non era soltanto raccolta, ma anche officina di manoscritti, che colà rotoli venivano non solo acquistati, ma anche copiati. E l’attività dei dotti che la reggevano non si limitava naturalmente alla riproduzione materiale, ma assumeva necessariamente carattere critico. Recensendo opere conservate in esemplari talvolta numerosi, ma sempre, come di necessità, in qualche modo difettosi, recensendo ben più che emendando, i dotti del museo, cioè della biblioteca, crearono le prime edizioni in certo modo critiche. La tecnica libraria dell’antichità classica deve alla biblioteca alessandrina ciò che per essa è caratteristico: la divisione di opere troppo lunghe in più libri (rotoli) relativamente uniformi, la distinzione di rotoli che contenevano un’opera sola o parte di una sola opera (ἀμιγεῖς βίβλοι) da rotoli che contenevano di seguito più opuscoli diversi (συμμιγεῖς), l’uso di preporre ai testi classici brevi sommari o “ipotesi”, l’introduzione di un’ortografia in qualche modo costante, la divisione di carmi lirici in membri, l’uso nei testi classici poetici di segni critici marginali, che erano alla loro volta giustificati con lavori speciali, ai quali risale in ultima analisi la nostra tradizione scoliografica e probabilmente molto più di questa. Ed è probabile che la res libraria abbia reagito sulla letteratura, che i poeti e prosatori più recenti nel mondo greco, e, dal periodo augusteo in poi, anche in Roma, si siano studiati, nella divisione delle loro opere in libri, di uniformarsi alle tradizioni della biblioteca alessandrina. Altri effetti, per lo più benefici, di questo modello, sono morti con la morte del rotolo; così la generalizzazione dell’uso del sillibo (σίλλυβος, in latino index o titulus), una strisciolina di pergamena con il nome dell’autore e dell’opera, attaccata al margine superiore del rotolo chiuso e pendente all’esterno; così la preferenza per certi formati, così una certa unità nella veste del libro. Più essenziale per la storia dei nostri testi è che papiri di classici, contrariamente a quel che si aspetterebbe, divengono migliori, man mano che si scende nel tempo, perché i testi migliori si propagano solo lentamente da Alessandria per l’Egitto e per il mondo.
Quanti libri la biblioteca avesse è difficile a dirsi: la grande diversità di numeri che troviamo nelle nostre fonti, del resto scarse, si spiega non soltanto e non tanto con quella tendenza degli antichi a esagerare che avevano anche, per esempio, nel computo delle forze militari, quanto coi tempi diversi ai quali esse si riferiscono. Secondo il bizantino Tzetze, che attinge, quanto alla biblioteca alessandrina, a buone fonti, sotto Callimaco la grande biblioteca avrebbe contenuto 49.000 libri, la piccola 42.800. Al tempo di Cesare la grande avrebbe noverato persino 700.000 rotoli. Queste cifre, per quanto alte, non parranno impossibili, se si riflette dall’un canto che rotolo non significa nient’affatto opera, che per esempio, un esemplare completo dell’Iliade era già costituito di ventiquattro rotoli; dall’altro canto che delle opere più celebri, quelle appunto di Omero, saranno stati custoditi in Alessandria esemplari numerosissimi.
S’intende a ogni modo come il catalogo della biblioteca, opera di Callimaco, comprendesse in certa maniera l’elenco di tutta la letteratura conservata nel secolo III dell’era volgare, intesa la letteteratura in senso larghissimo, sì da comprendere anche, per esempio, appunti sulla medicina non destinati alla pubblicazione, che costituiscono parecchie opere del Corpus Hippocrateum. Queste tavole (πίνακες) in centoventi libri sono perdute, ma qualche citazione e l’uso dei posteriori che risale a Callimaco, ci aiuta a ricostruirne lo schema, che doveva essere piuttosto uniforme: genere letterario, nome patronimico ed etnico dell’autore, le prime parole del libro, che servivano spesso da titolo, poi numero delle righe. L’opera era ordinata per materia, cioè per genere letterario; ed è verosimile che così fosse ordinata anche la biblioteca. Pare che Callimaco aggiungesse anche un’indicazione speciale, ogni qualvolta l’opera non apparisse genuina dell’autore a cui era attribuita.
