L'estremo contemporaneo. Letteratura italiana 2000-2020
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L'estremo contemporaneo. Letteratura italiana 2000-2020

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Strumento di orientamento nei territori della letteratura italiana del nuovo millennio, questo volume sipropone non solo di fare il punto sulla situazione attuale del romanzo, della poesia e della critica inItalia, ma di misurarsi con alcune delle questioni-chiave dell'attuale dibattito critico sullacontemporaneità letteraria. La riaffermazione del ruolo della critica di fronte alle insidie delladisintermediazione e alle pressioni del mercato editoriale; l'ibridazione dei generi; la rinascita dellepoetiche; lo sconfinamento della poesia nei territori della performance sono alcuni dei temi di maggiorrilievo di un'opera a più voci che, a dispetto delle reiterate diagnosi sulla perdita di centralità dellaparola letteraria e di tante compiaciute denunce della sua inesorabile deriva nel magma ipertroficomultimediale, riafferma la convinzione che la letteratura continui a mantenere una sua identità forte, una sua specifica e ben distinta autonomia di forme e di strutture. Questo volume riprende gli studiriuniti nel numero della rivista "CARTADITALIA" dedicato alla "Letteratura italiana del nuovo secolo" ealcuni degli interventi al dibattito Stati generali della nuova letteratura italiana, svoltosi all'IstitutoItaliano di Cultura di Bruxelles dal 6 al 7 giugno 2019 in occasione della presentazione della rivista.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2020
ISBN
9788812008506

LA NARRATIVA ITALIANA DEL DUEMILA

di Morena Marsilio
Un panorama frastagliato
Descrivere il campo della narrativa italiana del Duemila e i suoi confini è un’impresa molto difficile, ostacolata non solo da una produzione editoriale ormai smisurata, ma anche dall’indebolimento delle categorie e dei criteri di distinzione, tradizionalmente incentrati sui generi letterari, sulla lingua e sulla cultura nazionale: in effetti la nuova morfologia del narrare a partire dalla fine del Novecento sembra essere, in ambito letterario, il global novel e, in ambito socioculturale, il cosiddetto “storytelling”.
Il tratto più evidente nell’editoria contemporanea consiste nella trasformazione del romanzo da genere letterario a genere editoriale: ne sono esempi le world fiction destinate fin dal loro comparire al successo sul mercato planetario come L’ombra del vento (2001) di Carlos Ruiz Zafón, la saga di Dan Brown (pubblicata tra il 2003 e il 2017), Il cacciatore di aquiloni (2003) e Mille splendidi soli (2007) di Khaled Hosseini, o, su scala italiana, il successo annunciato dei “romanzi degli esordienti” (per tutti La solitudine dei numeri primi, 2008, di Paolo Giordano o Bianca come il latte, rossa come il sangue, 2010, di Alessandro D’Avenia).
In favore dell’omologazione opera l’intera filiera di produzione e di distribuzione del libro. La novità innegabile del nuovo millennio è infatti costituita dall’esplosione della produzione editoriale: negli ultimi decenni la quantità di romanzi pubblicati ogni mese ammonta a varie centinaia. I dati Istat del 2017 relativi a “Produzione e lettura di libri in Italia” continuano a evidenziare un aumento dei titoli pubblicati che va di pari passo con un numero decrescente di copie stampate: il mercato punta dunque sempre più sulla novità e sulla fungibilità delle opere. Del resto, a partire dagli anni Ottanta, la rapida trasformazione dell’industria editoriale, basata su una concentrazione sempre più ampia di marchi un tempo autonomi, ha profondamente segnato l’identità stessa delle opere narrative e il loro posizionamento sul mercato. Ne è un sintomo, a suo modo, la stessa revisione delle regole del Premio Strega sotto le direzioni prima di Tullio De Mauro e poi di Giovanni Solimine: con l’apertura ai titoli prodotti da case editrici indipendenti, il premio ha cercato di arginare l’influenza del monopolio editoriale dopo le fusioni Mondadori-Rizzoli e Bompiani-Giunti. In tale contesto gli editori e le librerie indipendenti, benché economicamente fragili rispetto alle concentrazioni monopolistiche, restano probabilmente il vero antidoto contro le tendenze omologanti di un’«editoria senza editori».1
Sul versante della distribuzione, alle librerie indipendenti, un tempo maggioritarie, si sono affiancate quelle di catena e si sono affermati altri potenti canali di distribuzione: le edicole, i centri commerciali, i punti vendita nei grandi snodi del traffico e gli store on-line.
