I
VIE VERSO ROMA
DOPO LA FINE DELL’IMPERO ROMANO
Sulle vie di comunicazione di Roma si può parlare, non importa di quale epoca ci si occupi, solo sullo sfondo della rete stradale antica, e questo vale, naturalmente, in particolare per l’Alto Medioevo. La fine del sistema stradale organizzato, però, poneva alle strade condizioni e esigenze completamente diverse. Si cercherà di combinare la scarsa documentazione contemporanea scritta, storiografica, con osservazioni da sopralluoghi lungo le strade in aperta campagna, restando, essenzialmente, all’interno dei confini del Lazio.
Le vie di comunicazione di Roma – ma con chi «comunicava» Roma ancora nell’Alto Medioevo? Roma non era più il centro del mondo, non era più il ragno nella rete del sistema stradale «globalizzato», come lo mostrano ancora la Tabula Peutingeriana e l’Itinerarium Antonini; Roma non era più la città di quasi un milione di abitanti che non trovava sufficiente cibo dalla campagna circostante, ma doveva approvvigionarsi di continuo via mare e via terra anche da lontano. Perché dunque mantenere ancora le costose vie di comunicazione per una città che si era ristretta a dimensioni così misere? Non bastava semplicemene far portare in città cavoli e rape dalla posterula più vicina?
Lo scenario è volutamente esagerato. Infatti il commercio proseguiva (in dimensione ridotta, ma più di quanto non si pensasse finora, come mostrano recenti ricerche), si continuava a viaggiare (Roma divenne ben presto meta di pellegrini che venivano anche da lontano), comunque vi erano scambi. Tuttavia è necessario partire da problematiche fondamentali, per non perdersi nei dettagli, da questioni come le pone lo storico, poiché la ricerca delle strade non interessa solo l’archeologo ma anche lo storico, dato che nel caso delle strade si tratta non solo dello stato di conservazione dell’antica strada, ma anche della loro importanza, della loro funzione, delle loro mete. E per lo storico la domanda principale è come una viabilità creata con determinati presupposti storici continui a sopravvivere con presupposti storici assolutamente diversi.
E adesso, nell’Alto Medioevo, i presupposti storici assolutamente diversi infatti lo sono. A cominciare dal presupposto più generale, la Pax Romana. La Pax Romana garantiva una mobilità (nel senso sia tecnico che mentale) su grande distanza entro ampi orizzonti – e a sua volta aveva necessità di una tale rete stradale: Pax Romana e vie consolari erano l’una il presupposto dell’altra. Durante il medioevo questo non venne più compreso, l’efficienza del sistema di dominazione romano non veniva spiegato con motivazioni tecniche ma magiche: in un sotterraneo del Campidoglio, pieno di statue rappresentanti le diverse provincie dell’Impero – raccontano i Mirabilia Urbis – in caso di ribellione la statua della provincia in questione suonava un campanello, e subito le legioni sapevano verso quale regione dovessero marciare. Con tali magici meccanismi d’allarme il medioevo spiegava il veloce intervento dei Romani, e non (fra l’altro) con la rete stradale!
Questa Pax ora è finita, e così anche gli spostamenti senza problemi su grandi distanze. Oppure detto concretamente: se sulla Via Cassia non si giunge più senza problemi fino a Firenze, ma si incontrano già a Sutri o a Viterbo i Longobardi – non è meglio rendere inagibile la strada invece di mantenerla percorribile? Se sulla Via Appia non si giunge più senza problemi al sud, ma già a Capua si incontrano i Longobardi – allora perché mantenere una simile superstrada con tanto dispendio di mezzi? Le vie consolari un tempo concepite dai Romani come strade che partivano da Roma per dominare gli altri popoli adesso, invece, diventano strade che portano dentro Roma, per invitare gli altri a conquistare Roma – oppure, con una formulazione paradossale: Roma ora non doveva solo apprezzare ma anche temere la comunicazione fornita da queste vie!
Tuttavia, anche se si avesse avuto ancora interesse ad una manutenzione regolare di queste strade di grande comunicazione, l’alto medioevo non era più in grado di provvedervi in modo sistematico ed efficiente. Questa affermazione richiede una spiegazione che tenga conto anche degli aspetti tecnici della costruzione stradale. Quindi – per considerare, accanto alla prospettiva storica, anche quella archeologica – alcune osservazioni sullo stato concreto delle strade nella tarda antichità e nell’Alto Medioevo.
La solidità delle strade romane sembra essere indistruttibile. C’è però un pericolo specifico che sta nel fatto che il loro tracciato rettilineo si preoccupa poco della morfologia del terreno e, proprio per questo, ha bisogno di molte costruzioni: scarpate, ponti, muri di contenimento, tagli, sostruzioni, ecc. E proprio queste costruzioni necessitano di manutenzione permanente. Ciò vale naturalmente soprattutto per terreni difficili (montuosi o paludosi). Ma anche nelle zone meno impervie vi sono più costruzioni relative alle strade di quanto non sembri a prima vista, poiché anche un terreno apparentemente pianeggiante, e in particolare nei dintorni di Roma, è continuamente attraversato da fossi anche molto profondi.
