Flâner
«È impossibile … diciannovesimo secolo»: Janet Wolff, The invisible flâneuse: Women and the literature of modernity, in «Theory, Culture, and Society», n. 3, 1985, pp. 37-46, in particolare p. 45.
«Non esiste … una flâneuse»: Griselda Pollock, Vision and Difference, Routledge, London 1988, p. 71.
«L’osservatore urbano … maschio borghese»: Deborah Parsons, Streetwalking the Metropolis: Women, the city, and modernity, Oxford University Press, Oxford 2000, p. 4.
«filosofi peripatetici … a camminare»: Rebecca Solnit, Storia del camminare, trad. it. di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Mondadori, Milano 2002, p. 266.
«Ero per strada … che uccide»: Charles Baudelaire, A una passante, in Id., I fiori del male, trad. it. di Giovanni Raboni, Einaudi, Torino 2014, pp. 151-53.
personale frustrazione sociale: Patricia Parkhurst Ferguson, Paris as Revolution: Writing the nineteenth-century city, University of California Press, Berkeley 1994, p. 81.
vogliamo che appaia: Secondo la storica Elizabeth Wilson, il flâneur è una figura «mitologica o allegorica» che rappresenta una specifica ansia nei confronti della città, del suo attacco all’individualismo, dei suoi minacciosi abissi, della mercificazione della vita quotidiana e delle possibilità di una totale reinvenzione di sé. The invisible flâneur, in «New Left Review», n. 191, gennaio-febbraio 1992, p. 99.
«La perdigiorno … dell’immaginazione»: Amy Levy, Women and club life, pubblicato nel 1888 in «Woman’s World», rivista curata da Oscar Wilde. Si veda anche la raccolta di poesie di Levy, A London Plane Tree (1889). Levy si suicidò poco dopo la pubblicazione.
giocarsi l’onore: Pollock, Vision and Difference cit., p. 96.
«Desidero ardentemente … grande artista»: Marie Bashkirtseff, Journals de Marie Bashkirtseff, 2 voll., Fasquelle Éditeur, Paris 1955, 2 gennaio 1879.
«È essenziale … invisibile»: Luc Sante, The Other Paris, Farrar, Straus and Giroux, New York 2015.
«non perdevano … controllo sociale»: David Garrioch, The Making of Revolutionary Paris, University of California Press, Berkeley 2002, p. 39.
«luoghi londinesi … un gentiluomo»: The Golden Guide to London (1975), citato in Elizabeth Wilson, The Contradictions of Culture: Cities, culture, women, Sage, London 2001, p. 81.
come i bagni per signore: Leonora Davidoff, The Best Circles: Society, etiquette, and the season, Croom Helm, London 1973, citato in Parsons, Streetwalking the Metropolis cit., p. 111.
scienziati, rivoluzionari: Nell’ammodernamento di Madrid, l’arco de Santa María e la calle de las Urosas (cosí chiamata per via delle sorelle Urosas, che possedevano il terreno) furono ribattezzati in onore di Augusto Figueroa e Luis Vélez de Guevara. Solo una strada venne intitolata a una donna di successo, María de Zayas, scrittrice del diciassettesimo secolo. Nel suo articolo su questo tema, Elizabeth Munson cita l’Almanaque y Guía matritense para el 1905, e la Guía practica de Madrid del 1907, che testimoniavano «un notevole cambiamento degli odonomi» (p. 65) a partire dal 1875 nei dieci quartieri di Madrid, con un totale di ventisei nomi femminili eliminati, sebbene Munson non specifichi quanti furono i nomi maschili espunti. La Parigi rivoluzionaria attraversò un’epurazione molto simile, in cui qualsiasi allusione a nomi di sante e santi, aristocratiche e aristocratici venne rimossa. Per un certo periodo di tempo, rue Saint-Anne diventò rue Helvétius, in omaggio a un filosofo (maschio) del diciottesimo secolo. La città, la sua struttura, i nomi di monumenti, palazzi, strade, riflettono i valori del tempo; uno Stato laico non può che essere uno Stato piú democratico. Elizabeth Munson, Walking on the periphery: Gender and the discourse of modernization, in «Journal of Social History», XXXVI (2002), n. 1, pp. 63-75, in particolare p. 72, nota 12.