Biblioteca alessandrina e letteratura ellenistica s’identificano talmente, almeno per i primi due secoli dell’ellenismo, che una ricostruzione sicura della lista dei bibliotecari getterebbe luce sulla cronologia letteraria di tutto il periodo. Fino a pochi anni or sono la sola fonte era quello stesso passo di Tzetze che abbiamo avuto occasione di menzionare; di recente il papiro di Ossirinco 1241, una raccolta di laterculi, cioè di cataloghi di persone notevoli in ogni campo dello scibile, ha portato qualche notizia nuova, ma ha anche suscitato nuove difficoltà. La lista che par più credibile, è la seguente: Zenodoto 290 circa-270; Apollonio Rodio 270-260; Callimaco, 260-240 circa; Eratostene, 240-195; Aristofane di Bisanzio, 195-180; Aristarco, 180-146; Apollonio Aristarcheo dal 146; dopo lui un commissario militare Cidante (Κύδας). I nomi seguenti (tra 81 e 55) importano meno alla storia letteraria. L’Onesandro nominato in un’epigrafe di Cipro potrà essere un antibibliotecario nominato da Tolomeo Sotero II durante l’esilio a Cipro. Ma conviene confessare che non soltanto quest’ultima asserzione è congetturale; che anzi perfino il bibliotecariato di Callimaco non è sicuro.
E poco chiari sono anche i casi successivi della biblioteca. I commissari militari ci rendono immagine di tempi di disordine e decadenza, se pure essi non si possono forse mettere in connessione con le persecuzioni del secondo Evergete contro i dotti. Ma la cultura e la biblioteca si riebbero ben presto. Secondo una tradizione largamente divulgata, che sa di retorica e non è del resto chiara in tutti i particolari, l’incendio appiccato da Cesare alla sua flotta nel 47 a.C. avrebbe raggiunto anche la biblioteca. Ma è dubbio se non si tratti di altri depositi di libri, o al più, del serapeo. Del resto il danno, se danno vi fu, venne compensato largamente pochi anni più tardi dal dono che Antonio fece a Cleopatra di duecentomila rotoli della Biblioteca di Pergamo: un termine tecnico garantisce della bontà della tradizione.
Ma durante l’impero cominciò la decadenza. Da quando l’Egitto divenne provincia, seppur la provincia economicamente e fiscalmente più redditizia e per questo appunto dominio riservato, quasi proprietà privata degli imperatori, si può supporre che la biblioteca alessandrina almeno non aumentasse più. È probabile che essa abbia sofferto già durante i disordini e le persecuzioni di Caracalla. Nel 270 Aureliano fece radere al suolo gran parte del Bruchion. Da allora non si sente più parlare della grande biblioteca. È probabile che anche quella del serapeo sia perita o abbia grandemente sofferto, quando nel 391 Teofilo appiccò l’incendio al tempio di Serapide. Dove Orosio (nel 416) asserisce di aver veduto nei templi alessandrini armadi vuoti di libri, egli si riferirà, tra l’altro, appunto al serapeo. È dubbio se contenga un nocciolo storico la leggenda, testimoniata la prima volta da un dotto storico arabo posteriore di cinque secoli, Abū’l-Faraǵ, secondo la quale il califfo Omar, conquistata la città nel 641, avrebbe fatto bruciare la Biblioteca di Alessandria: molto da bruciare pare che non rimanesse più.

Biblioteca di Pergamo

La tradizione letteraria sulla biblioteca pergamena è molto più povera di quella sull’alessandrina. È persino dubbio se essa sia stata fondata da Eumene II (197-158 a.C.) secondo una testimonianza di Strabone (XIII, 624), che parla per vero di biblioteche in plurale, o dal suo predecessore Attalo I (241-197). Cataloghi, certo imitazioni delle Tavole callimachee, sono attestati per essa come per Alessandria. Del pari gli studiosi pergameni, che impersonano una concezione della filologia (grammatica) alquanto diversa da quella alessandrina, principale Cratete di Mallo, avranno avuto di necessità, come in Alessandria, strette relazioni con la biblioteca. Un passo di Plinio (Naturalis Historia, XIII, 70), che cita come fonte Varrone, attesterebbe che specialità di Pergamo divenne la pergamena, da quando Tolomeo Fiscone re di Egitto (146-117) proibì l’esportazione del papiro per impedire lo sviluppo della biblioteca rivale: Varrone avrebbe parlato anzi secondo Plinio d’invenzione della pergamena, ma questa è senza dubbio ben più antica del secolo II a.C. La biblioteca (anche qui nella fonte è usato il plurale!) sarebbe poi stata donata da Antonio a Cleopatra, come si è detto.
Pare invece certo che gli scavi dei tedeschi a Pergamo abbiano riportato alla luce avanzi dell’edificio che servì di biblioteca. Nella parete di una sala sono stati trovati buchi, certo destinati agli uncini che portarono le assi degli scaffali: di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INTRODUZIONE di Francesco Guglieri
  5. BIBLIOTECA
  6. 1. Storia delle biblioteche
  7. 2. Ordinamento delle biblioteche
  8. 3. Le biblioteche nell’amministrazione italiana
  9. 4. Architettura delle biblioteche