La parola alla difesa
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La parola alla difesa

Agatha Christie, Maria Grazia Griffini

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La parola alla difesa

Agatha Christie, Maria Grazia Griffini

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Una giovane donna, Elinor Carlisle, siede sul banco degli imputati, accusata di assassinio. Le prove a suo carico sono schiaccianti. La vittima, Mary Gerrard, dama di compagnia di una sua anziana e ricca zia morta in circostanze poco chiare, ha sottratto all'accusata l'amore del fidanzato, l'affetto della zia e forse anche l'eredità. L'omicidio, per avvelenamento da morfina, è avvenuto durante una colazione alla quale partecipano solo tre persone: la vittima, Elinor e una vecchia, irreprensibile infermiera. Tutti sono convinti della colpevolezza dell'imputata. Tutti tranne Poirot, che con la sua consueta abilità riesce a risolvere il complicato puzzle e a giungere a una ricostruzione veramente inaspettata del caso.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2013
ISBN
9788852034657

La parola alla difesa

Prologo

«Elinor Katherine Carlisle. Secondo l’atto di accusa siete imputata di assassinio nella persona di Mary Gerrard; delitto che è stato compiuto il 27 luglio scorso. Vi dichiarate colpevole o innocente?»
Elinor Carlisle rimase immobile e impettita, la testa eretta. Una testa dalle linee eleganti e aggraziate, la sua; un viso dai lineamenti fini e incisivi, e dalla struttura ossea ben modellata. Gli occhi erano di un azzurro vivido e profondo, i capelli neri. Le sopracciglia accuratamente depilate in modo da formare una linea sottile.
Calò il silenzio nell’aula, un silenzio che si protrasse a lungo.
Sir Edwin Bulmer, l’avvocato difensore, provò un fremito di sgomento e pensò: “Dio mio, adesso si dichiara colpevole. Si è persa d’animo”.
Le labbra di Elinor Carlisle si socchiusero. E disse: «Innocente».
L’avvocato difensore si lasciò andare contro la spalliera della seggiola e si passò un fazzoletto sulla fronte, rendendosi conto che l’avevano scampata bella.
Sir Samuel Attenbury era in piedi, adesso, ed esponeva, nelle sue linee generali, il caso alla Corte.
«Desidero portare a conoscenza di Vostro Onore e dei signori giurati che il 27 luglio, alle tre e mezzo del pomeriggio, Mary Gerrard moriva a Hunterbury, Maidensford...»
La sua voce continuò a levarsi sonora, piacevole da ascoltare. E a poco a poco Elinor se ne sentì cullata sin quasi a dimenticare dove si trovava. Di quella narrazione semplice e concisa solo qualche frase, di tanto in tanto, filtrava attraverso quel sopore imprimendosi nella sua mente.
«... Si tratta di un caso singolarmente semplice e chiaro... è dovere della Corte... dimostrare il movente e l’opportunità... nessuno, a quanto si può vedere, aveva un particolare motivo per uccidere quella disgraziata ragazza, Mary Gerrard, all’infuori dell’imputata. Era una creatura giovane, molto simpatica, alla quale tutti volevano bene... senza, si potrebbe dire, un nemico al mondo...»
Mary... Mary Gerrard! Come sembrava lontano tutto ciò, adesso! Non pareva nemmeno più vero e reale...
