cavata da un ragionamento tenuto
COL PADRE GIOVANNI GRUEBER
della Compagnia di Gesù
nel suo passaggio per Firenze l'anno 1665.
Il dì 31 gennaio 1665 ab incarnazione fui a visitare, insieme col signor Carlo Dati, il padre Giovanni Grueber della Compagnia di Gesù, nativo di Vienna d'Austria, arrivato pochi giorni prima a Livorno sopra nave procedente da Smirne in compagnia del signor conte Bernardo Pecori, giovane cavaliere della più cospicua nobiltà di Firenze, il quale, vedute le corti d'Europa, aveva preso la congiuntura di passare a Costantinopoli in qualità di camerata del signor conte Leslie, ambasciadore straordinario di S.M. Ces. alla Porta. Questo padre è stato tre anni nella China e due anni sono ne ritornò, avendo fatto il suo primo viaggio da Venezia a Smirne, da Smirne a Ormùz per terra con camino di cinque mesi, da Ormùz, navigando per sette altri mesi, a Macao, e da Macao, attraversando il regno della China da austro a tramontana, parte per terra e parte navigando fiumi o canali, in termine di tre mesi a Pequìn.
Al ritorno poi ha tentato un viaggio forse fin ora non praticato da alcuno europeo, essendo egli di China entrato nelle arene della Tartaria deserta, e quella attraversata in tre giorni, arrivato alle spiagge di Kokonòr. Questo è un mare simile al Caspio, di dove ha l'origine il Fiume Giallo di China, che scorrendo con grandissime rivolte una gran parte di quel regno, mette finalmente in mare dalla parte d'oriente dirimpetto all'isola Corei, ed è il maggior fiume di China. Kokonòr dunque significa in lingua tartara mar grande, dalle rive del quale successivamente discostandosi, il padre entrò in terra Toktokai, paese quasi affatto deserto e che non riconosce signore, né alcun signore, per la sua povertà, si cura di riconoscerlo. Si trovano per esso alcuni pochi padiglioni di tartari, che vi menano vita miserabile. Per questa terra passa il fiume Toktokai, da cui prende il nome; bellissimo fiume e sull'andare del Danubio, se non che ha pochissimo fondo e un uomo a cavallo lo passa francamente a guado.
Quindi inoltratosi nel paese di Tangùt, arrivò in Retink, provincia assai popolata del regno di Baràntola, e finalmente nel regno detto propriamente Baràntola. La città regia è Lassa: il re presente ha nome Teva e discende per antichissima origine dai Tartari di Tangùt. La sua residenza è in un castello fabbricato all'europea sopra un monte altissimo e il palazzo reale, chiamato Bùtala, ha quattro piani d'assai buona architettura. La corte è grandissima e vi è un lusso incredibile negli abiti, tutti di tele e di broccati d'oro. Per altro la nazione è sporchissima, avendo per legge, così uomini come donne, di non portar camicia, di dormire in terra, di mangiar carne cruda e di non lavarsi mai né mani né viso. Sono però molto affabili e amici del forestiero. Le donne si vedono per la città come l'altre tartare: al contrario delle chinesi.
Il fratello di questo re si chiama Lamacongiu. Questi è il moftì, o vogliamo dire il sommo sacerdote de' Tartari, dai quali è adorato come una deità. Credono che ei fosse fratello del primo re, quantunque usino chiamarlo successivamente fratello di tutti i re, e tengono che a ogni tanto muoia e risusciti; e dicono che questa sia la settima volta che egli ha fatto questo giuoco dalla creazione del mondo. Questa credenza è mantenuta in quei popoli dall'astuzia dei re e di mano in mano da quei pochi che rigirano la faccenda; che però fuori di quelli non si lascia vedere a persona immaginabile. Le pezzuole sporche di questa divinità sono ansiosamente ricercate dai grandi del regno, e beato chi può averne delle più fiorite e ricamate. Usano portarle avanti il petto come reliquie.
