La genesi dei poemi omerici
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La genesi dei poemi omerici

  1. 445 pagine
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La genesi dei poemi omerici

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Si tratta della prima analisi sistematica di Iliade e Odissea scritta in una lingua diversa dal tedesco e del primo tentativo di dare un quadro generale delle analisi precedenti. Si cerca di distinguere i vari epe confluiti nei due poemi e come i Bearbeiter finali li hanno messi insieme. Le teorie panoraliste e unitarie vengono rifiutate, mentre vengono accettati i presupposti fondamentali dell'analisi, quale si è praticata per lo più da studiosi germanofoni nel sec. XIX e nella prima metà del XX.

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Informazioni

Editore
De Gruyter
Anno
2019
ISBN
9783110650136

1Questioni preliminari

I poemi omerici come opera scritta

Per comprendere la genesi dell’Il. e dell’Od. bisogna partire da due presupposti: a ciascuno dei due poemi hanno lavorato più poeti (1); questi poeti usavano la scrittura, nel senso che scrivevano ciò che essi stessi componevano e leggevano ciò che altri poeti avevano composto (2). Questi due presupposti (che sono la base della critica analitica, quale si è praticata per lo più da studiosi germanofoni fra l’inizio del XIX secolo e i primi decenni del XX) sono entrambi facilmente dimostrabili. Per quanto concerne (1), tutta l’analisi che seguirà parlerà da sola: le innumerevoli incongruenze, che si incontrano continuamente nei due poemi, non potrebbero mai spiegarsi supponendo un solo autore per ognuno dei due poemi.
Per quanto concerne (2), poiché non avremo occasione di discutere l’argomento nel seguito, dirò qualcosa ora. Noi sappiamo che i Greci avevano usato una scrittura lineare nel periodo miceneo e che cominciarono a usare la scrittura alfabetica (che è alla base della scrittura greca dei secoli successivi fino a oggi e, indirettamente, anche dell’alfabeto latino che noi usiamo) alla metà dell’VIII sec. a. C. e che nel periodo intermedio fra queste due date (i «secoli bui», XII–IX a. C.) non usarono la scrittura. D’altra parte, sappiamo anche che l’Il. e l’Od. hanno ricevuto la loro forma attuale non prima di ca. il 600 a. C.; dunque c’è un periodo di oltre un secolo in cui la scrittura era in uso e in cui i due poemi ebbero tempo di formarsi1. I dati archeologico-epigrafici sono quindi del tutto compatibili con l’idea che i due poemi siano stati composti da poeti che usavano la scrittura. Sappiamo anche che recitazioni orali della poesia epica erano in uso nel periodo in questione (sec. VIII–VII); sembra dunque ragionevole ammettere che, nell’epoca in cui vennero composte l’Il. e l’Od., scrittura e oralità convivessero2. Tuttavia, da alcuni decenni molti omeristi credono che i poeti (o il poeta) che hanno lavorato all’Il. e all’Od. non facessero uso della scrittura. Se questo fosse vero, la fissazione per iscritto dei poemi sarebbe avvenuta solo alla fine del processo compositivo, in concomitanza con una recitazione; bisognerebbe cioè immaginare che l’Il. e l’Od. siano state messe per iscritto da qualcuno che ascoltava una recitazione, anziché da un poeta che componeva seduto al proprio tavolo. Questa teoria panoralista (oral dictated text), che esclude l’uso della scrittura dalla genesi dei due poemi, ha avuto molta fortuna ed è stata proposta in varie forme3, ma è errata nei suoi fondamenti.
