Il turno
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Il turno

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Informazioni sul libro

Il romanzo prende le mosse dal progetto di don Marcantonio Ravi di dare in moglie la giovane figlia Stellina a Don Diego Alcozer, che e vecchio, ma assai ricco e veterano di ben quattro matrimoni e altrettante vedovanze. Se la figlia lo sposera, alla morte del vecchio, che ormai non puo tardare, ella sara ricca e potra sposare il suo spasimante Pepe Alletto, un giovane un po' sciocco e vanesio, di cui ella e innamorata, il quale percio dovra aspettare un po' il suo "turno"...

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Informazioni

Editore
Booklassic
ISBN
9789635264674

XVI.

Di non andar quel giorno in casa Alcozèr, Pepè non volle metterlo neanche in deliberazione: sarebbe stato lo stesso che cedere al Salvo ogni diritto su Stellina, non solo, ma anche la prova più lampante d'una paura che egli non voleva riconoscere in sé. Approssimandosi l'ora della visita consueta, si recò pertanto dal Ravì per accompagnarsi con lui: certo il Salvo non avrebbe avuto la tracotanza di aggredirlo vedendolo in compagnia del padre di Stellina.
Ma né don Marcantonio né la moglie erano in casa.
- Sono dalla figlia, fin da mezzogiorno, - gli annunziò la serva. - Chi sa che sarà avvenuto, signorino mio! Con lei posso parlare… Quella povera creatura è sacrificata!
Di nuovo su la strada, Pepè cominciò a riflettere: " Andarci? Conviene? Che dirà la gente se ci azzuffiamo proprio sotto le finestre della casa di lei? Io non sarei sicuro di me; ho usato prudenza jeri; ma, questa sera, se lo vedo, finisce male, parola d'onore! Del resto, loro sono in cinque; che meraviglia dunque se io mi accompagno con un altro? ".
E, così pensando, s'avviava a malincuore alla casa del Coppa. Temeva purtroppo che questi non lo costringesse a fare un secondo duello; perciò, la notte scorsa, aveva scartato subito il partito di recarsi da lui, che pur gli pareva scorta più sicura, che non il Ravì.
Ciro, dopo la morte della moglie, non era più uscito di casa. Ai numerosi clienti che venivano a sollecitarlo, rispondeva misteriosamente:
- Mi corre prima l'obbligo, signori, di riparare ben altri torti. Mi duole di non potervi servire.
E i pretesi torti eran quelli della moglie defunta verso l'educazione dei due figliuoli. Invasato dall'idea di farne due uomini forti, li addestrava alla scuola degli antichi romani: li costringeva a correr nudi per circa mezz'era ogni mattina attorno alla profonda vasca del giardino, e quindi a buttarsi nell'acqua diaccia.
- O morti, o nuotatori!
Poi comandava loro:
- Asciugatevi al sole!
E, se era nuvolo:
- Il sole non c'è. Mi dispiace. Asciugatevi all'ombra.
Niente più scuola: meglio bestie forti, che dotti tisici.
- Lasciatevi coltivare da me.
Pepè lo trovò che addestrava alla lotta i due ragazzi, lì nello studio.
- Gioverebbe anche a te un po' di questo esercizio! - gli disse Ciro. - Hai una faccia da morto, che fa schifo a guardarla. Qua! Fammi tastare il braccio… piegalo.
Gli tastò il bicipite, poi lo guardò in faccia, come nauseato, e gli domandò:
- Perché non t'ammazzi?
- Ti ringrazio dell'accoglienza, - gli rispose con un risolino Pepè. - Fai anche ridere i ragazzi. Del resto, hai ragione. Vorrei essere anch'io come te, capace di tenere a posto una mezza dozzina d'accattabrighe. Il coraggio, si… va bene; ma da solo, senza la forza, non basta.
- Difetto dell'educazione! - gli gridò Ciro, dominato dall'idea fissa del momento.
- Ah, certo… l'educazione influisce molto…
