Figli di un dio minore?
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Figli di un dio minore?

Le persone transgender e la loro dignità

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Figli di un dio minore?

Le persone transgender e la loro dignità

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Troppo a lungo il pianeta transgender è stato privato del rispetto da parte di tutti. Questa disattenzione – per non parlare dell'aperto disprezzo e degli stupidi luoghi comuni – genera sofferenza in persone innocenti. La risposta a questo grido è troppo spesso il silenzio e l'imbarazzo, ma anche la preclusione fondata su una conoscenza superficiale e banalizzante. Ecco perché l'autore invita a correggere pregiudizi e sospetti nei confronti delle persone che affrontano l'incertezza dell'identità di genere, la disforia e l'incongruenza sessuale, fino ad arrivare alla scelta, sempre difficile, del "cambio di sesso". Si tratta anzitutto di ascoltare le fatiche, le incertezze e il desiderio di gioia di vivere delle persone transgender e delle loro famiglie, che chiedono ascolto e comprensione. Ben oltre le contrapposizioni ideologiche di qualunque origine, è tempo di approfondire esperienze, di mettere a fuoco prospettive, di incrementare conoscenze senza ricette preconfezionate a proposito di temi decisivi come la sessualità, l'orientamento sessuale, l'identità sessuale e quella di genere. Oltre a fornire elementi di valutazione scientifica, giuridica, psicologica ed etica, il libro offre soprattutto dieci diverse voci di persone transgender: storie vere che è ora di ascoltare con mente e cuore aperti al rispetto della dignità di ciascun essere umano.