Poiché essa si è sviluppata soprattutto dagli anni ’30 in poi, cioè proprio dal momento in cui, per motivi e stimoli molto diversi, gli unitari hanno preso il sopravvento sugli analitici, è naturale che siano stati per lo più gli unitari a opporsi al panoralismo; questo non perché il panoralismo si concili meglio con l’analisi, ma perché l’analisi, da quando è venuto in auge il panoralismo, è stata poco praticata. L’argomento principale che gli unitari hanno usato contro il panoralismo sono le corrispondenze a distanza chiaramente ricercate dal poeta e l’architettura complessa dell’Il. e dell’Od. Argomenti di questo genere sono, fino a un certo punto, corretti. Noi mostreremo, per esempio, attraverso una serie di corrispondenze a distanza, che Η2–Θ hanno natura redazionale, nel senso che sono stati composti per inserire Ι, che Τ è stato composto in considerazione di Ι, e che il poeta-redattore dell’Od. (B) ha spezzato un epos preesistente (T) cercando di inserirlo in maniera coerente in epos più ampio. Gli unitari, che pure non accettano la natura redazionale di nessuna sezione dei poemi, credono anch’essi alla intenzionalità delle corrispondenze a distanza e le hanno giustamente utilizzate contro il panoralismo. Come immaginare una costruzione che presuppone corrispondenze a distanza di migliaia di vv. all’interno di una recitazione improvvisata4? I panoralisti basano le proprie teorie per lo più sul confronto con l’epos serbocroato, ma proprio tale epos mostra che poemi lunghi e strutturati come l’Il. e l’Od. sono inimmaginabili in una prospettiva panoralista5.
Oltre che da questi argomenti già abbondantemente utilizzati dagli unitari, il panoralismo è smentito da alcuni risultati dell’analisi. Noi incontreremo una serie di scene spezzate, soprattutto nell’Od. La tecnica del poeta-redattore del-l’Od. (B) è sempre la stessa: a un certo punto della narrazione la scena viene interrotta in maniera piuttosto brusca. Si passa quindi a narrare un’altra cosa e l’interruzione può durare poche decine di vv. (come nel caso di η 185–228, ψ 117–172) o anche migliaia di vv. (come nel caso di δ 619 – ο 80). Quando la scena interrotta viene ripresa, i personaggi si trovano nell’identica situazione in cui li avevamo lasciati6. B segnala la ripresa della scena spezzata ripetendo alcuni vv. che compaiono poco prima dell’interruzione. Sono in grado i panoralisti di indicare un procedimento del genere in un oral dictated text? Credo di no7, mentre esso è del tutto naturale per un poeta che, a tavolino, rielabora e giustappone epe scritti preesistenti.
Alcuni passi omerici sembrano copiati meccanicamente da altri passi. Nel concilio divino di ε 1–43 Atena lamenta davanti agli altri dèi la sorte sventurata di Odisseo (7–19), che da anni si trova presso Calipso, sull’isola di Ogigia:
Ζεῦ πάτερ ἠδ᾽ ἄλλοι μάκαρες θεοὶ αἰὲν ἐόντες,
μή τις ἔτι πρόφρων ἀγανὸς καὶ ἤπιος ἔστω
σκηπτοῦχος βασιλεύς, μηδὲ φρεσὶν αἴσιμα εἰδώς,
ἀλλ᾽ αἰεὶ χαλεπός τ᾽ εἴη καὶ αἴσυλα ῥέζοι, [10]
ὡς οὔ τις μέμνηται Ὀδυσσῆος θείοιο
λαῶν, οἷσιν ἄνασσε, πατὴρ δ᾽ ὣς ἤπιος ἦεν.
ἀλλ᾽ ὁ μὲν ἐν νήσωι κεῖται κρατέρ᾽ ἄλγεα πάσχων.
νύμφης ἐν μεγάροις Καλυψοῦς, ἥ μιν ἀνάγκῃ