«... La vostra attenzione dovrà concentrarsi in modo particolare sulle seguenti considerazioni. Primo: quali possibilità e quali mezzi aveva l’imputata di somministrare il veleno? Secondo: quale movente aveva per farlo?
«È mio dovere citare dinanzi a voi i testimoni che possano aiutarvi a formare un concetto preciso dell’accaduto...
«Per ciò che concerne l’avvelenamento di Mary Gerrard, cercherò di dimostrarvi che nessuno aveva la minima opportunità di commettere il delitto all’infuori dell’imputata...»
Elinor continuava ad avere la sensazione di essere circondata da una fitta nebbia. A tratti, attraverso la foschia, le giungeva qualche parola isolata.
«... Tartine... Pasta di pesce... Casa vuota...»
Le parole penetravano crudamente attraverso la spessa coltre di nebbia che avviluppava i pensieri di Elinor come spilli pungenti attraverso un fitto velo soffocante.
Il tribunale. Volti. File e file di volti! E uno in particolare, con un paio di grossi baffi neri e uno sguardo astuto. Hercule Poirot, il capo leggermente piegato su una spalla, gli occhi assorti e attenti, la stava osservando.
Lei pensò: “Sta cercando di capire esattamente perché l’ho fatto. Sta cercando di penetrare dentro di me e scoprire ciò che posso aver pensato e provato...”.
Provato? Una visione un po’ confusa, un lieve senso di malessere, di disgusto... il viso di Roddy... quel suo caro, caro viso con il naso lungo, la bocca sensibile. Roddy! Sempre Roddy... sempre, fin da quando poteva ricordare... sin da quei giorni lontani, a Hunterbury, fra le pianticelle di lamponi e poi, ancora, quando si inerpicavano su per quel terreno popolato di conigli e poi, giù, lungo il ruscello. Roddy... Roddy... Roddy...
Altri volti! L’infermiera O’Brien, la bocca socchiusa, il viso lentigginoso, fresco, un po’ proteso in avanti. L’infermiera Hopkins con quella sua espressione sempre così soddisfatta di sé... compita e implacabile. E quello di Peter Lord... Peter Lord... così gentile, così buono e intelligente, così... così confortante! Ma ripensandoci adesso... qual era l’altra sua espressione... un’espressione smarrita?... Ecco... smarrita! Come se fosse sconvolto e angosciato... terribilmente angosciato da tutto ciò che era accaduto! Mentre lei, la protagonista, non se la prendeva affatto! Adesso eccola qui, calmissima, fredda, sul banco degli imputati, accusata di assassinio. In un’aula di tribunale.
Qualcosa si agitò lievemente; le pesanti folate di quella spessa cortina di nebbia che le avvolgeva il cervello si diradarono trasformandosi in lembi trasparenti. In un’aula di tribunale!... e quella gente...
Tutto quel pubblico che si protendeva in avanti, le labbra socchiuse, gli occhi sbarrati a fissare lei, Elinor, con una specie di orribile e macabro godimento, mentre ascoltava con una sorta di crudele piacere ciò che quell’uomo alto, col naso adunco, stava dicendo di lei.
«I fatti, in questo processo, sono estremamente facili da seguire, e indiscutibili. Ve li esporrò con la massima semplicità. Fin dal principio...»
Elinor pensò: “Il principio... il principio? Il giorno in cui arrivò quell’orribile lettera anonima! Quello era stato il principio di tutto...”.

