Situazioni del discorso 1
Il modo di presentarsi
Quando si accetta l’idea che per trarre un insegnamento non è necessario aspettare che certi fatti siano avvenuti.
È giunto il momento di analizzare alcune situazioni particolari del discorso, che chiunque si trova a vivere durante la propria esistenza e rispetto alle quali è importante farsi trovare pronti. La prima fra tutte è l’autopresentazione, circostanza di fronte alla quale possiamo trovarci in qualunque momento della vita sociale, e a cui gli artisti e gli scrittori sono ancora più sensibili, visto che si trovano a gestire – nell’immediato come per i posteri – l’immagine di loro stessi che hanno scelto di mostrare al pubblico.
È molto raro vedere un volume della prestigiosa collana Bibliothèque de la Pléiade consacrato alla propria opera – ciò costituisce una tappa importante per la canonizzazione di uno scrittore –, ma è ancora più raro che questo onore sia reso quando si è ancora vivi, e pochi autori possono vantarsi di averlo vissuto.
Così il poeta francese Saint-John Perse è nel pieno diritto di gioire quando viene a sapere che gli sarà attribuito questo riconoscimento editoriale che sognava da tempo e, ancora di più, che sarà coinvolto in prima persona nella realizzazione del volume che riunirà le sue opere complete.
Atteso da molto tempo, in particolare dagli amici del poeta che lo spronano a raccogliere i suoi testi, il volume della Pléiade dedicato a Saint-John Perse viene pubblicato nel 1972 ed è un grande successo. La stampa è entusiasta, il critico Jean Guéhenno compara il volume ai Saggi di Montaigne e a Foglie d’erba di Walt Whitman. Gli omaggi piovono da ogni parte, da Paul Morand a Marguerite Yourcenar, da Pompidou a Mendès France. Il successo è ancora più grande perché il volume non si limita a raggruppare l’insieme delle poesie conosciute, ma fa scoprire ai lettori altri testi che non erano mai stati pubblicati prima e che tingevano di una luce nuova, sottolineando una continuità nascosta, l’itinerario intellettuale del poeta-diplomatico.
Questo è il caso della corrispondenza giovanile, in particolare delle trentanove Lettere dall’Asia, scritte durante un soggiorno di formazione in Cina (1916-1921), che suscitano l’entusiasmo dei lettori, colpiti dal passo sicuro del giovane scrittore, la cui voce si riconosce fin dalla più giovane età, e dal carattere profetico delle sue analisi.
La lettera a Philippe Berthelot del 3 gennaio 1917, che inaugura questa corrispondenza asiatica, mostra chiaramente con quale ampiezza di vedute, ma anche con quali capacità medianiche, il segretario della sede diplomatica francese di Pechino intuisce il contesto in piena evoluzione della Cina, cosa di cui non sono capaci i funzionari in servizio:
Da adesso in poi bisogna tenere lo sguardo all’altezza dell’orizzonte, senza badare troppo al passato e nemmeno al presente. Di certo, bisogna dirigere la propria visione ben al di sopra di quella del Corpo diplomatico di Pechino, che da quindici anni ha plasmato, all’interno dei confini del Quartiere diplomatico, un modo di vivere preciso e assai particolare, come in un bozzolo, che può risultare molto brioso a livello individuale per lo snobismo di coloro che ci vivono, ma che resta completamente estraneo alla Cina.
Chiuso nelle ambasciate, il personale diplomatico è incapace di pensare con un ampio orizzonte e di cogliere la portata della rivoluzione sociale in corso nel paese, di cui il giovane segretario, dalla mente aperta e privo di pregiudizi, intuisce ben presto le prime avvisaglie:
Da nuovo arrivato in questo paese, ho davanti agli occhi lo spettacolo di una Cina in piena evoluzione dal punto di vista sociale; e per quanto questa mutazione sia tanto lenta quanto faticosa, tanto confusa quanto convulsa, è ineluttabilmente iscritta nel determinismo storico di un evoluzionismo hegeliano di natura assai più generale. Qui è in gioco l’intero futuro, che s’impegna profondamente per arrivare a un’altra forma di civiltà, nella ricerca sociale di istituzioni adatte alla Cina e non all’imitazione delle istituzioni o degli ordinamenti propri delle grandi democrazie occidentali.
