Un vuoto d'aria
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Un vuoto d'aria

Carlo Bordini, Francesca Santucci

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Un vuoto d'aria

Carlo Bordini, Francesca Santucci

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Poeta appartato e ribelle per vocazione, Carlo Bordini è stato comunque per molti, fino alle generazioni più giovani, un autore di culto, una figura autonoma di riferimento. Composto negli ultimi anni di vita, Un vuoto d'aria, che esce postumo a cura di Francesca Santucci, conserva i tratti più rilevanti della sua fisionomia poetica, in primo luogo l'intensità materica e una potente energia espressiva. L'alternarsi di versi e prosa poetica genera una forte efficacia comunicativa, pur con volute sconnessioni interne, che va ben oltre i termini di una letterarietà di tradizione e di maniera, del tutto estranea al senso della ricerca di Bordini. Una ricerca sempre volta, per citare un suo intervento, a quella che definiva iperverità, nella convinzione che «l'arte, ogni forma d'arte, giunge, quando funziona, a una verità più profonda di quella che una persona conosce o crede di conoscere nella sua vita». Ci troviamo di fronte a un autore che varia le scelte tematiche e formali, e che reinterpreta la stessa poesia d'amore o autobiografica secondo termini del tutto personali. Un autore ben attento all'esempio di Pasolini, capace di ironia e di aperture trasgressive e coinvolto come pochi altri nella stagione dell'impegno, attraversata prima con adesione ideologica e poi con distacco. Ma nella cui poesia troviamo anche legami con grandi esempi storici, come quelli di Apollinaire e Gozzano. Bordini è stato un poeta per il quale risulta decisivo il rapporto tra scrittura e psicoanalisi, poiché nei suoi versi «la psicoanalisi è ovunque», come scrive Guido Mazzoni nel saggio introduttivo, «non è solo un contenuto: è una forma, è una macchina semiotica». E questo nell'ininterrotta indagine sul vissuto che ha alimentato i suoi testi, ai quali possiamo oggi tornare con il pieno interesse dovuto a una riscoperta ormai necessaria.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2021
ISBN
9788835713616

VUOTO D’ARIA

Pizarnik

M

Pizarnik

Quello che mi attira in te è la tua mancanza di speranza,
O meglio il riporre la speranza in un binomio che
come si sa è indistruttibile (c’è qualcosa nella morte
che ricorda l’amore, diceva
Lee Masters),
nel binomio infatti di due assoluti: l’amore
e la morte.
Non c’è altro. È come se tu già non fossi viva
pPerò in realtà sei viva, perché sei abitata
dal dolore, o abiti nel dolore, o ti rifugi nel dolore,
e questo dolore, questo sentire, ti fa sentire viva. Ti aiuta
ad invocare la tua ultima speranza: l’amore
La tua è la speranza dei pessimisti: quelli che pensano
che in ogni caso perderanno. Che la speranza è solo
un’invocazione. In effetti
queste poesie sono un’unica, continua invocazione.
Una volta fallita la speranza dell’amore,
rimane solo la purezza. L’amara purezza.
Ed è proprio questa mancanza di speranza
che mi attira, perché la speranza è sempre
superficialità, e menzogna.
“Il cuore di ciò che esiste
non consegnarmi,
tristissima mezzanotte,
al mezzogiorno bianco senza purezza.”
Da ciò viene fuori una radicalità
che mi affascina. Perché la tua poesia
dice sempre la verità.
“Canta come se non accadesse nulla.”
Nulla accade.
“Qualcuno sognò molto male...” Gli occhi
sono aperti. Sanno che il buen retiro è impossibile
La seconda parte del libro è tutta
una lenta agonia. Un abbandono. (Titolo
infatti di una tua poesia). Il bicchiere
è ormai irraggiungibile. Tu
che parli di morte e non ami la Pizarnik
sappi che questa è la tua fortuna. Tu
vivrai.