- Molto? E` tutto!
- Hai ragione, sì… Ma di' pure che c'è molta gente nel nostro paese, che non vuol farsi gli affari suoi.
- Te n'hanno fatta qualche altra? - saltò a domandargli Ciro con piglio derisorio. - Ma se puzzi di carogna, lontane un miglio!
- Nient'affatto ! - negò Pepè, risentito. - Che non ho paura, dovrebbero saperlo; uno schiaffo, a chi se le meritava, ho saputo appiopparlo…
- Per combinazione!
- Un duello, a buon conto, l'ho fatto…
- Per forza!
- Ma se ora vengono in cinque contro uno?
- E chi sono? - domandò Ciro, con le ciglia aggrottate.
- Mauro Salvo…
- Ah, quel buffone con gli occhi a sportello?
- Lui, coi fratelli e coi cugini Garofalo… in cinque, capisci? Mauro è innamorato pazzo - non corrisposto, bada, e perciò posso dirlo - di… della signora Alcozèr, tu la conosci: la figlia del Ravì. Ora, che te ne pare? pretende ch'io non vada più, dice, in casa di don Diego; né io, né lui, né nessuno, dice… Anzi, dice, se ci vado stasera, guaj a me… Mi aspetta coi suoi davanti al portoncino dell'Alcozèr.
- Non capisco, - disse Ciro, infoscandosi. - Per prepotenza?
- Per prepotenza… eh già! Capisci? sono in cinque…
- E tu, babbeo? Hai detto che non saresti andato?
- Nient'affatto!
- Ma intanto sei qua… E hai paura! Te lo leggo  negli occhi: hai paura! Ah, ma tu ci andrai, stasera stessa, or ora… Prepotenze, neanco Dio! Vieni con me.
- Dove?
- In casa Alcozèr!
- Ora?
- Ora stesso. Il tempo di vestirmi. A che ora suoli andarci tu?
- Alle sei e mezzo.
Ciro guardò l'orologio, poi esclamò, stupefatto:
- Quanto sei vile!
- Perché? - balbettò Pepè.
- Sono le sette meno un quarto… Ma non importa: li troveremo… In cinque minuti son bell'e vestito.
Scappò sù di corsa. Ridiscese, prima dei cinque minuti, che s'infilava ancora la giacca.
- Aspetta, Ciro… la cravatta - gli disse Pepè, aggiustandogli il giro che gli usciva fuori del colletto.
- Inezie! Pensi alla cravatta? - gridò il Coppa, fermandosi a fulminar con uno sguardo il cognato; poi gli diede uno spintone. - Cammina! Te li metto subito a posto io, senza bastone.
E s'avviò con Pepè. Camminando, fremeva, e di tanto in tanto esclamava:
- Ah sì?… Aspetta, aspetta. Ditelo a me, adesso, che in casa Alcozèr non deve andarci nessuno. Ci vado io. Ah, fai prepotenze tu? Aspetta, aspetta.
Pepè gli arrancava accanto, come un cagnolino. Presso la casa dell'Alcozèr, alzò gli occhi a guardare, e disse piano al cognato, impallidendo:
- C'è: eccolo lì, con gli altri.
- Tira via! Non guardare! - gl'impose Ciro.
- Tutt'e cinque, - aggiunse pianissimo Pepè.
Mauro Salvo infatti era alla posta. Il satellizio dei fratelli e dei cugini si teneva a breve distanza, più in là. Appena Mauro scorse Pepè in compagnia del Coppa si staccò dal muro a cui stava appoggiato con le spalle, si tolse una mano di tasca, e venne loro incontro, a passo lento, guardando Ciro, a cui si rivolse, fermandosi in mezzo alla strada.
- Col vostro permesso, avvocato: una parolina a Pepè.
Ciro gli si parò di fronte, vicinissimo, lo guardò negli occhi, con le ciglia aggrottate, le mascelle convulse; si tirò con due dita il labbro inferiore, poi  gli disse:
- Con Pepè per il momento parlo io, e non permetto che gli parli nessuno. Lo dico a voi e lo dico pure ai vostri parenti che stanno là ad aspettarvi. Se volete dirla a me, la parolina, sono ai vostri comandi.
- Preghiere sempre, don Ciro! - gli rispose Mauro, cacciandosi l'altra mano in tasca e alzandosi su la punta dei piedi, come se per ingozzar quel rifiuto avesse bisogno di stirarsi a quel modo.
- A un'altra volta, col comodo vostro: non mancherà tempo.
E s'allontanò.