E c’è da temere che questa evoluzione sociale, ricalcata su un modello hegeliano e dunque dialettico, un giorno condurrà la Cina verso la rivoluzione, che potrebbe fondarsi sulla base contadina, contrariamente a ciò che è accaduto in Russia:
Sbarcando qui poco dopo la morte di Yuan Shikai e il suo ultimo tentativo di restaurazione monarchica, non ho dubitato nemmeno per un istante di questa evoluzione nuova che condurrà la Cina verso un destino contrario a ogni previsione fatta in Europa. […] Sono convinto, d’altronde, contrariamente all’opinione diffusa e senza alcuna forma di paradosso, che in futuro saranno i contadini a costituire in Cina l’elemento di base delle grandi rivoluzioni, alla fine sarà la massa contadina cinese di questa immensa regione del pianeta a determinare l’orientamento massiccio di ogni asiatico in un senso o nell’altro della geopolitica futura.
La diagnosi è chiara e implacabile. Molti anni prima del best seller di Alain Peyrefitte Quando la Cina si sveglierà…il mondo tremerà, che pare un plagio, Saint-John Perse profetizza che un giorno la Cina diventerà una potenza mondiale e che conviene farsi trovare pronti. E annuncia soprattutto che, se non si fa attenzione, l’evoluzione di questo paese rischia di condurlo a un ordinamento politico agli antipodi della democrazia.
Perché non è stato ascoltato?
Come spesso accade, il successo crea gelosie e suscita l’aggressività delle persone cavillose, sempre pronte a puntualizzare, indifferenti a quale sia il livello di discussione.
Così in un trafiletto dell’“Express” del gennaio 1973, un giornalista anonimo, controcorrente rispetto all’entusiasmo generale, si sorprende nel leggere questo passaggio nella lettera a Berthelot del 3 gennaio 1917:
Il pensiero di Karl Marx e di Engels esercita già la sua segreta attrazione sull’intera gioventù intellettuale cinese e niente fermerà, più o meno a lungo termine, attraverso numerose eversioni e numerose esperienze di transizione, forse persino prima della realizzazione dell’unità cinese, la marcia finale della comunità cinese verso un collettivismo vicino al comunismo leninista più ortodosso. L’immagine dell’istruzione contadina cinese non regge: è una preparazione come un’altra al grande collettivismo sociale e il popolo cinese è quello che, per natura, porta dentro di sé il senso più antico di reciprocità.
Citando l’estratto, il giornalista ammira ironicamente la «preveggenza» e la «folgorante intuizione» del poeta, che già nel 1917 si mostra capace di prevedere il passaggio della Cina a quel collettivismo che arriverà soltanto nel 1949.
Eppure si dice sorpreso dall’espressione «comunismo leninista» impiegato da Saint-John Perse nel gennaio del 1917, quando a quell’epoca Lenin vive in Svizzera, ancora sconosciuto, la rivoluzione russa avverrà solo alcuni mesi dopo e l’espressione apparirà solamente dopo la Nuova politica economica (NEP) nel 1921.
Insomma, è sorprendente per il malpensante cavilloso, evidentemente poco sensibile alla dimensione divinatoria dell’opera del poeta e alla sua visione politica, che Saint-John Perse sia arrivato a descrivere l’influenza sulla Rivoluzione cinese, che non è ancora avvenuta, della Rivoluzione russa, che ancora non ha avuto luogo.