Poesia per un merlo maschio

Guardo la tua fotografia perché mi hanno detto che devo fare una poesia su di te,
e scopro che non ti ho mai conosciuto.
Hai l’occhio sensitivo, come di un animale
che sa volare.
Chi sei? Perché hai quell’occhio?
un occhio che ha paura?
Sei una macchina o un mostro?
Cosa senti quando voli?
Mi ha sorpreso l’immagine di te,
così sospeso.
Così pieno di sensibilità, che io non
credevo che avessi.
Forse tutte le bestie
hanno paura?
Forse vivi in un presente svagato e non sai
di essere bello?
E noi, che ti insegniamo parole sconnesse, siamo
più saggi di te?
Il tuo canto è la tua
schiavitù?
Il tuo canto è la tua
Merlo

Colpo di sonno

La morte potrebbe arrivare
leggera, lieve, attutita,
come un colpo di sonno
per fare la pace con se stessi
ovunque
come una lumaca
la consistenza appiccicosa
o
un momento di panico
pentimento
una saggezza di emozione così sepolta
ogni improvviso tradimento

S. Baraldini

Ero andato a prendere Geraldina Colotti al Manifesto e mangiavamo in un bar, quando Geraldina ricevette una telefonata e fu raggiunta da Silvia Baraldini. Non si erano mai viste. Si erano solo parlate per telefono. Silvia Baraldini arrivò: era ben vestita e tranquilla. Nulla di eroico né di vittimistico. Parlò con Geraldina. Geraldina la consigliò, in tono tranquillo, come una signora che consiglia a un’altra su un supermercato. Tranquilla. Come due Dee. “Devi stare attenta in questo periodo perché è un periodo...”. Sai l’avvocato dice che il giudice...” “Probabilmente...” “Credo che tu abbia ragione.” Geraldina mi presentò come un poeta bravissimo. “Ah, la poesia”, disse Silvia. “In America in carcere avevamo riempito il carcere di poesie. È stata una detenuta inglese, bravissima, che dato che in Inghilterra, a Londra, nella metropolitana, nella metropolitana di Londra, negli spazi della pubblicità attaccano poesie, propose di attaccare le poesie ai muri del carcere. E la cosa ebbe un successo! Tutto il carcere era pieno di poesie, poi le detenute cominciarono a scrivere poesie e le attaccavano ai muri, alcune le rubavano per mandarle a casa ai figli, ecc. ECC. E c’erano varie tendenze, è logico, ad alcune piacevano un tipo di poesie, ad altre un altro, quindi c’era un po’ di tutto, dai sonetti di Shakespeare alle poesie scherzose.” “E le attaccavano al muro, con le puntine...” disse Geraldina. “No, con lo scotch.” Le chiesi: “ma davvero nella metropolitana di Londra attaccano poesie?” “Sì, ci sono i posti per la pubblicità, e dove non c’è la pubblicità attaccano poesie.” Silvia e Geraldina parlarono ancora. Si era fatto tardi. Silvia guardò l’orologio. Silvia salutò Geraldina. Salutò me. Uscì.
Dopo, io e Geraldina continuammo a parlare. Io le dissi: sai, io mi odio. Lei mi sorprese dicendo improvvisamente: anche io. Poi, d’improvviso, al dessert, Geraldina mi confidò di voler morire.

Del verme

In passato ho cominciato a aver paura e allora sono andato a imparare un’arte marziale. È un’arte marziale inventata da una donna, che si basa tutta su movimenti interni. Poi mi sono accorto, col tempo, che tutto per me era basato su movimenti interni. punti d’appoggio vicini, comunanze con amici stretti, senza mai uscire. In certe occasioni posso anche essere molto pericoloso. come una donna. o un verme.

Sogno n.4

Stavo in un paese orientale forse in cina e stavo in un contatto con un gruppo di persone che forse erano degli oppositori o forse delle spie. forse ero io una spia. dopo qualche successo che abbiamo ottenuto una delle persone con cui ero in contatto fu uccisa da una fiocina lanciata da chissà chi che gli si conficcò nel petto. Capii o avevo già capito che ero stato individuato perché avevo comprato un giornale per strada e questo giornale era clandestino e mi avevano visto. Dopo qualche giorno mi sembrò la cosa più giusta (lo decisero i miei dirigenti, anche a me sembrava giusto) che io partissi perché ero stato individuato, e che dopo la mia partenza per vendetta fosse ammazzata un po’ di gente del controspionaggio avversario.