1

Una lettera anonima!
Elinor Carlisle rimase immobile a guardarla, mentre la teneva spalancata fra le mani. Non aveva mai visto niente di simile in vita sua. Dava una sensazione estremamente spiacevole. Scritta male, con una brutta grafia, piena di errori di grammatica, su un foglio di carta da lettere rosa, da poco prezzo.
Questa è per Avvertirvi,
non voglio far Nomi ma ce Qualcuno che si sta profitando di vostra Zia e se non ci starete atenta rimarete Tagliata Fuori da Tutto. Certe Ragazze Sono vere e proprie Furbachione e le Vecchie Signore diventano Tenere quando le Giovani fanno di tuto per circondarle di premure e Adularle Quel che vi dico è che farete Melio a venire giù voi stesa a vedere con i Vostri Ochi quello che Sucede non è Giusto che il giovane Signorino e voi siate Derubati di Cuel che vi tocca... ma Lei è molto Furba e la Vecchia Signora potrebbe andarsene da un momento all’altro.
Una Persona che Vi Vuol Bene
Elinor stava ancora fissando la missiva, le sopracciglia aggrottate per l’indignazione e il disgusto, quando la porta si aprì. La cameriera annunciò: «Il signor Welman» e Roddy entrò.
Roddy! Come sempre quando lo vedeva, Elinor si rese conto di provare un leggero senso di vertigine, un fremito improvviso di piacere, la sensazione che fosse indispensabile mostrarsi assolutamente posata, tranquilla, senza rivelare i propri sentimenti. Perché era fin troppo chiaro che Roddy, pur amando Elinor, non sentiva per lei tutto ciò che Elinor sentiva nei suoi confronti. Le bastava anche solo vederlo per provare un tuffo al cuore, una morsa dolorosa che quasi le faceva male. Assurdo che un uomo – un uomo qualsiasi, sì, un giovanotto che non aveva niente di speciale – potesse provocare su una persona un simile effetto! Che le bastasse solo vederlo per sentirsi girare tutto intorno, che la sua voce le facesse provare il desiderio – oh, ma solo appena appena! – di piangere. Eppure l’amore dovrebbe essere una sensazione piacevole, non qualcosa che fa star male per la sua intensità...
Una cosa era chiara: doveva stare molto, molto attenta e mostrarsi disinvolta e indifferente. Agli uomini non piacciono la devozione o l’adorazione. In ogni caso, non piacevano a Roddy.
Lei disse in tono spensierato: «Salve, Roddy!».
«Ciao, tesoro! Hai un’aria addirittura tragica. È un conto da pagare?»
Elinor scrollò il capo.
Roddy riprese: «Immaginavo che lo fosse... siamo a metà estate, come ben sai... l’epoca in cui le fatine danzano e le fatture da pagare piovono l’una dopo l’altra!».
«È invece una cosa orribile. Si tratta di una lettera anonima.»
Roddy inarcò le sopracciglia. Il suo viso attento, vagamente sdegnoso, si irrigidì, cambiando espressione; quindi esclamò con voce tagliente e disgustata: «No!».
«È orribile...» ripeté Elinor. Poi fece un passo verso la scrivania. «Immagino sia meglio strapparla.»
Ecco quello che avrebbe fatto, anzi stava quasi per farlo, perché Roddy e una lettera anonima erano due cose che non dovevano avere il minimo contatto. L’avrebbe addirittura gettata via per non pensarci più. E lui non glielo avrebbe impedito. L’indignazione e il disgusto valevano per Roddy molto più della curiosità.
Ma Elinor, seguendo un impulso improvviso, decise altrimenti.
«Forse» disse «sarebbe meglio che tu, prima, la leggessi. Poi la bruceremo. Riguarda la zia Laura.»
Le sopracciglia di Roddy si alzarono per lo stupore. «La zia Laura?»
Prese la lettera, la lesse, corrugò la fronte con aria indignata e la restituì.
«Sì» disse. «È da bruciare senza discussioni! Com’è incredibilmente strana la gente!»
Elinor domandò: «Cosa ne pensi... una delle cameriere?».
«Forse.» Poi esitò. «Mi domando chi... chi può essere la persona a cui allude?»
«Secondo me deve trattarsi di Mary Gerrard» rispose Elinor dopo un attimo di riflessione.
Roddy aggrottò le sopracciglia nello sforzo di ricordare.
«Mary Gerrard? E chi sarebbe?»
«La figlia di quelli che stanno nella portineria. Non te la ricordi, da bambina? Zia Laura le è sempre stata affezionata e si è interessata molto a lei. Le ha pagato la scuola e ha pensato anche a farle prendere altre lezioni extra... pianoforte, francese, e via dicendo.»
«Oh, certo, adesso sì, che me la ricordo» disse Roddy. «Una bambinetta esile, magrolina, tutta gambe e braccia, con una selva di capelli biondi sempre arruffati.»
Elinor annuì. «Sì, probabilmente non ti è più capitato di vederla dall’epoca di quelle vacanze estive quando mamma e papà erano all’estero. Non sei più andato a Hunterbury con la stessa frequenza con la qu...

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