A mutare radicalmente i confini e il concetto stesso di “narrativa”, oltre alla crescita degli agglomerati editoriali, è il cosiddetto narrative turn2, l’aumento esponenziale dei procedimenti narrativi in base al quale il mondo «sembra diventato un surrogato del libro».3 Alla parola “narrazione”, non più appannaggio della sfera delle arti, corrispondono nel nuovo millennio gli ambiti dell’informazione, della politica e della pubblicità: in un simile contesto la letteratura sembra di necessità espropriata e marginalizzata.
Tuttavia, né l’egemonia della mediosfera né l’espansione per usi persuasivi dello storytelling hanno davvero esautorato in Occidente la forma scritta del novel come dispositivo specifico di rappresentazione della realtà,4 e la verifica di questa persistenza in Italia sarà l’oggetto del presente saggio. Se, in un panorama complessivamente ipertrofico si accoglie dunque la sfida di provare a individuare quella narrativa che, pur stando sul mercato, cerca di superarne le logiche fungibili, si deve vagliare la grande varietà di scritture di questi anni: oltre al romanzo e al racconto, ci si imbatte, infatti, in altre forme narrative che, come vedremo, hanno confini più fluidi e permeabili che in passato.
Nominare le scritture del nuovo millennio
La periodizzazione del primo ventennio del secolo è ancora in corso e l’incertezza si misura anche dai diversi concetti-chiave utilizzati per nominarne le scritture: “narratori degli anni Zero” o dell’“estremo contemporaneo”, “ritorno alla realtà” e “ipermodernità”.
Con l’espressione “narratori degli anni Zero” si è descritta ed enfatizzata una doppia cesura: sia quella tra gli autori contemporanei – talvolta definiti “a perdere” – e l’esperienza del Novecento, sia quella successiva a Ground Zero dell’II settembre 2001, considerato da alcuni una frattura epocale rispetto alla cultura postmoderna.5
Più pertinente, anche per l’Italia, sembra invece la nozione di “estremo contemporaneo”, categoria descrittiva dai confini temporali aperti adottata da alcuni studiosi6 in riferimento alle prose narrative francesi più recenti (Emmanuel Carrère, Annie Ernaux, Laurent Mauvignier, Maylis de Kerangal, Michel Houellebecq) e che mira a individuare le varianti e le costanti di genere e di tema di un’epoca, «considerando il reale per quello che è, cioè in divenire».7
Non esclusivamente periodizzanti ma relativi anche alle forme dei testi sono i due concetti che più hanno circolato per distinguere la narrativa del nuovo millennio da quella postmoderna di fine secolo. Il dibattito sul cosiddetto “ritorno al reale” ha preso avvio dopo un’inchiesta pubblicata nel 2008 su “Allegoria”;8 curata da Raffaele Donnarumma e Gilda Policastro, ha dato occasione di ripensare il ruolo dello scrittore e della narrativa nella società del nuovo millennio, reattivo in particolar modo al contesto mediatico.
In questo stesso periodo Donnarumma ha introdotto in Italia la nozione, già diffusa e discussa in ambito francese, di “ipermodernità”, categoria di matrice sociologica e filosofica, per alcuni alternativa, per altri successiva, al postmoderno. Nell’adozione in ambito letterario, essa allude a una continuità – per lo più esasperata – delle forme e degli stili della modernità: «l’ipermoderno […] è una compulsione nevrotica che neutralizza i suoi idoli (rapidità, novità, efficienza, fattività…) proprio mentre li innalza».9 Il segno più evidente di questa postura in narrativa si riscontra nell’atteggiamento critico degli intellettuali verso il presente, nell’adozione di forme di responsabilità etica e anche di fattiva partecipazione alla vita pubblica, attuate per lo più a titolo personale, in modo indipendente da appartenenze politiche o da dichiarazioni ideologiche. Nella proposta di Donnarumma si ravvisa una tendenza inclusiva, che tende a comprendere in un’unica categoria tanto le ultime manifestazioni «agguerrite»10 del postmoderno – si pensi alla trilogia di Walter Siti, alle ultime opere di Antonio Tabucchi, alle prime prove narrative di Nicola Lagioia – quanto una ripresa del realismo spesso coincidente con i generi non finzionali (esemplari i libri di Helena Janeczek, Antonio Moresco, Eraldo Affinati, Antonio Franchini, pubblicati a cavallo degli anni Novanta e dei primi anni del Duemila).