XVII.

Burrasca, anzi tempesta, quel giorno, in casa di don Diego.
Stellina aveva avuto, la mattina, un violento scoppio d'ira contro il marito, il quale, da che era entrato in convalescenza, era diventato, poverino, insopportabile. Aveva scritto al padre ingiungendogli di venire subito subito a prendersela, altrimenti si sarebbe buttata giù dal balcone. Don Marcantonio era accorso in gran furia insieme con la moglie, e col deliberato proposito d'imporre alla figlia il rispetto più devoto al marito, e a Pepè Alletto il divieto assoluto di frequentar la casa del genero.
Ciro Coppa e Pepè, entrando nel salotto, trovarono Stellina in lagrime, abbandonata su la spalliera del divano. La si-donna Rosa le sedeva accanto con gli occhi bassi, le labbra strette e le mani intrecciate sul pacifico ventre. Don Marcantonio passeggiava, con le mani dietro la schiena, gridando rimproveri alla figlia, per modo che li udisse don Diego tappato in camera da letto. Nel vedere il Coppa, smise subito di gridare, e gli andò innanzi, premuroso:
- Pregiatissimo signor avvocato! Quant'onore, quest'oggi… Baciamo le mani, don Pepè… Rosa, c'è il signor avvocato Coppa… Mi duole che… Stellina, sù, figlia mia, guarda: c'è il signor avvocato, che ci degna d'una sua visita… Mi duole, avvocato, che lei càpiti giusto in un momento… Dispiaceri, sa! soliti dispiaceri di famiglia… Nuvola passeggera… Si accomodi, si accomodi.
Colpito da quell'accoglienza lagrimosa, il Coppa disse, sedendo:
- Ma… se io c'entro… anche indirettamente… prego la signora di scusarmi.
- Lei? E come può entrarci lei? - riprese, sorridendo, il Ravì.
Ciro lo interruppe, guardandolo con fredda severità:
- Lasciatelo dire, vi prego, alla signora, che ne sa forse più di voi.
Stellina si tolse il fazzoletto dal volto e guardò smarrita, con gli occhi rossi dal pianto, il Coppa. Poi disse, esitante:
- Io non so…
- Ma nossignore… - si provò a intromettersi di nuovo don Marcantonio.
- Lasciatemi spiegare! - riprese forte il Coppa, seccato. - Io mi son fidato di Pepè, e ho avuto forse torto. Certo però ho impedito che si facesse qualche schiamazzo sotto le finestre… Non supponevo che, interponendomi, avrei cagionato un dispiacere alla signora.
Pepè, comprendendo finalmente l'equivoco in cui era caduto il cognato, si agitò su la seggiola, rosso come un papavero, e disse:
- No, Ciro… Noi non c'entriamo… Quello è affar mio soltanto…
- Si lasci servire da me, signor avvocato! - entrò a dire risolutamente don Marcantonio. - Lei non c'entra… E una piccolissima sciocchezza avvenuta questa mattina tra marito e moglie. Sa, cose che succedono: " io voglio questo… io non lo voglio… " e allora.. mi spiego? E il torto è tutto di mia figlia, torto sfacciato… Sì, sì, cento volte sì! è inutile che tu pianga, figlia mia! Puoi pur piangere fino a domattina: io son tuo padre, e debbo dirti il bene e il male. Parlo giusto, signor avvocato? Mi pare che, fin qui, parlo giusto. E dico: Prudenza e obbedienza: ecco la buona moglie! E poi, un po' di considerazione, santo Dio! Pregiatissimo signor avvocato, mio genero esce adesso da una malattia mortale: non è morto, proprio perché non ha voluto morire! Ora se ne sta di là, convalescente, ed è un po' fastidiosetto, si sa! Bisogna compatirlo!
- Io non parlo… - disse Stellina singhiozzando, senza scoprir la faccia. - Parli tu e chi sa che fai credere di me… Ma se la gente sapesse… Dio, Dio! Non ne posso più…
Ciro Coppa, a queste parole, si levò da sedere gonfio e quasi sbuffante dalla stizza e dalla commozione.
- Ma parla, parla… Perché non parli? - gridò alla figlia, irritato, il Ravì.
- Perché non sono come te! - rispose, pronta, Stellina con voce rotta dal pianto.
- E come sono io, ingrata, come sono? - scattò don Marcantonio. - Ho pensato forse a me? Che n'è venuto, di', a me? Non ho pensato al tuo bene? Rispondi!
- Sì, sì… - singhiozzò Stellina. - E la gente se ne accorgerà, che hai pensato al mio bene, quando verrà qualche giorno a raccogliermi giù in istrada, sfracellata!
- La sente, signor avvocato? La sente? Son cose, codeste, da dire a un padre, che per lei…
- Per me? che cosa? - lo interruppe Stellina, puntando i due pugni sul divano e mostrando finalmente il volto inondato di lagrime. - Tu mi hai incarcerata, a pane e acqua.
- Io?
- Tu: per costringermi a sposare uno più vecchio di te. E qui c'è la mamma che può attestarlo. Di', di' tu, mamma, se non è vero! E ci son le vicine, tutto il vicinato: tante bocche, che tu non puoi chiudere… E io t'ho pregato, scongiurato ogni giorno di portarmi via di qua. Non voglio più starci! E se non mi porti via, vedrai quello che farò!
- Don Pepè, la sentite? - esclamò don Marcantonio, mezzo stordito. - Questa è la ricompensa! Parlate voi…
Pepè si agitò di nuovo sulla seggiola, imbarazzatissimo. Venne intanto dalla camera di don Diego lo scoppio di due strepitosi sternuti.
- Salute e prosperità! - gli gridò don Marcantonio, con un gesto di comicissima ira, aggiungendo a bassa voce: - Vi possa schiattare la vescichetta del fiele!
Sorrisero tutti, tranne il Coppa, allo scatto strano, improvviso.
- Signori miei, - prese a dire Ciro con aria grave,
- senza propositi violenti, c'è rimedio a tutto: la legge.
-...

Indice dei contenuti

  1. Titolo
  2. I.
  3. II.
  4. III.
  5. IV.
  6. V.
  7. VI.
  8. VII.
  9. VIII.
  10. IX.
  11. X.
  12. XI.
  13. XII.
  14. XIII.
  15. XIV.
  16. XV.
  17. XVI.
  18. XVII.
  19. XVIII.
  20. XIX.
  21. XX.
  22. XXI.
  23. XXII.
  24. XXIII.
  25. XXIV.
  26. XXV.
  27. XXVI.
  28. XXVII.
  29. XXVIII.
  30. XXIX.
  31. XXX.