Il principe della nebbia
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Il principe della nebbia

Carlos Ruiz Zafón, Bruno Arpaia

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Il principe della nebbia

Carlos Ruiz Zafón, Bruno Arpaia

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1943: il vento della guerra soffia impetuoso sull'Europa quando il padre di Max Carver decide di lasciare la città e trasferire la famiglia in una casa sulla costa spagnola. Il luogo sembra protetto e tranquillo ma, appena arrivati, cominciano a succedere strani fenomeni: Max scopre un giardino disseminato di statue orribili, la sorella Alicia inizia a fare sogni inquietanti, compare una scatola piena di vecchi film che sembrano aprire una finestra sul passato, mentre l'orologio della stazione va all'indietro. E ci sono le voci, sempre più sinistre, che riguardano i precedenti proprietari della villa, e i racconti che accompagnano la misteriosa scomparsa del loro unico figlio.
Mentre un incidente colpisce la sua famiglia, Max si trova sommerso da presagi allarmanti ed è costretto, suo malgrado, a improvvisarsi detective. Assieme ad Alicia e al nuovo amico Roland, nipote dell'anziano custode del faro, inizia a indagare sull'oscuro naufragio di una nave che giace sui fondali della baia custodendo molti segreti, e sugli eventi, sempre più drammatici, che investono la casa sulla spiaggia. Insieme i tre ragazzi scoprono la terrificante storia del Principe della Nebbia, un'ombra luciferina che emerge nel cuore della notte per scomparire con le prime nebbie dell'alba... Una storia che affonda le radici nel passato e che continua a lasciare una scia di sangue, dolore e sofferenza.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2012
ISBN
9788852027420