Racconto assurdo

Laddove è inteso dimostrare
che l’amore è necessario a-
gli uomini, acciocché zoio-
samente e festevolmente la
loro vita conducano.
Un giardino nella notte. Nelle stradette di campagna che si aprono come intrichi tra gli alberi circostanti, nelle piccole vallate, nei campi coltivati a maggese, sospirano e gemono fontane tranquille, di lavatrici affaccendate piene di ricordi, nei cerchi tranquilli che l’acqua cade nello stagnante di panni che, intorcinati, si sono imbevuti della loro acqua.
Se io fossi un contadino che cammina per quelle strade. Un volo di fringuelli accompagna il mio cammino: il grido è tremore, è sbattere di ali, è volo. Dal di fuori del giardino, già divenuto un ricordo, esso, confortato di lumini, alle mie spalle, una nuova realtà è la placida notte in cui m’immergo. Sogni di zappe vagano per l’aria. Essi – così reali che se mi colpissero in testa mi lascerebbero un tangibile marchio – placano la mia vista ansiosa di rustiche e terragnole immagini che mi dilatano il polmone non del cuore, il polmone destro.
Se io fossi... È così. Le stelle brillano e fanno un rumore stimolante. Le vanghe appoggiano il loro rude ferro a terra, e costeggiano il cammino, in cui io passo.
Se io fossi – ed io potrei camminare ed aspirare questo profumo – un contadino giovane che cammina con la camicia aperta sul petto, fischiettando con le sue labbra come uno zufolo ed elevando uno spirituale canto nella notte fatto di sentimenti e di ricordi ingialliti. Di sentimenti inesistenti.
Come un albero carico di frutti che nella notte non si accende (così le sue lampadine restano tranquille e opache nell’oscurità, i suoi pomi dormono e non si accendono, come indifferenti) così è il suo stato d’animo.
Io discorro di cose che noi sappiamo.
Ma il racconto non finisce qui. Continua ad esistere. La contadinotta – larva ricordata rimasta nel giardino – morde il suo fazzoletto bianco per l’emozione.
Una mistica ed inesistente parola TI AMO, completamente falsa, aleggia per l’aria. Nessuno la vede. Io lo sono.

Poesie molto ciniche

Sorriso

Le donne si portano dietro i loro sorrisi,
e li indossano
quando è necessario
una donna non può uscire senza il suo sorriso
magari senza mutandine sì ma senza sorriso no.
naturalmente il sorriso è falso come un biglietto falso da 20 €.

Dialogo tra due innamorati

Ti amo? – mormorò la fanciulla.
Mi ami.
La fanciulla si strinse a lui.
Sai, a volte ho tanta paura. Ho tanta paura. Immagino che
non ti amo più.
Sciocchina. Mi ami. Mi adori.
Ti adoro davvero?
Sì. Mi adori con tutte le tue forze.
Grazie. Tu mi dai tanta sicurezza.

Poesia cinica

Ci siamo lasciati alle sedici e zerootto.
mi sono innamorato di te alle diciassette e zerocinque.
Alle diciassette e zerosei ti adoravo;
alle diciassette e zeronove mi sentivo addirittura
amato da te.
Ma perché.
Non mi piaci eccessivamente, anche se sei
bellissima.
Forse perché è l’amore è bello, in sé, è
bello girare per la città, e leggere negli occhi della
gente che tu sei bella e che io devo essere contento
di stare accanto a te;
forse perché è bello sentire che si sta vivendo un amore,
c’è un’estetica nell’amore e noi che giriamo per i prati
vi aderiamo perfettamente,
ed è tutto bello, perfetto, come un film già visto
e sa...

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