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Informazioni

PREFAZIONE
di don Andrea Conocchia1
Parroco di Torvaianica

“Le fragilità rendono ciascuno di noi una vera rarità!”
Stupore e meraviglia! Questa è stata la mia prima reazione quando, qualche giorno fa, ho ricevuto la telefonata di Luciano Moia che mi chiedeva di scrivere la prefazione a questo suo ultimo libro, raccontando la mia esperienza. È come fossero lo stesso stupore e la stessa meraviglia che mi colsero quando, nel marzo 2020, in pieno lockdown, Paola, in fila con altre persone e famiglie della comunità, era in attesa del suo turno per arrivare al cancello della parrocchia e chiedere aiuto.
Paola era la prima persona transessuale che incontravo, che ascoltavo e che aiutavo in vita mia.
Mai avrei pensato di vivere una pandemia e ancor meno avrei potuto immaginare che un evento così drammatico avrebbe potuto permettermi di cambiare e crescere così tanto come uomo e come prete, consentendomi come parroco di incontrare e aiutare persone uniche, con esperienze di vita apparentemente così distanti dalla realtà parrocchiale. Allo stesso tempo ho pensato che forse, se non ci fosse stata la pandemia, non avrei mai avuto la possibilità di incontrare e conoscere Paola, le persone transessuali e il loro mondo.
Sono arrivato a Torvaianica nel mese di settembre del 2019 e a marzo 2020 tutti sappiamo che il lockdown ha drasticamente stravolto le nostre vite, le nostre attività, la routine delle nostre giornate, il lavoro, la scuola, il nostro modo di fare pastorale e il nostro modo di essere e fare Chiesa.
In un Paese stravolto da file di bare caricate su camion militari, da famiglie senza lavoro, da medici e infermieri stremati da turni interminabili, io mi sono trovato improvvisamente, da quando ero sacerdote, a non avere più messe o sacramenti da celebrare con la comunità. A non avere più alcun genere di incontro con gli operatori pastorali, con i bambini e i ragazzi della catechesi, con la comunità rinchiusa nelle proprie case. Alle prese con una città blindata, con le attività ferme e le strade deserte, in poche parole, la realtà mi ha spinto a reinventare un nuovo modo di essere e fare il parroco.
Ho iniziato a vivere giornate piene zeppe di persone, che, giorno dopo giorno, a partire dalle 8 del mattino, terminato il mio momento di preghiera personale, mi ritrovavo puntualmente davanti al cancello parrocchiale, come a formare un lungo serpentone, ognuno in attesa del proprio turno.
Giornate complete di incontri, di accoglienza, di ascolto, di aiuto. Giornate lunghe, intense, ricche e anche estenuanti, che terminavano intorno alle 9 di sera. Ma anche giornate profonde, per la ricchezza, la diversità e la novità di chi mi sono ritrovato al cancello: tanti italiani, persone di altre fedi religiose, di altre confessioni cristiane, di altri continenti, di altri Paesi europei, di altri orientamenti sessuali. Famiglie di circensi, giostrai, artisti di strada, rom… Penso davvero di aver accolto e ascoltato chiunque si sia presentato al cancello della parrocchia.
È così che un pomeriggio ho conosciuto Paola, una persona transessuale di origine argentina, da anni in Italia, che sopravvive grazie alla prostituzione.
«Padre, sono giorni che non lavoro e non ho più nulla da mangiare! Per favore può aiutare anche me?».
Non mi sono fatto domande, ho solo visto una persona in difficoltà e senza esitare le ho lasciato una busta delle tante che, in quei giorni, preparavamo con il viceparroco o con alcuni volontari della Caritas parrocchiale: un po’ di pasta, qualche scatola di legumi, una bottiglia di conserva, olio, tonno… Le stesse buste predisposte e consegnate a chiunque venisse a chiedere aiuto.
Non avevo mai ascoltato una persona transessuale prima di allora e non mi erano mai state raccontate le storie di sofferenza, di discriminazione, di violenza familiare e sociale che possono caratterizzare alcuni vissuti. Mi sono accorto che ancor più di cibo, Paola aveva bisogno innanzitutto di essere ascoltata e accolta. Ho scoperto un’umanità fuori dal comune. Il dolore di aver lasciato il proprio Paese, la propria famiglia. L’invisibilità agli occhi delle istituzioni e, in alcuni casi, della stessa Chiesa. Il problema di avere documenti che non corrispondono più alla propria identità. Lo sfruttamento di un “lavoro” che offre meno di niente in cambio di prestazioni sessuali. Il non riconoscimento di una dignità.
Non sta a me giudicare, ma sta a me accogliere e aiutare, promuovendo il rispetto per chiunque, qualsiasi situazione si trovi a vivere. Dio ci ha voluti unici nelle nostre diversità, ci ama proprio così come siamo e sarebbe davvero bello che imparassimo a fare lo stesso gli uni con gli altri.
Con il prolungarsi del lockdown, Paola ha continuato a venire al cancello della parrocchia e ha detto ad alcune amiche che a Torvaianica c’era un prete al quale si poteva chiedere e ricevere aiuto, tanto che con il tempo ha accompagnato prima un’amica, poi, due, poi tre…
Oltre al cibo, continuando a non “lavorare”, è stato necessario pagare anche affitti, bollette o medicinali, ed è stato così che, come avevo già fatto per altre persone, ho pensato di rivolgermi all’Elemosineria Apostolica. Ho domandato a Paola e ad altre tre amiche di raccontare la loro storia di vita e di fede in una lettera e di chiedere aiuto al Papa, con la consapevolezza che Francesco fosse, in un certo senso, in questa situazione di emergenza, come il Parroco di ognuno di noi.
In realtà, immediatamente dopo la mia richiesta, il nulla. Tempo qualche giorno, ho ricontattato telefonicamente Paola e le amiche e, pur nell’impossibilità del lockdown, ho voluto recarmi a casa di alcune di loro per incoraggiarle a scrivere la lettera a papa Francesco.