1

Sarebbero dovuti passare molti anni prima che Max potesse dimenticare l’estate in cui, quasi per caso, scoprì la magia. Correva l’anno 1943 e i venti di guerra trascinavano irrimediabilmente il mondo verso il baratro. A metà giugno, il giorno in cui Max compì tredici anni, suo padre, orologiaio e inventore a tempo perso, riunì la famiglia in salotto e annunciò che era l’ultimo giorno che avrebbero trascorso in quella che era stata la loro casa negli ultimi dieci anni. La famiglia si trasferiva sulla costa, lontano dalla città e dalla guerra, in una casa accanto alla spiaggia di un piccolo villaggio sulle rive dell’Atlantico.
La decisione era definitiva: sarebbero partiti all’alba del giorno dopo. Fino a quel momento avrebbero dovuto imballare tutte le loro cose e prepararsi al lungo viaggio verso la nuova casa.
La famiglia accolse la notizia senza sorpresa. Quasi tutti ormai immaginavano che l’idea di lasciare la città in cerca di un posto più vivibile ronzasse già da tempo nella testa del buon Maximilian Carver; tutti tranne Max. Per lui la notizia ebbe lo stesso effetto di una locomotiva impazzita che attraversasse un negozio di porcellane cinesi. Restò basito, con la bocca aperta e lo sguardo assente. Durante quella breve trance, per la sua mente passò la terribile certezza che tutto il suo mondo, inclusi gli amici di scuola, la banda della strada e il negozio di fumetti all’angolo, fosse sul punto di svanire per sempre. Di colpo.
Mentre gli altri membri della famiglia si disperdevano con aria rassegnata per preparare i bagagli, Max rimase immobile a guardare il padre. Il buon orologiaio si accoccolò davanti al figlio e gli mise le mani sulle spalle. Lo sguardo di Max si spiegava meglio di un libro aperto.
«Adesso ti sembra la fine del mondo, Max. Ma ti prometto che il posto dove andiamo ti piacerà. Ti farai nuovi amici, vedrai.»
«È per la guerra?» chiese Max. «È per questo che dobbiamo andarcene?»
Maximilian Carver abbracciò il figlio e poi, senza smettere di sorridergli, tirò fuori dalla tasca della giacca un oggetto brillante appeso a una catena e glielo mise tra le mani. Un orologio da taschino.
«L’ho fatto per te. Buon compleanno, Max.»
Max aprì l’orologio. Era d’argento. Sul quadrante, ogni ora era indicata dal disegno di una luna che cresceva e calava al ritmo delle lancette, formate dai raggi di un sole che sorrideva al centro. Sul coperchio, incisa a caratteri eleganti, si poteva leggere una frase: “La macchina del tempo di Max”.
Quel giorno, senza saperlo, mentre osservava la sua famiglia andare su e giù con le valigie, tenendo in mano l’orologio che gli aveva regalato il padre, Max smise per sempre di essere un bambino.
La notte del suo compleanno Max non chiuse occhio. Mentre gli altri dormivano, aspettò l’arrivo fatale di quell’alba che avrebbe segnato l’addio definitivo al piccolo universo che si era costruito nel corso degli anni. Trascorse le ore in silenzio, steso sul letto con lo sguardo perso tra le ombre scure che danzavano sul soffitto, quasi sperasse di scorgervi un oracolo in grado di disegnare il suo destino a partire da quel giorno. Aveva in mano l’orologio che il padre aveva costruito per lui. Le lune sorridenti del quadrante brillavano nella penombra notturna. Magari possedevano la risposta a tutte le domande che Max aveva iniziato a collezionare da quel pomeriggio.
Alla fine, le prime luci dell’alba spuntarono sull’orizzonte scuro. Max saltò dal letto e si diresse in salotto. Maximilian Carver era seduto in poltrona, vestito e con un libro in mano, accanto alla luce di una lampada. Max non era l’unico ad avere passato la notte sveglio. L’orologiaio gli sorrise e chiuse il libro.
«Cosa leggi?» chiese Max, indicando lo spesso volume.
«Un libro su Copernico. Sai chi è Copernico?» rispose l’orologiaio.
«Vado a scuola» replicò Max.
Suo padre aveva l’abitudine di rivolgergli domande come se fosse appena caduto da un albero.
«E cosa sai di lui?» insisté.
«Ha scoperto che è la Terra a girare attorno al Sole e non il contrario.»
«Più o meno. E sai cosa ha significato?»
«Problemi» rispose Max.
L’orologiaio sorrise a lungo e gli tese il grosso libro.
«Tieni. È tuo. Leggilo.»
Max esaminò il misterioso volume rilegato in pelle. Sembrava avere mille anni e ospitare lo spirito di qualche vecchio genio incatenato alle sue pagine da un maleficio centenario.
«Bene» tagliò corto il padre. «Chi va a svegliare le tue sorelle?»
Max, senza alzare gli occhi dal libro, fece segno con la testa che gli cedeva l’onore di strappare Alicia e Irina, le sue due sorelle, rispettivamente di quindici e otto anni, dal loro profondo sonno.
Poi, mentre il padre andava a dare la sveglia a tutta la famiglia, Max si sistemò sulla poltrona, aprì il libro e cominciò a leggere. Mezz’ora dopo, la famiglia intera oltrepassava per l’ultima volta la soglia di casa verso una nuova vita. Era iniziata l’estate.
Una volta Max aveva letto in uno dei libri del padre che certe immagini dell’infanzia rimangono impresse nell’album della mente come fotografie, come scenari che si ricordano per sempre e ai quali si continua a tornare, nonostante il trascorrere del tempo. Max capì il senso di quelle parole la prima volta che vide il mare. Erano in treno da più di cinque ore quando, all’improvviso, sbucando da una galleria buia, un’infinita lamina di luce e di chiarore spettrale gli si parò davanti agli occhi. L’azzurro elettrico del mare che splendeva sotto il sole di mezzogiorno si incise sulla sua retina come un’apparizione sovrannaturale. Mentre il treno proseguiva a pochi metri dall’acqua, Max sporse la testa dal finestrino e sentì per la prima volta sulla pelle il vento impregnato di salmastro. Si voltò a guardare il padre, che l’osservava dall’estremità dello scompartimento con un sorriso misterioso, annuendo a una domanda che Max non era riuscito a formulare. Seppe allora che non importava la destinazione di quel viaggio né in quale stazione si sarebbe fermato il treno; da quel giorno non avrebbe mai più vissuto in un posto da cui non avesse potuto vedere ogni mattina al risveglio quella luce azzurra e accecante che saliva al cielo come un vapore magico e trasparente. Era una promessa che aveva fatto a se stesso.