ἴσχει· ὁ δ᾽ οὐ δύναται ἣν πατρίδα γαῖαν ἱκέσθαι. [15]
οὐ γάρ οἱ πάρα νῆες ἐπήρετμοι καὶ ἑταῖροι,
οἵ κέν μιν πέμποιεν ἐπ᾽ εὐρέα νῶτα θαλάσσης.
νῦν αὖ παῖδ᾽ ἀγαπητὸν ἀποκτεῖναι μεμάασιν
οἴκαδε νισόμενον.
Chi vuole rimproverare la dèa con queste parole? «Nessuno si ricorda (οὔ τις μέμνηται, 11) di Odisseo, che Calipso trattiene contro la sua volontà presso di sé». Verrebbe da pensare, che Atena voglia rimproverare gli unici che potrebbero fare in modo che Calipso lasciasse finalmente partire Odisseo, cioè gli dèi; tanto più che ella parla in mezzo agli dèi. Il pensiero viene tanto più naturale, quando si consideri che la stessa Atena in precedenza, sempre davanti agli altri dèi, aveva mosso loro lo stesso rimprovero, cioè di non provare la dovuta pietà per la sorte di Odisseo trattenuto da Calipso (α 59 sgg.). Inoltre, una divinità che rimprovera le altre per la loro scarsa sensiblità verso la sorte infelice e immeritata di un mortale, è cosa tipica dell’epica omerica (cfr. e. g. Ω 33 sgg.). Tuttavia, nel passo trascritto Atena non rimprovera gli altri dèi in mezzo a cui sta parlando, ma i concittadini di Odisseo, gli Itacesi: nessuno di coloro sui quali Odisseo regnava (οὔ τις … λαῶν, οἷσιν ἄνασσε), dice la dèa, si ricorda di lui. Cosa ha a che fare questo con il contesto in cui Atena parla? Cosa possono fare i sudditi di Odisseo, gli Itacesi, perché egli possa tornare in patria? Evidentemente nulla. I vv. 8–12 occorrono uguali in un altro punto dell’Od., durante l’assemblea degli Itacesi (β 230–234), ove a pronunciarli è Mentore; in questo caso, però, dire che nessuno dei sudditi di Odisseo si ricorda quale sovrano egli fosse (πατὴρ δ᾽ ὥς ἤπιος ἦεν) è perfettamente appropriato: Mentore sta parlando in mezzo agli Itacesi e rimprovera loro di lasciare che i proci divorino le sostanze di Odisseo, mentre dovrebbero aiutare Telemaco a cacciarli di casa. Sembra dunque che ε 8–12 sia stato copiato da β 230–234, in maniera del tutto meccanica e senza curarsi dell’incongruenza che ne nasceva8. Anche ε 14–17 si trovano in un altro passo dell’Od. (δ 557–560) ove a pronunciarli è Proteo, che si rivolge a Menelao. Anche se dovessimo giudicare dal solo confronto di ε con δ, credo risulterebbe probabile la priorità di δ: mentre è infatti del tutto normale che Proteo dica a Menelao che Odisseo non può tornare a Itaca perché non ha più nave e compagni, più strano è che Atena dica ques...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Pagina Titolo
  3. Pagina copyright
  4. Dedica
  5. Prefazione
  6. Indice
  7. 1 Questioni preliminari
  8. 2 Storia dell’analisi dell’Iliade
  9. 3 Analisi di Α–Ζ
  10. 4 Analisi di H–Κ
  11. 5 Analisi di Λ–Ο
  12. 6 Analisi di Π–Τ
  13. 7 Analisi di Υ–Ω
  14. 8 Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Iliade
  15. 9 Storia dell’analisi dell’Odissea
  16. 10 Analisi di α–δ
  17. 11 Analisi di α 1–102, ε–μ
  18. 12 Analisi di ν–υ 121
  19. 13 Analisi di υ 122–ω
  20. 14 Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Odissea
  21. 15 I poeti omerici, la storia e la datazione dell’Iliade e dell’Odissea
  22. 16 La leggenda (orfica?) di Pisistrato editore di Omero, la critica analitica nell’antichità e la fase attica della tradizione omerica
  23. Stemma dei rapporti fra gli epe
  24. Bibliografia
  25. Indice delle cose notevoli