Mentre mi dedico a questa prefazione, mi rendo conto di quanto sia vivo nel mio cuore il ricordo di quell’incontro! È come se avessimo scritto insieme, ed è come se avessimo pianto insieme e scritto insieme anche la vergogna di raccontare al Papa la storia di quelle vite. Lettere preziose, che ho poi provveduto a inoltrare al cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Con incredulità, qualche giorno dopo, ho ricevuto una risposta: mi scriveva che le lettere erano arrivate e che avrebbero provveduto nel più breve tempo possibile a erogare l’aiuto.
Io penso che la riforma di papa Francesco sia davvero meravigliosamente evangelica! Gli ultimi, i piccoli, gli scartati, i dimenticati, gli emarginati, gli esclusi trovano ascolto, ma trovano anche aiuti concreti, docce, bagni, barbieri, sacchi a pelo, ambulatori, visite, vaccini. Successivamente, sempre grazie alla collaborazione del cardinale Krajewski, Paola e tante altre sue amiche hanno potuto ricevere il vaccino antinfluenzale, tamponi antigenici rapidi e molecolari, visite mediche a Torvaianica e presso l’ambulatorio del colonnato di San Pietro e, nella scorsa primavera, in Aula Paolo VI, anche il vaccino contro il Covid.
Se questa pandemia ci ha lasciato come prima, che senso ha averla vissuta e continuare a viverla? Il mio essere prete mi chiama a mettermi al servizio di una società che cambia, di un’umanità che parla linguaggi differenti, che esprime bisogni differenti, e di un Gesù che con la sua vita ha testimoniato e continua a testimoniare lo stesso modo di essere, lo stesso Amore gratuito e incondizionato che prova nei riguardi di ognuno di noi, indipendentemente dal nostro agire. Mi piace questa Chiesa che, anche grazie agli insegnamenti e alla testimonianza di papa Francesco, si fa più vicina e più prossima ai piccoli. Il mio “eccomi” mi chiama ad annunciare e testimoniare il Vangelo con la mia vita a tutti, facendomi prossimo a chi è più in difficoltà, riconoscendo l’unicità, il valore e la dignità di ognuno.
In questi mesi di pandemia, ho avuto il dono di incontrare, conoscere e ascoltare tante persone LGBT, le loro storie, a volte i loro drammi, le loro famiglie. Mi ha colpito il loro essere alla ricerca, il loro bisogno di senso, il loro domandarsi: «ma cosa pensa Dio di me?», i loro cammini di fede, il loro amore al Signore e alla Chiesa con l’intento di dialogare e di costruire ponti, la loro preghiera, il loro voler partecipare alla vita civile ed ecclesiale.
Adesso mi domando: se non ci si sente accolti dalla propria famiglia, dai propri fratelli, dalle proprie sorelle, dal proprio padre e dalla propria madre come si può affrontare il mondo? Immagino la grandissima forza di volontà che queste persone hanno dimostrato e dimostrano tuttora nel vivere una condizione di vita tutta in salita, motivata a mio avviso da una incongruenza fra la natura genetica e la realtà della percezione di sé, nella quale la persona si ritrova con le proprie sensazioni, le proprie emozioni. Mi suscita un sorriso il ricordare il mio imbarazzo nell’utilizzo del maschile o del femminile riferendomi a Paola, Naomi, Claudia, Laura, Jessica, Marcella, Carla e alle prime ragazze che si sono presentate da me. E, nell’incertezza sul da farsi, il mio domandare direttamente cosa preferissero: «il femminile padre, il femminile».
Riconosco loro un grande coraggio nel mettersi in fila al cancello della parrocchia dichiarando, non senza imbarazzo, che a causa della pandemia, non “lavoravano” e non avevano più nulla nella dispensa della casa condivisa con altre colleghe, tutte nella stessa identica situazione.
Mi sono reso conto di quanto fosse estesa la comunità transessuale nel litorale laziale vicino a Roma. Incontrandole, ascoltandole, accogliendo le loro lacrime, ho scoperto il loro bisogno di essere accolte, riconosciute. Ho scoperto la loro profonda devozione, la fede legata alla loro terra. Ho scoperto una fede semplice, profonda, vissuta spesso nel nascondimento perché a volte, certe persone che entrano in chiesa scandalizzano. «Che Dio la bendiga Padrecito!». Penso di non aver ricevuto mai tante benedizioni come in questi mesi. Riconoscenza, affetto, commozione nel vivere da parte loro, forse per la prima volta, una Chiesa disposta ad accogliere e ad aiutare, senza giudizio.
Cosa possiamo fare di fronte a tante storie di violenza da parte dei clienti o dei protettori?
«Ho ricevuto una fucilata in pieno volto mentre lavoravo in pineta. Padre, mi sono salvata per miracolo», mi dice mostrandomi una Bibbia che tira fuori dal cassettino della macchina: «Me l’ha regalata mio fratello».
Come lasciarci toccare dall’ingresso in chiesa di queste amiche che si avvicinano alla statua della Madonna e prima di inginocchiarsi a pregare la spruzzano con del profumo in segno di devozione e di rispetto?
Come lasciarci interpellare e mettere in crisi da queste storie e dalle persone che me le hanno raccontate?
Il ricordo delle facce incredule di tante di loro mentre varcavano il cancello della Città del Vaticano scattando foto e raccontando per telefono ad altre amiche o alla famiglia che erano davvero lì e che il Papa stava regalando loro il vaccino anti Covid!
Non avrei mai immaginato di entrare in qualche modo nel loro mondo, di conoscerlo e di diventare testimone di questa carità e di questa Chiesa.
Caro Luciano, ti sono grato per aver voluto scrivere questo libro, che dà modo di accostarsi alla realtà della transessualità con un approccio chiaro, ampio e approfondito da tanti punti di vista. Con il capitolo delle interviste hai dato voce e puoi darne ancora a tante persone che, raccontando la loro storia, ci permettono di metterci per un attimo nei loro panni, di cogliere quanta sofferenza è possibile vivere, ma allo stesso tempo, quanto coraggio è possibile avere per esprimere e vivere se stesse.
È necessario comprendere che non ci sono figli di un Dio minore o maggiore, perché siamo tutti figli dello stesso Dio, e quindi, fratelli fra di noi. “Fratelli tutti!” Figli di un unico Padre, che ama i talenti di tutti e di ciascuno, tanto quanto le fragilità, che rendono ognuno di noi una vera rarità.
Ognuno di noi, un pezzo assolutamente unico!