Di Baràntola entrò il padre Giovanni in Nekpàl, regno d'un mese di camino (in questa forma usa in quelle parti descrivere il tratto del paese, delle provincie e de' regni). Le città regie sono Catmandìr e Patàn, divise l'una dall'altra solamente da un fiume. In Catmandìr sta il re, detto Partasmàl, in Patàn è il fratello del re chiamato Nevasmàl, giovanetto e bellissimo principe. Questi ha il comando dell'armi, e in quel tempo che il padre Giovanni si ritrovava in Patàn aveva spedito un grosso esercito contro un regolo per nome Varcàm, il quale con diverse scorrerie gl'infestava il paese. Il padre gli donò un piccolo cannocchiale, col quale avendo scoperto un luogo dove il suddetto Varcàm s'era fortificato, fece guardare il principe in quella parte, il quale vedendosi così avvicinata quella piazza, gridò subito che si tirasse sul nemico, non essendosi ancora accorto del falso avvicinare de' cristalli. Quanto gli fosse grato questo regalo sarebbe cosa incredibile a ridire.
Uscito di Nekpàl, toccò per soli cinque giorni il regno di Moranga, del quale non vedde città alcuna, ma solamente certe case di paglia dove è una dogana regia. Il re di Moranga paga ogn'anno al Mogòr un tributo di dugentocinquantamila tallari e di sette elefanti. Di Moranga entrò nell'India di là dal Gange, arrivando a Minapòr metropoli, dove passato il Gange, largo quanto due volte il Danubio, giunse a Patanà, città ricchissima e piena di mercanti inglesi e olandesi. Da Patanà camminando venticinque giorni fu in Agra, prima città regia dell'India di qua dal Gange; da Agra in sette giorni di viaggio a Telì, seconda città regia, e da Telì in quattordici giorni si condusse a Laòr, terza città regia, posta sul fiume Ravi, grande anch'esso quanto il Danubio e che mette nell'Indo sotto a Multàn. Quivi imbarcatosi su l'Indo, dopo quaranta giorni di navigazione fu a Tatà, ultima città del Mogòr, dove è un viceré chiamato Laskarkàn; vi sono parimente assai mercanti inglesi e olandesi. Poche giornate di qua da Tatà si condusse a Capo Jax del Persiano, di dove, per la provincia del Maccaràn in Caramania, in Ormùz; da Ormùz in Persia propriamente detta, in Ircania, in Media, in Armenia maggiore e nella minore, in Ponto, in Cappadocia, in Galazia, in Frigia, in Bitinia, in Misia, dov'è Smirne. Quivi imbarcatosi, con felice navigazione giunse in Messina.
Arrivato a Roma e rispedito nuovamente per China, venne in Alemagna, e passato in Pollonia, pensò di tentare il viaggio per la Moscovia, avendo per mezzo dell'imperatore ottenuto passaporti dal duca di Curlandia e dal moscovita. Ma giunto alle frontiere di Moscovia, arrivò nuova nell'istesso tempo che il re di Pollonia unito col Tartaro aveva cominciato a dar addosso ai Moscoviti, per lo che dubitando di trovar difficoltà in Stoliza (così chiamano Mosca i Tartari) di passar più avanti, stimò partito migliore il tornarsene a Vienna, dove essendo giunto in quello che l'imperatore inviava suo imbasciadore in Costantinopoli il conte Leslie, si accompagnò con esso, pensando di lasciar lui alla Porta ed egli proseguir avanti il suo viaggio. Ma appena fu giunto in Costantinopoli che, sorpreso da una flussione di catarro, che impedendogli di quando in quando il respiro gli cagionava grandissimi travagli di stomaco, non gli fu possibile l'andare avanti, onde preso l'imbarco d'una nave per ponente, se n'è venuto a Livorno e da Livorno qui in Firenze, dove pensa di trattenersi ancora otto giorni; e poiché già sente miglioramento notabile della sua indisposizione, è di pensiero d'incamminarsi alla volta di Venezia per passare per la via del Friuli a Vienna e di quivi tentare un'altra volta il viaggio di Costantinopoli, o tornare a pigliare imbarco a Livorno per Smirne, secondo che riceverà gli ordini di Roma dal suo padre generale.
È questo padre d'età di quarantacinque anni, gioviale d'aspetto, affabile ed amorevolissimo oltre ogni credere, e se gli vede per gli o...