In seguito, altri cavillosi – professori universitari, in questo caso – si stupiranno a loro volta delle capacità di divinazione del poeta che puntualizza fin dal settembre del 1917, in un momento in cui non è ancora chiaro cosa accadrà sul fronte orientale dell’Europa, che le opere d’arte trafugate dalla Germania alla Cina dovranno esserle restituite dopo la firma della pace. O ancora che il poeta racconti in una lettera commovente alla madre come nel gennaio del 1917 si sia inginocchiato, con pietà ma un po’ troppo in anticipo, davanti alla tomba della sorella dello scrittore Henry Bordeaux, una suora che in realtà aspetterà ancora un anno per lasciare questo mondo, nella notte di Natale del 1917.
Da quando è stato assodato che una parte della corrispondenza giovanile di Saint-John Perse era del tutto inventata, era difficile non chiedersi quali fossero i confini della finzione nell’edizione delle opere complete. Dopo aver deciso di lanciarsi nell’impresa, Catherine Mayaux e Renée Ventresque sono passate di scoperta in scoperta.
Due fatti contingenti sembrano aver indotto lo scrittore all’affabulazione. Il primo è che il direttore della Pléiade, Robert Carlier, colpito dalla statura del poeta, lo ha lasciato agire sempre più in autonomia e Perse è diventato poco a poco il capomastro dell’impresa editoriale.
L’insieme dell’opera poetica di Saint-John Perse, inoltre, era di un numero di pagine tale da costituire un volume piuttosto smilzo se confrontato con i modelli editoriali consueti per la prestigiosa collana; così Gallimard esortò il poeta ad aumentare la mole aggiungendo testi politici o lettere, cosa che Perse fece senza farsi pregare.
Dato che è la casa editrice stessa a concedergli ufficialmente libertà d’azione, il poeta decide di prendere le cose in mano in prima persona e di creare di tutto punto un Saint-John Perse abbondantemente immaginario, basandosi sulla visione che egli ha di sé stesso e che intende lasciare ai posteri.
Il poeta comincia col redigere una solida biografia introduttiva al volume della Pléiade, senza specificare da nessuna parte di esserne l’autore, dove parla di sé in terza persona, cosa che gli permette di presentarla «in prospettiva», come direbbe Chateaubriand, anche a scapito di far coincidere la propria vita con la realtà dei fatti. La biografia inizia con queste parole:
Nasce a Guadalupe, da Marie-René Alexis Saint-Leger Leger, unico maschio di cinque figli. Il padre, Amédée Saint-Leger Leger, avvocato nelle Antille, è il discendente di un cadetto della Borgogna partito dalla Francia alla fine del XVIII secolo. La madre, nata Françoise-Renée Dormony, appartiene a una famiglia di coltivatori e ufficiali della marina stabilitasi nelle isole dal XVIII secolo.
Il tono adottato fin dall’inizio e il fatto di tenere egli stesso la penna in mano permettono al poeta di ricomporre la propria esistenza con discrezione, sottolineando i fatti più degni di essere ricordati e insistendo sul ruolo di primo piano che egli ha ricoperto, come mostra il suo racconto degli accordi di Monaco, dove appare quasi come un avversario personale di Hitler, con cui si ritrova a parlare:
Sotto il governo Daladier, con Georges Bonnet agli Esteri, la crisi dei Sudeti e la Conferenza di Monaco (1938). Nonostante la propria opposizione personale alla politica di “distensione” e l’ostilità di Hitler nei suoi confronti, il segretario generale viene chiamato, suo malgrado, ad assistere alla conferenza come rappresentante degli uffici del Ministero degli Esteri, visto che i ministri non erano stati convocati a questa riunione di capi di governo.
E se si esilia negli Stati Uniti durante la guerra – lasciando la Francia il 16 giugno, quindi prima dell’appello del generale De Gaulle, che non viene menzionato – lì si adopera scrupolosamente per preservare un’indipendenza alla quale tiene moltissimo:
Rifiutando le offerte di pubblicare le proprie memorie che gli vengono fatte in America, per vivere accetta, per la durata della guerra e con il nome di Saint-John Perse, un posto a Washington come consulente letterario alla Library of Congress, dopo essersi assicurato che la condizione predisposta per lui non dipendesse in alcun modo dal bilancio ufficiale a...