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LA CHIESA DI FRONTE AL MISTERO TRANSGENDER

Questo libro nasce come sfida e come espiazione. La sfida è quella di fare chiarezza sul rapporto tra Chiesa e persone LGBT, mettendone in luce timidezze e prospettive2. Non si tratta solo di indagare sulle fatiche e sulle incertezze dell’accoglienza pastorale verso omosessuali e transessuali, comunque episodica e frammentaria quasi ovunque, ma di interrogarci come comunità e come cristiani sulla necessità di approfondire esperienze, mettere a fuoco prospettive, incrementare conoscenze senza pregiudizi e senza ricette preconfezionate su temi decisivi come la sessualità, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale e quella di genere. Snodi non più eludibili alla luce di un rapporto sempre più complesso sul piano generale tra indicazioni della Chiesa e prassi ordinaria della sessualità.
Lo sguardo rinnovato dall’esortazione postsinodale Amoris laetitia permette oggi di individuare una terza via, tra «la ribadita insistenza sulle norme morali, ormai dichiarate inattuali dal tribunale della storia… oppure una discreta messa in sordina di questa parte dell’annuncio cristiano, alla fine percepita come ingombrante e fuorviante nel tentativo di rinnovare un incontro dialogico con gli uomini del nostro tempo»3.
Ma quanto sia difficile, oggi, trovare la via per dare concretezza, nella Chiesa, alle indicazioni di Amoris laetitia appare evidente sia sul piano pastorale – con il Papa che ha avvertito l’esigenza, a 5 anni dalla pubblicazione, di indire un Anno straordinario proprio per riflettere sulla faticosa attuazione del documento uscito da due Sinodi sulla famiglia – sia su quello sociale e culturale. Se i temi della sessualità in generale sono tuttora avvertiti come terreno scivoloso, ancora più imbarazzanti appaiono quegli ambiti in cui l’amore si manifesta nelle sue espressioni più complesse e apparentemente contraddittorie rispetto al paradigma della sessualità coniugale vissuta nella prospettiva della differenza, come ha messo drammaticamente in evidenza il dibattito a proposito del Ddl Zan4. Snodi che è urgente affrontare sotto il profilo culturale, educativo e pastorale, ma anche valorizzando il punto di vista delle persone LGBT credenti, che vivono le incertezze e i silenzi della Chiesa come delusione e, talvolta, come sconfitta personale. Perché una comunità credente incapace di offrire prospettive incoraggianti e spesso anche di esprimere considerazioni fondate, consapevoli e scientificamente coerenti sui tanti problemi connessi alla sessualità difficile, o comunque non convenzionale vissuta da queste persone, è una comunità che rischia di autoconfinarsi in una roccaforte assediata, con alte mura di incomprensioni e di pregiudizi, cementate dai soliti ritornelli dei divieti e degli allarmismi. Ma, mentre ci arrocchiamo sulla difensiva, incapaci di ascoltare, impauriti dalla necessità di interrogarci, incerti sulle modalità per risultare propositivi in modo originale, evangelicamente e umanamente accattivante, la vita scorre. Da un’altra parte. E noi rimaniamo a interrogarci sulle conseguenze drammatiche della società post-familiare5, incapaci di formulare ipotesi davvero convincenti e originali, sia sul fronte dell’educazione all’affettività e alla sessualità, sia su quello della formazione delle coppie, continuando a illuderci che il crollo del numero dei matrimoni e l’inverno demografico siano determinati da una non bene precisata congiura culturale-politico-fiscale e non da più complesse difficoltà antropologiche, culturali e pastorali di fronte alle quali le nostre scelte e la nostra responsabilità di credenti non possono dirsi estranee.
Sfida impegnativa e talvolta s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Quarta
  3. Autore
  4. Frontespizio
  5. Colophon
  6. Indice
  7. Prefazione di don Andrea Conocchia Parroco di Torvaianica
  8. 1. La Chiesa di fronte al mistero transgender