«al privato, al tradizionale e all’antimoderno»: Ivi, p. 66. Il Panthéon fu inizialmente concepito come chiesa dedicata a santa Geneviève, la patrona di Parigi. Ma dopo la Rivoluzione diventò un mausoleo in onore dei francesi piú illustri. Aux Grands Hommes la Patrie Reconnaissante (Agli uomini illustri, la patria riconoscente) è l’iscrizione che corre lungo il frontone. Solo nel 1995 a Marie Curie, che visse lí vicino, fu concesso di esservi traslata. Fu la prima ad avere questo onore per meriti propri – la prima donna in assoluto a esservi sepolta fu invece Sophie Berthelot, accanto al marito Marcellin. Nel 2008 vennero appesi sulla facciata del Panthéon i ritratti di nove donne – Olympe de Gouges, Simone de Beauvoir, George Sand, Colette, Marie Curie, e qualche altra. Ma sono ancora – ancora! – solo due le donne sepolte all’interno, su un totale di settantuno persone.
Louise Colet: Francine du Plessix Gray dice Colet; Marina Warner e altri dicono Drouet.
da due nazioni: Francine du Plessix Gray, Rage & Fire: A life of Louise Colet, Simon & Schuster, New York 1994; Marina Warner, Monuments and Maidens: The allegory of the female form, Weidenfeld & Nicolson, London 1985. Warner scrive che «dopo il 1871, quando l’Alsazia – e Strasburgo – furono occupate dai prussiani, la statua diventò un altare politico, meta di pellegrinaggi, e le manifestazioni patriottiche che vi si tennero per la presa della Bastiglia portarono all’istituzione della festa nazionale del 14 luglio nel 1880» (pp. 32-33).
«perché non … Foundling Hospital?»: Virginia Woolf, «London Revisited», in «The Times Literary Supplement», 9 novembre 1916, ora in Ead., Collected Essays, vol. II, Hogarth Press, London 1966, p. 51.
dall’aspetto moderno: Si trova lí per commemorare i 120 secchi che William Lamb distribuí alle donne povere, per consentire loro di rifornirsi d’acqua alla pompa che aveva costruito, e che la prelevava a sua volta dal vicino fiume Fleet.
creare profili psicogeografici: Guy Debord, Théorie de la dérive, in «Les Lèvres nues», n. 9, novembre 1956. Ripubblicato senza le due appendici in «Internationale Situationniste», n. 2, dicembre 1958; trad. it. in Internazionale Situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino 1994.
«Spiegate una cartina … cambiamenti d’atmosfera»: Robert Macfarlane, A road of one’s own: Past and present artists of the randomly motivated walk, in «The Times Literary Supplement», 7 ottobre 2005, pp. 3-4.
il privilegio maschile: Scrive espressamente: «Una digressione: credo forse che gli uomini siano relegati a questo campo per via di alcune caratteristiche naturali e/o sviluppate che ci fanno credere di possedere – o forse ci inculcano – abilità visive e spaziali superiori a quelle delle donne, oltre a un’estrema passione per tutti gli aspetti dell’orientamento, la sua ricerca, le minuzie e – peggio di tutto – gli accessori? Assolutamente sí. E dunque, pur senza abbandonare del tutto la fantasia di incontrare una musa psicogeografica che renda tali escursioni ancora piú piacevoli, intense ed emotivamente illuminanti di quanto già siano, in cuor mio sento di essere destinato a girovagare da solo, o nella migliore delle ipotesi con un altro, occasionale… compagno uomo». Will Self, Psychogeography, Bloomsbury, London 2007, p. 12.
«Gambe buone … apriremo uno»: Louis Huart, Physiologie du flâneur, Aubert-Lavigne éd., Paris 1841, p. 53.
scrittori-camminatori maschili: Nicholson scrive: «A Londra c’erano Dickens, De Quincey, Iain Sinclair; a New York, Walt Whitman, Alfred Kazin, Paul Auster»; quando parla di artisti-camminatori, cita soltanto una donna: «Richard Long, Hamish Fulton, Eva Hesse, Vito Acconci, Joseph Beuys». Negli ultimi anni, critici e scrittori hanno narrato le storie di camminatori provenienti da comunità che appaiono «marginali» in confronto a quelle di Baudelaire o Thomas de Quincey: Langston Hughes, Henry Darger, Joseph Cornell, David Wojnarowicz, superando cosí il modello del flâneur bianco e ricco, ma ribadendone il genere maschile. A onor del vero, Nicholson cita Margarita Nelken, femminista spagnola esaminata nel saggio di Munson, Ada Anderson e Exilda La Chapelle, camminatrici agonistiche del diciannovesimo secolo, anche dette «pedestriennes» (pare che la camminata femminile fosse «un vero sport e un vero business» per un certo periodo in America), e Dorothy Wordsworth, che «camminava [col fratello William] e ne scriveva sul proprio diario: “30 marzo 1798. Camminato non so dove. 31 marzo 1798. Camminato. 1o aprile 1798. Camminato al chiaro di luna”». Cita inoltre il saggio d...