Mentre dalla banchina della stazione del paese Max contemplava il convoglio allontanarsi, Maximilian Carver lasciò per qualche minuto la famiglia con i bagagli davanti all’ufficio del capostazione e andò a negoziare con alcuni dei trasportatori locali un prezzo ragionevole per trasferire i colli, le persone e tutto il resto alla destinazione finale. La prima impressione di Max sul paese e sull’aspetto della stazione e delle prime case, i cui tetti spuntavano timidamente tra gli alberi circostanti, fu che quel posto sembrava un modellino, uno di quei paesi in miniatura costruiti dai collezionisti di trenini elettrici, dove, se ci si avventurava a camminare più del dovuto, si poteva finire giù dal tavolo. Di fronte a una simile idea, Max stava iniziando a considerare un’interessante variazione della teoria di Copernico sul mondo quando la voce della madre accanto a lui lo sottrasse alle sue fantasticherie cosmiche.
«E allora? Promosso o bocciato?»
«È presto per saperlo» rispose Max. «Sembra un modellino. Come quelli nelle vetrine dei negozi di giocattoli.»
«Forse lo è» sorrise la madre. Quando lo faceva, Max poteva scorgere sul suo volto un pallido riflesso della sorella Irina.
«Ma non dirlo a tuo padre» proseguì. «Eccolo che arriva.»
Maximilian Carver tornò scortato da due aitanti facchini con vestiti cosparsi di macchie di grasso, fuliggine e altre sostanze impossibili da identificare. Sfoggiavano entrambi berretti da marinaio e baffi frondosi, come se quella fosse l’uniforme della loro professione.
«Questi sono Robin e Philip» spiegò l’orologiaio. «Robin porterà i bagagli e Philip la famiglia. D’accordo?»
Senza attendere l’approvazione familiare, i due forzuti si diressero verso la montagna di bauli e sollevarono metodicamente il più voluminoso senza il minimo segno di sforzo. Max estrasse l’orologio e osservò il quadrante con le lune sorridenti. Le lancette segnavano le due del pomeriggio. Il vecchio orologio della stazione segnava le dodici e mezzo.
«L’orologio della stazione va male» mormorò Max.
«Visto?» rispose il padre, euforico. «Appena arrivati e già abbiamo del lavoro.»
La madre sorrise debolmente, come faceva sempre di fronte alle dimostrazioni di raggiante ottimismo di Maximilian Carver, però Max poté leggerle negli occhi un’ombra di tristezza e quella strana luminosità che, da bambino, gli aveva fatto credere che la madre intuisse nel futuro ciò che gli altri non potevano scorgere.
«Andrà tutto bene, mamma» disse Max, sentendosi uno stupido un secondo dopo aver pronunciato quelle parole.
La madre gli accarezzò la guancia e sorrise.
«Certo, Max. Andrà tutto bene.»
In quel momento Max ebbe la certezza che qualcuno lo stesse osservando. Girò rapidamente lo sguardo e riuscì a vedere un grande gatto tigrato che lo fissava dalle sbarre di una finestra della stazione, come se potesse leggere i suoi pensieri. Il felino sbatté le palpebre e con un salto che evidenziava un’agilità impensabile in un animale di quella stazza, gatto o non gatto, si avvicinò alla piccola Irina e le strofinò il fianco contro le caviglie. La bambina si chinò per accarezzare l’animale, che miagolava piano. Lo prese in braccio e il gatto si lasciò coccolare tranquillamente, leccando con dolcezza le dita della bimba, che sorrideva incantata dal fascino del felino. Irina, con il gatto in braccio, si avvicinò alla famiglia che l’aspettava.
«Siamo appena arrivati e già hai raccattato una bestia. Chissà cos’avrà addosso» sentenziò Alicia con evidente fastidio.
«Non è una bestia. È un gatto ed è abbandonato» replicò Irina. «Mamma?»
«Irina, non siamo nemmeno arrivati a casa…» iniziò la madre.
La bambina si sforzò di fare una smorfia lacrimevole, alla quale il felino contribuì con un miagolio dolce e seducente.
«Può stare in giardino. Per favore…»
«È un gatto grasso e sporco» aggiunse Alicia. «Gliela darai vinta un’altra volta?»
Irina rivolse alla sorella maggiore uno sguardo gelido e penetrante che prometteva una dichiarazione di guerra, a meno che non chiudesse la bocca. Alicia lo sostenne per qualche istante e poi si voltò, con un sospiro di rabbia, allontanandosi verso i facchini che caricavano i bagagli. Lungo la strada incontrò il padre, a cui non sfuggì la faccia livida di Alicia.
«Stiamo già litigando?» domandò. «E questo?»
«È solo e abbandonato. Non lo possiamo prendere? Starà in giardino e me ne occuperò io. Prometto» si affrettò a spiegare Irina.
L’orologiaio, attonito, guardò il gatto e poi la moglie.
«Non so che dirà tua madre…»
«E cosa dici tu, Maximilian Carver?» replicò la moglie, con un sorriso che dimostrava quanto la divertiva il dilemma trasferito al marito.
«Be’, bisognerebbe portarlo dal veterinario e poi…»
«Per favore…» gemette Irina.
L’orologiaio e la moglie si scambiarono uno sguardo complice.
«Perché no?» concluse Maximilian Carver, incapace di iniziare l’estate con un conflitto familiare. «Ma te ne occuperai tu. Promesso?»
Il volto di Irina si illuminò e le pupille del felino si strinsero fino a sembrare due aghi neri sulla sfera dorata e luminosa dei suoi occhi.
«Su, andiamo! I bagagli sono già caricati» disse l’orologiaio.
Irina si portò il gatto in braccio, correndo verso i furgoncini. Il felino, con la testa appoggiata alla spalla della bambina, te...

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