Del VI secolo abbiamo ancora notizie relative alla manutenzione delle strade da parte delle autorità e a corpi stradali ancora perfettamente intatti. Il noto mandato redatto da Casssiodoro per le autorità ostrogote (tramandato nelle sue Variae) descrive, verso il 530, vivacemente, sull’esempio della ancora molto frequentata Via Flaminia, cosa fare contro i pericoli che incombono sulle strade: il corpo stradale, infatti, viene solcato da corsi d’acqua, ponti stanno per crollare, la vegetazione ai bordi delle strade invade la carreggiata. E una decina di anni dopo Procopio, testimone oculare delle guerre contro i Goti, esprime ammirazione per il fatto che il lastricato «anche dopo 900 anni» sia ancora assolutamente intatto. Trova invece la Via Ostiense già in condizioni desolate.
È chiaro che per la manutenzione delle strade non bastavano le sole esigenze del traffico e dell’economia, ma vi doveva anche essere la volontà politica. Anche se ancora l’imperatore Giustiniano aveva reso obbligatoria la manutenzione delle strade da parte dei proprietari confinanti, questa disposizione non aveva più alcun valore: dove non vi è nulla (come dice un proverbio), l’Imperatore ha perso i suoi diritti – e questo d’ora in poi andrà preso alla lettera. E mentre il Liber Pontificalis tramanda che alcuni papi, sostituendosi per così dire all’ autorità imperiale, avrebbero riparato acquedotti e mura urbane, non vi sono testimonianze dirette per la riparazione di strade da parte dei papi.
Le riparazioni non vennero dunque più eseguite in maniera sistematica e controllate dall’autorità pubblica, ma improvvisate qua e là. Ciò che accade se una strada non viene più riparata si può facilmente immaginare. Dove il lastricato è interrotto (a causa di un diluvio, una caduta massi, ecc.), verrà in seguito aggirato con una piccola deviazione verso destra o verso sinistra. Crolla un ponte, la strada cerca un passaggio meno ripido più a monte del torrente, mentre la strada antica non aveva questa possibilità di scelta perché voleva seguire un percorso rettilineo costante. In breve: la strada antica supera gli ostacoli, la strada medioevale invece li aggira.
Il risultato di questo processo sono dei rettilinei – ben riconoscibili durante sopralluoghi in aperta campagna, ben riconoscibili anche sulle carte 1 : 25 000 dell’Istituto Geografico Militare – che appaiono come disegnati da una mano tremante (si potrebbe dire: un rettilineo antico tracciato da una mano medioevale), e che ogni tanto oscillano sia di qua che di là, per poi ritrovare il rettilineo, con ponti romani intatti come punti fissi. Ma non è detto che l’antico tracciato si rispecchi sempre in una strada vera e propria, potrebbe anche essere per esempio un susseguirsi di strada bianca, poi sentiero, poi lunghe siepi compatte, poi per un intero tratto nulla, poi come confine – formando comunque in generale una linea, un rettilineo distorto ma percettibile come tale. Infatti un rettilineo resta indelebile nella campagna. È proprio per questo (e non solo per il lastricato intatto!) che nel paesaggio una strada romana si ritrova sempre, una strada medioevale invece no. (fig. 1 e 2).
Forse il basolato è stato abbandonato a tratti piuttosto con leggerezza, poiché durante il medioevo non veniva apprezzato tanto. Comunque, laddove viene abbandonata la strada antica, i contadini gettano i basoli raccolti sui loro campi proprio su questi resti di lastricato, che non possono essere arati; quindi la vegetazione che li ricopre si infittisce sempre di più, e così l’antico tracciato assume sempre maggiormante il carattere di linea di confine, invalicabile persino nei periodi senza vegetazione. Questi sono, durante i sopralluoghi lungo le strade, sempre i punti più difficili; penetrarvi per constatare se vi siano ancora dei resti di basolato è estremamente faticoso.
Anche in questo caso quindi un orientamento completamente diverso: se prima abbiamo visto che l’interesse mostrato nei confronti delle vie di comunicazione a lunga distanza diminuì, ora vediamo qui che le linee di comunicazione potevano essere utilizzate, proprio al contrario, come linee di confine. Anche un confine marcato, indistruttibile, è qualcosa di molto utile nel medioevo, a volte forse ancora più apprezzato di una carreggiata – e questa funzione come linea di confine per una strada antica nell’Alto Medioevo è addirittura l’unica possibilità di essere nominata ancora nelle pergamene! La strada antica o un monumento romano dovevano avere una funzione attuale, altrimenti nell’Alto Medioevo tale strada in aperta campagna e i monumenti lungo di essa non avrebbero avuto alcuna possibilità di essere notati e tramandati. Infatti sia il lastricato (silex) che i monumenti sepolcrali lungo l’antica strada (mausoleum, monumentum album ed altri) vengono nominati come termini di confine in documenti medievali (non si deve tuttavia tradurre l’espressione via romana utilizzata in queste pergamene con le parole «[antica] strada romana», come talvolta viene interpretata: essa definisce unicamente una strada che porta a Roma!). Accanto alla definizione silex anche quella di strata è un indizio per una strada antica in questi documenti: nelle quasi 4000 pergamene lucchesi del XII secolo appare, al posto dell’abituale via, per 28 volte il termine strata – indicando quasi sempre la Via Cassia diventata Francigena!