L’esigenza di denominare una modalità narrativa percepita oramai come definitivamente mutata rispetto all’«ironia fredda»11 del postmoderno è stata sentita anche dal collettivo Wu Ming, che ha coniato l’etichetta “New Italian Epic” per indicare una nebulosa di scrittori che condividono una visione “obliqua” e demistificante della letteratura, pur nella difformità degli approcci e nella disomogeneità degli esiti: gli autori degli «oggetti narrativi non identificati»12 (Uno) mostrano una preferenza per generi misti, a cavallo tra finzione e non finzione, e la propensione per lo smascheramento dei luoghi comuni trasmessi dalla narrazione storica o dai media.
I confini della narrativa contemporanea: tra alta e bassa finzionalità
Per classificare i libri di narrativa italiana del nuovo millennio si è fatto ricorso in prevalenza a tre schematiche categorie, solo apparentemente impermeabili l’una all’altra: fiction, non-fiction e autofiction. Tutte incentrate sul termine inglese “fiction”, che definisce le opere d’invenzione fondate sul principio del «to make-believe»,13 queste etichette sono a un tempo distintive e confusive. In particolare, l’opposizione netta tra fiction e non-fiction non dà conto delle multiformi testualità che trovano diritto di cittadinanza nella narrativa contemporanea, mentre il concetto di autofiction ha in sé un’ambivalenza per la quale è stato considerato da alcuni più affine alla forma romanzo, da altri più compatibile con la non-fiction.14
La distinzione fra fiction e non-fiction, insomma, è impropria e corrisponde, più che a una categoria effettivamente funzionale, a un sommario packaging editoriale o a un’«angoscia di derealizzazione»15 degli autori, desiderosi di segnare un netto confine tra la loro costruzione del mondo e la rappresentazione estetizzante che ne fanno i reality contemporanei. Va detto, inoltre, che l’espressione “fiction” non ha avuto in italiano equivalenti ben assestati per un lungo periodo di tempo dal momento che nell’uso comune essa è stata legata prevalentemente all’intrattenimento televisivo e, dunque, solo a un’idea di cultura di consumo. Nondimeno negli ultimi anni anche nel nostro paese i termini “fiction” e “finzione” hanno cominciato ad acquisire una diversa rilevanza e dignità, alludendo alle modalità del «patto narrativo»16 che il lettore stipula con l’autore nel momento in cui decide di prendere per vero quanto gli viene raccontato.
Di recente è stato proposto di ripartire la narrativa del Duemila fra scritture ad alta o a bassa finzionalità.17 Questa tassonomia è forse la più praticabile per dar conto dell’intero campo della narrativa italiana al tempo della “narratività diffusa”: il racconto può essere considerato infatti come la risposta a una necessità psichica di ricondurre a un senso e a una forma gli eventi destrutturati della vita18 e, se questo specifico bisogno è oggi soddisfatto da uno storytelling dominante, la persistenza del romanzo di ricerca o di qualità deve essere misurata su questo stesso terreno.
Il romanzo, del resto, è un genere onnivoro19 capace di assimilare e mescolare ogni codice e, se i confini della narrativa si sono fatti più labili, dando spazio a contaminazioni evidenti ed estese con il saggismo, con il giornalismo, con l’autobiografia, ciò che permette di distinguere, comunque e nonostante tutto, i diversi modi di narrare caratteristici della contemporaneità è il differente tasso di finzione che queste scritture comportano: «si potrebbero chiamare “scritture d’invenzione” quelle riferite a un mondo possibile, le opere di fiction, “d’informazione” quelle che gravitano intorno al mondo attuale».20 Nelle prose dell’estremo contemporaneo ciò è percepibile fin dall’incipit della narrazione, luogo da cui il narratore stabilisce il patto e lancia le sue “esche” al lettore. Per esempio, fin dalle prime righe di Troppi paradisi (2006), ultimo volume della trilogia autofinzionale di Siti, l’autore-narratore-protagonista si presenta spaesando il lettore: «Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità. Le mie reazioni sono standard, la mia diversità è di massa». La dichiarazione onomastic...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Avvertenza
  5. Introduzione
  6. La narrativa italiana del Duemila
  7. La poesia italiana del Duemila
  8. La saggistica letteraria del Duemila
  9. IL DIBATTITO