Ma anche se, nonostante la mancanza di regolare manutenzione nell’Alto Medioevo, il lastricato rimaneva intatto, questo non era ancora garanzia della sopravvivenza di una strada – altrimenti non sarebbe possibile che ampi tratti di lastricato siano stati interrati intatti e che oggi possano essere portati alla luce come tali. Decisiva è piuttosto la funzione di una strada. E per quanto riguarda la funzione, l’esigenza, la meta di una strada, una nuova epoca fissa nuove priorità. Ritorniamo quindi alla prospettiva storica per chiederci come e per quali motivi durante l’alto medioevo le strade consolari che partivano da Roma mutassero di carattere.
Anche se abbiamo potuto notare che queste strade perdevano di vista la loro meta lontana, ciò non significa che in una dimensione più ridotta, locale, esse non avessero mantenuto una certa importanza. Però, le strade ora si comportano diversamente, e questo si può osservare anche nel Lazio. Il decorso rettilineo si preoccupava poco non solo della morfologia del terreno ma anche degli insediamenti preesistenti perché non perdeva di vista una meta lontana. L’antica Via Appia dice: voglio arrivare a Capua, poi a Brindisi, e voglo arrivare presto a Brindisi, quindi in via diretta; non posso soffermarmi sulle città che non si trovano direttamente sul mio tracciato – sono loro a doversi preoccupare di costruire un diverticolo. Nel primo medioevo sarà diverso: la strada perde di vista la meta lontana, si dirige verso mete vicine, si orienta, per così dire, in compartimenti più limitati, venendo finalmente incontro alle aspettative degli insediamenti più grandi che pretendevano che una strada fosse lì per servirli direttamente.
Infatti tanto più piccoli diventano gli spazi storici, tanto più grande diviene la forza di attrazione magnetica che i loro centri – anche se piccoli – esercitano sulla strada antica, e sulla rete viaria in generale. Prendiamo come primo esempio la Via Appia, un caso limite, poiché perfettamente rettilinea nel suo tratto iniziale tra Roma e Terracina – e si trattava di ben 62 milia, o quasi 92 km! D’ora in poi la Via Appia non può più permettersi di non servire Velletri: al XIX miliario, oltre Genzano, essa abbandona il rettifilo e devia per Velletri (nel frattempo diventato vescovato suburbicario). E l’Appia non può permettersi di non toccare la nuova Cisterna (nel 1159 sede dell’elezione di Alessandro III in fuga dal Barbarossa), tanto più che Cisterna, con il nuovo impaludamento dell’Agro Pontino, diviene l’ultima località prima delle paludi.
Si potrebbero menzionare anche altri casi in cui nell’Alto Medioevo insediamenti di importanza crescente fecero deviare dal loro tracciato rettilineo le antiche strade esercitando la loro forza di attrazione magnetica: sulla Via Flaminia Civita Castellana, sulla Via Cassia Viterbo. E per I sopralluoghi siano particolarmente consigliati questi tratti dell’antico tracciato abbandonati. Infatti proprio in questi punti, dove tracciato antico e postantico si dividono, si può vedere in maniera particolarmente evidente il loro diverso comportamento rispetto al terreno di fronte ad ostacoli.
È degno di nota che i Romani anche nell’Alto Medioevo continuavano a chiamare queste strade ancora con i loro nomi tradizionali. Infatti, la Via Appia sarebbe potuta diventare Via Veliterna, la Flaminia Via Narnensis! Invece no. Nelle immediate vicinanze dell’Urbs questo ricordo dei nomi tradizionali aveva un motivo concreto che però aveva poco a che vedere con la viabilità in quanto tale. Poiché in epoca pagana i morti potevano essere sepolti solo fuori dalle mura e questo avveniva quasi sempre lungo le strade, di conseguenza era lì che si trovavano anche le sepolture dei martiri e quindi proprio lì, sulle loro tombe, lungo le strade, in seguito vennero anche impiantati luoghi di culto e chiese. Era dunque ovvio localizzare questi luoghi sacri molto visitati ricorrendo ai nomi delle strade che uscivano da Roma. «In Via Aurelia miliario III» sarebbero stati sepolti il 14. Ott. [dell’anno 222] papa Callisto e il 12 apr. [del 352] papa Giulio», si legge per esempio nella Depositio episcoporum e nella Depositio martyrum della metà del IV sec. (sarebbe anche la corretta localizzazione dell’Istituto Storico Germanic...